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1320

La città degli Acaia

Nel 1280 il marchese Guglielmo VII di Monferrato cede Torino a Tomaso III di Savoia, ma la successione passa al fratello Amedeo V che nel 1294 lasciò al nipote Filippo d’Acaia, figlio di Tomaso, i domini del Piemonte e la città. Con il passaggio sotto i Savoia tramonta l’autonomia politica del Comune di Torino, anche se l’organismo dirigente comunale sopravvive, controllato dal patriziato urbano. Un estremo tentativo di rivolta anti-sabauda si manifesta ancora nel 1334, soffocato da dure repressioni da parte del principe che, al tempo stesso, favorisce l’istituzione della Società popolare di San Giovanni per bilanciare il potere magnatizio, allargando ai nuovi ceti produttivi.

Al principio del Trecento Filippo – il cui titolo di principe d’Acaia derivava matrimonio con Isabella, figlia del principe d’Acaia Gugliemo II di Villehardouin – governa anche l’area meridionale dell’attuale provincia di Torino e quella intorno a Pinerolo, dove Filippo di preferenza risiede: fra il 1317 e il 1320 il principe tuttavia fa ristrutturare il preesistente castello di Porta Fibellona (attuale Palazzo Madama). A metà del Trecento Giacomo d’Acaia, con velleità indipendentiste, provoca la reazione di Amedeo VI (il Conte Verde) che lo dichiara decaduto, avocando a sé il principato: Torino accoglie bene il Conte Verde, perché nel 1360 egli restituisce al Comune la libertà legislativa e approva la raccolta dei nuovi statuti (Libro della Catena). Pur sotto i Savoia, dal 1362 i reinsediati Acaia restarono al potere ancora mezzo secolo: il principe Ludovico morì senza discendenza nel 1418, consentendo ad Amedeo VIII di incorporare nel suo Stato il Piemonte.

Sotto gli Acaia la sede del governo della città si colloca presso l’attuale Piazza Palazzo di Città, detta platea Taurini o platea civitatis, allora collegata direttamente con la piazzetta della chiesa di San Gregorio (ora San Rocco) di fronte alla Torre Civica, all’incrocio fra le attuali vie Garibaldi e San Francesco. Nei pressi si tiene il mercato del pesce, mentre il mercato del grano si svolge davanti alla chiesa di San Silvestro (ora del Corpus Domini). Fra i muri della platea civitatis vi sono i laboratori dei calzolai e i banchi dei macellai, circondati da botteghe artigiane. In questa fase è forte l’oscillazione demografica per ricorrenti epidemie dal 1348 alla prima metà del Quattrocento: la popolazione si attesta probabilmente sulle 3-4000 unità.

Il Comune di Torino non aveva costruito un vasto distretto territoriale ma – ereditando in parte le 10 miglia di distretto accordate da Federico Barbarossa al vescovo nel 1159 – controlla un’area circostante di circa 15 chilometri di raggio. Il territorio extraurbano del comune è delimitato a nord dai borghi di Leinì, Caselle, Borgaro e Settimo, a ovest da Collegno, Grugliasco e Rivalta, a sud dal torrente Chisola e a est dal crinale collinare fra Moncalieri a Gassino. Non esistono borghi con proprie comunità organizzate, tranne Grugliasco – però infeudata nel Duecento ai signori di Piossasco – e Beinasco, due dipendenze (‘titoli’) che Torino mantiene per tutto l’antico regime. Sulla destra del Po sorge la chiesa di San Vito «de Montepharato» con piccolo villaggio: a valle si può guadare il fiume per raggiungere la chiesa di San Salvario. Un vero centro abitato, detto Malavasio, doveva sorgere in val San Martino, e insediamenti sparsi si trovavano a Sassi. Sulla sponda sinistra tutta la zona pianeggiante è definita la ‘campagna’ (Campanea) di Torino, come attesta ancora il nome di Madonna di Campagna, mentre a occidente, sui diversi sbocchi della via Francigena, si sono già sviluppati il borgo di San Donato e di Colleasca e le fondazioni ospedaliere di Pozzo Strada.

Renato Bordone

Galleria

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Veduta laterale di Castello di Porta Fibellona (Palazzo Madama). Fotografia di Paolo Gonella, 2010. © MuseoTorino.

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Piazza Palazzo di Città. Fotografia di Marco Saroldi, 2010. © MuseoTorino.

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Casa del Senato. Fotografia di Marco Saroldi, 2010. © MuseoTorino

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Palazzo di Città. Fotografia di Paolo Mussat Sartor e Paolo Pellion di Persano, 2010. © MuseoTorino

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