Scheda: Tema - Tipo: Società e costume

Ceti nuovi e tradizionali nella Torino capitale

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Accanto al tradizionale ceto artigiano e a nuovi funzionari di medio rango, nella Torino secentesca diviene importante un gruppo di ricchi imprenditori, mercanti e «banchieri» che raggiunsero ricchezza, potere politico, prestigio e talora la nobiltà.


Periodo di riferimento: XVIII secolo

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Le politiche economiche di Carlo Emanuele II e del ministro Truchi fecero emergere un nuovo ceto di non nobili, spesso membri della borghesia urbana torinese, che s’avvalse delle opportunità di intraprendere attività nei commerci e nella finanza, con prestiti, frequenti anche al duca e allo Stato, per arricchirsi e per acquisire potere politico. Molti furono esponenti di antiche famiglie torinesi come Amoretti, Garagno, Carelli, Bianco, Gamba, Olivero. Gli ambiti che impegnavano questi mercanti e «banchieri», così li si definiva, erano la lana, le armi, la seta, i commerci e le operazioni finanziarie.

Oltre alla ricchezza ebbero titoli, onorificenze, gratificazioni; stretti furono i loro legami con la corte, della quale alcuni furono esponenti, e molti ricoprirono incarichi nell’amministrazione statale o cittadina. Per il duca divennero un’alternativa allo strapotere dei nobili.

Altri gruppi sociali abitavano la capitale. Mentre i grandi impianti manifatturieri erano posti fuori della città, i più vicini erano a Borgo di Po, zona dell’attuale Gran Madre, tra le mura rimaneva un elevato numero di piccoli artigiani, dislocati nelle vie cittadine a seconda del settore d’attività (sarti, calzolai, ebanisti e minusieri, cordonari, orefici, …). In aumento era il ceto medio dei funzionari e dei pubblici dipendenti che si sviluppava a seguito della crescita e della riorganizzazione del settore pubblico.