Scheda: Itinerario - Tipo: Storico

03. La primavera del 1944 (1 marzo - 30 giugno 1944)

La prima settimana di marzo del 1944 l’Italia del nord fu investita da un’ondata di scioperi di alto valore politico. Si trattava di una forma di protesta organizzata dall’intero schieramento antifascista, con la finalità di dimostrare l’avvenuta saldatura tra le lotte sociali operaie e la resistenza.


Periodo di riferimento: 01 Marzo 1944 - 30 Giugno 1944

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  • lapidi resistenza

"La prima settimana di marzo del 1944 l’Italia del nord fu investita da un’ondata di scioperi di alto valore politico. Si trattava di una forma di protesta organizzata dall’intero schieramento antifascista, con la finalità di dimostrare l’avvenuta saldatura tra le lotte sociali operaie e la resistenza. Anche nella Torino in guerra e in regime di occupazione, il primo sciopero generale dichiarato si caricò di significati estremi e radicali. Per l’occupante tedesco si trattò di un atto di ostilità conclamata: bloccare la produzione industriale, nel marzo 1944 ormai quasi interamente integrata nella macchina produttiva tedesca e controllata dai suoi apparati burocratici, avrebbe procurato un grave danno alla gestione della guerra. Lo sciopero poi sotto il profilo ideologico era una ferita gravissima alla concezione totalitaria del potere che la Germania nazista, con la forza delle armi, aveva esteso ai territori occupati e controllati.

La reazione di Hitler alla notizia dello sciopero fu quella di cercare di impedire con ogni mezzo la protesta. Le misure preventive non andarono a buon fine. Il 2 marzo si fermarono circa 70mila lavoratori e cioè quasi il totale delle fabbriche torinesi, supportati nella protesta dai commercianti i cui negozi restarono chiusi in segno di solidarietà e da unità partigiane e gappisti che sabotarono diverse linee tranviarie nell’intento di paralizzare il traffico cittadino. Torino restò quasi completamente ferma fino all’8 di marzo, quando il Comitato di agitazione, stimando che la prova di forza fosse sufficiente, decise la ripresa del lavoro.

I dirigenti fascisti videro nello sciopero un vero e proprio tradimento politico. Scrive Carlo Chevallard nella sua cronaca di quei giorni, riassumendo il senso di un articolo comparso sul “Corriere della sera”: «Vi abbiamo dato la socializzazione delle industrie, vi abbiano dato le razioni supplementari di pane e adesso voi ci ricompensate in questo modo?».

In questo contesto si inserì quindi la durissima reazione nazifascista. Il 4 marzo partirono pesanti operazioni di rastrellamento in tutte le valli del Torinese. L’8 marzo furono compiuti arresti: moltissimi scioperanti furono prelevati direttamente dalle loro case e portati alle Carceri Nuove e da qui deportati nei campi di sterminio e di lavoro tedeschi. Da Torino Porta Nuova partirono immediatamente 99 operai che vennero aggregati a Firenze con destinazione Mauthausen agli operai toscani e a tutti quelli rastrellati in quei giorni nel centro-nord. Il 16 marzo partì un secondo trasporto con  278  operai piemontesi. Pochissimi fecero ritorno.

Lo sciopero fu un momento di rottura rispetto ai mesi precedenti, così come la mancata risposta ai bandi Graziani. L’8 marzo infatti era anche la data di scadenza del termine previsto perché i giovani delle classi 1923-1925 si presentassero alla leva obbligatoria imposta dalla repubblica di Salò; poiché la renitenza si traduceva in pena di morte, il fallimento dell’imposizione significò principalmente due cose: l’impossibilità di rifondare il fascismo, e dunque il sostanziale fallimento politico della Repubblica sociale italiana, e un maggiore afflusso di uomini nella resistenza armata. Anche la politica militare dei tedeschi subì una svolta decisiva, impressa dal generale Kesselring con l’emanazione di nuove direttive sulla lotta alle bande.

A partire da questo momento il conflitto tra le forze in campo divenne molto più aspro: sabotaggi, colpi di mano, attentati da una parte, rastrellamenti, stragi, deportazioni, esecuzioni sommarie dall’altra.

Il 31 marzo, a Torino, venne arrestato l’intero Comitato militare regionale piemontese, che forniva indicazioni strategiche e finanziamenti ai comandi partigiani sul territorio. I componenti furono giudicati dal Tribunale di Torino il 2 e il 3 di aprile e, per intervento dello stesso Mussolini, il processo fu rapido ed “esemplare” al fine di dimostrare all’alleato tedesco l’efficienza della macchina repressiva della Rsi: otto furono le condanne alla pena capitale. Negli stessi giorni  in due attentati dei Gap, trovarono la morte il condirettore fascista della “Gazzetta del Popolo”, Ather Capelli, e un militare della controaerea tedesca. Le rappresaglie non si fecero attendere: il 2 aprile, a Pian del Lot, una località fuorimano nella collina torinese, ventisette partigiani furono fucilati dai tedeschi; lo stesso giorno in via Morghen 34 alcuni fascisti inquadrati nell’Ufficio politico investigativo e nella Guardia nazionale repubblicana fucilarono cinque uomini prelevati dalle Nuove. Il 5 aprile al Poligono di tiro del Martinetto vennero giustiziati gli otto componenti del Comitato militare. Numerose anche le stragi in provincia di Torino: il 1 aprile a Balangero, nelle valli di Lanzo, vennero fucilati nove civili, il 3 aprile a Cumiana 51, il 7 aprile a Caluso 13 partigiani.

Nel mese di maggio giunse infine a termine l’esperienza di Giovanni Pesce come organizzatore dei Gap in città. Nella notte fra il 16 e il 17, dopo un attentato compiuto contro il Centro di disturbo delle trasmissioni radio alleate situato alle Basse di Stura, furono catturati i gappisti Francesco Valentino e Giuseppe Bravin; il giorno successivo Dante Di Nanni, anch’egli protagonista dell’azione di sabotaggio, venne ucciso dopo una strenua resistenza. La struttura gappista entrò in crisi: la Gnr riuscì a identificare Pesce che, per evitare la cattura, fu immediatamente inviato dalla delegazione piemontese delle brigate Garibaldi a comandare i Gap a Milano" (1)

Note

(1) Barbara Berruti, Andrea D'Arrigo, 3 La primavera del 1944 (1 marzo - 30 giugno 1944), in Adduci, Nicola [et al.] (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio. Memoria civica dei caduti della Resistenza a Torino, Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà - Istoreto, Torino 2015, pp. 52- 54

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