Scheda: Tema - Tipo: Architettura e urbanistica

Complesso del Drosso

Il Drosso è un insediamento rurale fortificato di origine tardomedievale e un’antica grangia cistercense.  Si trova nell’attuale quartiere di Mirafiori Sud. Il complesso è costituito da un castello e da due cascine: la Torta, già Gromis e la Perino, già Robilant.


Lat: 45.016125 Long: 7.598097

Inizio: XII Sec. (1100-1199)

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Descrizione del complesso

L’insediamento del Drosso sorge nel quartiere di Mirafiori Sud, all’estrema periferia di Torino al confine con Beinasco, in una porzione del bacino del torrente Sangone. Il complesso è costituito da un castello fortificato, che occupa l’area a sud-ovest del sito, e da due cascine di pertinenza, la Torta già Gromis ad est e la Perino già Robilant a nord.

L’area costituisce uno spazio agricolo e fluviale di circa mezzo chilometro quadrato solidamente serrato da barriere naturali o antropiche: esso è delimitato a settentrione dalla Strada del Drosso, a est dalla strada tangenziale, a sud dal bacino del Sangone e ad ovest dalla diramazione per Pinerolo.

I sedimi storici del territorio del Drosso, che un tempo congiungevano l’insediamento con l’area circostante, sono stati bruscamente interrotti dall’intensa antropizzazione che tale territorio ha subito nei decenni scorsi.

Il sito sorge a pochi chilometri dalla confluenza del Sangone con il Po: il forte dislivello tra la piana torinese e l’alveo del torrente assegna al manufatto una posizione privilegiata, elevandolo di quasi venti metri dalla pianura sottostante, dando origine a una naturale difesa dell’edificio e permettendo il controllo di quello che un tempo era un’estesa proprietà agricola composta di campi coltivati e boschi ricchi di selvaggina.

Il Drosso – Antica grangia cistercense

Le origini dell’insediamento del Drosso, conosciuto anche come Dros, Droxio o Drosio, sono incerte. Le fonti archivistiche a disposizione non consentono di datare con precisione la nascita del complesso, ma è probabile che sia sorto intorno alla corte quadrata di una più antica villa romana. In origine doveva rappresentare una mansio, ossia una stazione di sosta.

Fra il terzo e il quarto decennio del XII secolo giungono presso il Drosso i monaci di Staffarda, abbazia cistercense fondata nel 1138 a Revello. In questo periodo la struttura è di proprietà dei Conti di Savoia, i quali cedono la mansio in feudo prima al Vescovo di Torino Ugo Cagnola, successivamente ai monaci. Il Cartario dell’Abbazia di Staffarda attesta al Drosso la presenza di tale frate Arnaldo, il quale assume il ruolo di grangere dal 1209 per circa ventidue anni. Solo nel 1233 i monaci acquisiscono la proprietà: il 24 settembre Galdino, Francesco e Guglielmo di Cavoretto vendono a Fra Martino, massaro del “Dros”, una pezza di terra arabile sita sul territorio di Torino nei pressi delle rive del torrente Sangone: «(...) fecerunt Gaudinus de cabureto et franciscus et uillelmus ambo filij condam henrici de cabureto fratri  martino massario de dros recipienti nomine (...) dicte mansionis de dros edificate super ripam Sangonis de quadam  pecia terre Arabilis iacentis in terratorio taurinj (...)».

L’operosità cistercense crea prosperità: vi stabiliscono una sede produttiva per diverse attività, fra le quali la sartoria, la conceria, la mascalcia, la calzoleria, il mulino e il forno, attività che, unite all’allevamento e all’agricoltura, costituiranno una vera e propria azienda agricola, definita grangia. I monaci, necessitando dunque di nuovi spazi, costruiscono ulteriori edifici annessi, depositi agricoli costituiti da pali di legno infissi nel terreno e coperture di paglia, che si trasformeranno nei secoli nelle odierne cascine.

All’inizio del XIV secolo risale un documento che attesta la curiosa vendita e l’immediato riacquisto del bene da parte dei monaci: nel 1313, Francesco da Cuneo, abate di Staffarda, vende il castello a Bonifacio e Merletto di Scalenghe; in seguito Enrico di Carcavagni e Nicolino Borgognino sono incaricati dai frati di “riconquistarlo”.E’ probabile che la vendita sia dovuta alla crisi economica che il monastero sta affrontando. I numerosi acquisti che il monastero di Staffarda conclude sul finire del Duecento e l’attività feneratizia causano infatti un tracollo finanziario dell’abbazia: a causa di ciò e probabilmente delle continue contese, nel 1334 i monaci sono costretti a vendere definitivamente la grangia di Drosso al torinese Corrado di Gorzano, allora castellano di Moncalieri, il quale paga dodicimila fiorini d’oro per l’azienda insieme alla giurisdizione sugli uomini del luogo.

Solamente pochi anni dopo, l’11 agosto 1339, i figli di Corrado di Gorzano, Perino, Taddeo e Antonio, cedono la grangia per la stessa cifra ai fratelli Bartolomeo ed Enrietto Vagnone, consignori di Trofarello. Nell’atto di vendita vengono citati la “casa e luoghi di Drosso” indicata come “domus droxij”, indicando probabilmente l’inizio della trasformazione delle strutture in abitazione civile.

Da grangia a castello fortificato

I nuovi proprietari, i Vagnone, si adoperano per la fortificazione dell’edificio fino a trasformarlo in un castello, così come appare parzialmente oggi.  La struttura viene infatti nominata per la prima volta con il nome di “castello” in una pergamena del 28 gennaio 1361. I Vagnone modificano la struttura, sino ad allora indicata come semplice mansio, domus o grangia, costituita, come attestano altri esempi di architettura rurale torinese, da singoli corpi di fabbrica su due livelli, facendola fortificare: «domini de Vagnonis emerunt dictam domum cum possessionibus a dominis de Gorzano et ipsam fecerunt domificare prout et sicut est». Un’altra testimonianza è quella fornita dal Vescovo di Torino Giovanni Ursino, il quale, per sfuggire a un’epidemia di peste, viene ospitato al Drosso con tutta la sua famiglia per circa sei anni compresi tra il 1336 ed il 1411: proprio in quegli anni, ricorda Ursino, i Vagnone non badano a spese per la quasi totale riedificazione del castello.

Il grande complesso fondiario viene dichiarato a catasto dal comune di Torino soltanto nel 1464, occasione in cui esso viene indicato sia come «grangia Droxii cum ayralibus et viridariis […] fossati set fortalitiis circumcircha» sia come «castrum seu palacium sive locus Drozii». Nel XV secolo attorno al castello sorge il “ricetto”, termine che designa un’area fortificata destinata alla protezione degli abitanti e dei prodotti agricoli nei momenti di emergenza.

Presso il castello i Vagnone costruiscono anche una segheria e un mulino da grano con edifici sussidiari annessi oltre il fiume in direzione di Stupinigi.

Nel frattempo le pendenze tributarie dei Vagnone, che nel 1469 devono ancora alla città di Torino la somma di 400 fiorini d’oro, si risolvono con la confisca di metà del feudo del Drosso, che viene concesso il 26 aprile 1496 ai coniugi Antonio e Clara Bonardi della Foresta. In seguito l’intero immobile sarà frazionato in quattro parti in condivisione fra più famiglie e i passaggi di proprietà sono diversi. Nell’estimo del 1523 i proprietari sono: “Claudio e altri De Bellis di Avigliana”, “Ludovico di Bagnolo”, “i figli di Manfredo Vagnoni” e “Giovanni, Giacomo, figli di Enrico di Rivalta”. E’ qui che affiora l’immagine del castello come un’abitazione nobile nel cuore di una grossa azienda agricola, al pari di una signoria rurale. Il castello è costituito dunque dal “castrum Droxii” circondato dal suo fossato, dall’annessa “platea castri”; vicino sorge il ricetto, costituito da un muro di cinta al quale sono addossate le abitazioni e i depositi affacciati sulla corte interna.

All’interno del cortile del ricetto è censita una casa della lunghezza di nove cassi (unità di misura delle strutture rurali) con altri edifici e pertinenze; all’interno della stessa corte è presente una domus lunga cinque cassi con “suis edificiis”. Il Catasto censisce una cassina con un’abitazione a uso dei massari di ventiquattro cassi di lunghezza, coperta da tegole e dotata di un’aia o corte. Nei pressi del castello sorgono una domus di piccole dimensioni e altre due cassinae di otto e dieci cassi, tra cui una dotata di cinque stalle ed altre pertinenze. Il ricetto, le cassine e gli altri edifici minori risalgono probabilmente alla struttura cistercense due-trecentesca e costituiscono il nucleo originario delle odierne cascine.

Nel 1539 Guglielmo Gromis di Trana, generale delle finanze sotto i Duchi di Savoia Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele e Consigliere di Stato, acquista gran parte della proprietà del castello, mentre nel 1560, Antonio Giovanni Scaravello cede a Claudio Maletto la quarta parte del castello del Drosso con una cascina e beni adiacenti, costituiti da cinquanta giornate di campi ed alteni.

Per un secolo il castello cessa di far parlare di sé, diventando residenza di campagna delle nobili famiglie proprietarie che frequentano la corte ducale della vicina reggia di Miraflores, distante pochi chilometri verso est, in riva al Sangone. La vicinanza col castello di Mirafiori mette in ombra il castello del Drosso che viene così risparmiato dalle truppe che nel 1640 partecipano alla guerra civile fra Tommaso di Savoia e Madama Reale Maria Cristina di Francia. La guerra sfiora di nuovo le antiche mura del Drosso durante l’assedio di Torino del 1706: l’edificio era infatti situato all’estremità meridionale della linea di circonvallazione ed è coinvolto in sporadiche azioni belliche durante l'assedio stesso.

Le prime rappresentazioni fedeli dell’insediamento si hanno a partire dalla seconda metà del settecento: oltre al castello, dotato di fossato, è rilevata con maggior precisione la planimetria della “Cascina Gromis”, con pianta a “C”, della “Cascina Robilant”, dotata di unico corpo di fabbrica e della “Cascina Orsini”, oggi non più esistente. Sono presenti anche alcuni edifici sparsi, adibiti a forno, deposito e ad altre funzioni ausiliarie, collocati tra il castello e la cascina Gromis. Prospicente la facciata ovest è rappresentato un giardino all’italiana.

La Carta Topografica della Caccia del 1762 attesta la costruzione di una nuova manica, attualmente parte della cascina Robilant, a chiusura della stessa.

Nella Guida alle cascine… l’architetto Amedeo Grossi nel 1790 censisce così l’edificio: «Castello con diverse cascine attigue poste sul territorio di Torino sotto la Parrocchia di Beinasco, ed alla sinistra della strada d’Orbassano, in vicinanza del torrente Sangone. Sono le dette cascine costituite da ottocento giornate, la di cui metà circa spetta all’Illustrissimo Sig. Conte di Gromis, come altresì la Cappella sotto il titolo di Madonna della Neve, ed il rimanente appartiene a S.E. il Conte Nicolis di Robilant, ed all’Illustrissimo Conte Orsini d’Orbassano».

La dimora gentilizia del Drosso

Le prime sostanziali modifiche subite dalle strutture del Drosso sono indicate nel Catasto Gatti redatto tra gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Una radicale risistemazione riguarda il castello: la manica sud viene completamente ristrutturata a formare un ampio porticato al piano terra sormontato da due spaziose e soleggiate terrazze semicircolari comunicanti; al secondo piano uno stretto loggiato si affaccia verso sud. La cascina Gromis è ampliata creando una corte completamente chiusa; la manica meridionale inoltre sembra essere prolungata verso ovest con l’annessione di un fabbricato adibito, secondo quanto specificato dal sommarione del catasto Gatti, a caso da terra: l’attuale presenza di ampie superfici trasparenti sulla facciata sud di tale manica e le fontane indurrebbero a ipotizzarne l’utilizzo a serra.

A questa data ormai appartiene quasi tutto al Conte Carlo Gromis di Trana: il Conte Nicolis di Robilant è proprietario solo della manica più a nord delle cascine e della manica est del castello, mentre strade, orti, pascoli, campi e boschi sono condivisi tra le due famiglie. Si riscontra dunque la precisa volontà da parte della famiglia di ingentilire la residenza nobiliare attraverso l’inserimento dei terrazzi panoramici, giardini formali e di un’ampia peschiera a emiciclo rivolta verso sud ai piedi della scarpata.

Il catasto Rabbini, redatto nel 1866 evidenzia ulteriori modifiche apportate alle strutture delle cascine tra cui la rettifica della cascina Robilant e la chiusura della corte a ovest. Le modifiche subite dalla cascina Gromis riguardano la manica est, la quale è parzialmente demolita per aprire un nuovo accesso alla corte privo di portale. Inoltre per il fabbricato attiguo alla cappella è previsto un ampliamento verso nord.

Un interessante punto di vista per approfondire la conoscenza del Drosso è quello offertoci dal Baruffi nelle sue Passeggiate nei dintorni di Torino del 1861. Presso il castello il Baruffi trova la «cordiale accoglienza della gentilissima famiglia Gromis di Trana» una delle «buone famiglie patrizie, le quali vivono tranquille e liete una gran parte dell’anno nelle loro terre, beneficandone con ogni maniera di mezzo gli abitanti, coll’esempio delle più belle virtù domestiche, i miglioramenti agricoli, coll’introdurre nuove piante e coll’acclimarvi utili animali». La giovane coppia che accoglie lo scrittore è composta dal Conte Emilio e di Teresa Faussone di Germagnano. Il castello è quindi descritto come luogo ameno e tranquillo, lontano dalla città, adorno di diverse specie floreali e dotato di un clima fresco. Il Baruffi ricorda la vista panoramica scorta dalle terrazze e dalla torre (si riferisce con ogni probabilità al campanile), dalle quali si apre la vista del Sangone immerso in una selva di piante. Cita inoltre la presenza di una ruota idraulica che, con una caduta d’acqua derivata dal Sangone, mette in movimento due trombe che sollevano l’acqua a servizio del castello e dei campi.

Nel 1860 il Conte Emilio compera dai Robilant i lotti che ancora dividono la proprietà del Drosso, restaurando l’intero castello. E’ probabile che a questi anni risalga il rifacimento della facciata ovest e la sua riconversione alle origini medievali, trasformando il castello nella sua forma attuale.

L’ultimo grosso intervento effettuato sulle strutture del Drosso è attestato dal Catasto Statale del 1890, in cui non appaiono più gli edifici prospicienti la facciata est del castello. Non c’è più traccia del forno né dei locali adibiti a camera. Anche la piccola casa rustica di fronte alla facciata nord è andata distrutta.

Una notizia di particolare interesse è quella attestata dai registri catastali nel 1866. Una buona parte dei terreni appartenenti alla famiglia Gromis, situati a est del castello, sono venduti dalla stessa a Rosa Vercellana, Contessa di Mirafiori e di Fontanafredda, meglio nota come “la Bela Rosin”, amante di Vittorio Emanuele II. Nel corso del XX secolo la proprietà del Drosso, probabilmente divenuta troppo dispendiosa per la famiglia Gromis, viene abbandonata, causandone il progressivo degrado: cessa così la sua funzione di dimora signorile.

L’ultima pagina della storia del castello risale agli anni Quaranta del XX secolo quando, con l’occupazione nazista, è costretto ad accogliere il comando “Torino Sud” dell’esercito tedesco. La presenza militare ha lasciato diverse tracce sulle rovine del castello: disegni e graffiti, tramezzi e impianti idraulici ed elettrici.

Attualmente il castello è ancora di proprietà degli eredi Gromis di Trana, tra i quali la Marchesa Margherita, vedova dell’architetto Gabetti, al quale sono attribuiti il rifacimento della copertura e dell’impianto di raccolta delle acque atmosferiche e un progetto di frazionamento dell’edificio a scopo abitativo, che però non è mai stato completato. Come attestato dalla Carta Tecnica Comunale di Torino, l’attuale planimetria mostra la demolizione parziale della manica meridionale della cascina nord e del fabbricato adiacente alla cappella, introdotto dal catasto Rabbini. Sebbene non siano avvenute sostanziali modifiche planimetriche, il totale abbandono ha causato profondi degradi strutturali soprattutto ai manufatti rurali delle cascine, le quali sono per buona parte prive di copertura. Il degrado strutturale sembra invece aver risparmiato il castello.

Recentemente i manufatti del Drosso sono stati sottoposti a tutela dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte. Sono ammessi pertanto interventi di tipo conservativo per ogni parte dell'edificio, mentre si prevede il risanamento delle cascine e la ristrutturazione di cortili e giardini. Il castello, collocato nel Parco P19 (PRG), è stato classificato ai sensi dell'articolo 26 delle Norme Urbanistiche Edilizie di Attuazione del PRG come "edificio di gran prestigio", includendo anche il giardino e le due cascine.

Il castello

Il Castello del Drosso si presenta immerso nel verde, in uno stato di quasi totale abbandono e degrado. L'edificio mostra esternamente le caratteristiche di una fortificazione medievale: un’imponente e solida struttura in laterizio a corte chiusa, con due torri medievali a nord.

All’angolo sud-est si erge un campanile appartenente a quella che un tempo era la cappella a uso del personale di servizio del Castello.

Il quarto angolo presenta una snella bertesca cilindrica, sopraelevata rispetto ai corpi di fabbrica, notevolmente più piccola delle altre torri e introdotta in occasione del rifacimento ottocentesco della facciata ovest.

Il castello presenta quattro prospetti molto diversi fra loro: quella che ha maggiormente preservato l’aspetto antico è quello nord, caratterizzato da mattoni faccia a vista, e sul quale è possibile riscontrare tracce di precedenti aperture, oggi tamponate. Le facciate est, sud e ovest sono invece frutto di rifacimenti ottocenteschi. Le più interessanti sono quella ovest, di gusto medievale, in mattoni e con finestre a sesto acuto e la facciata meridionale, intonacata, che presenta un belvedere con affaccio sul Sangone e un loggiato.

Bibliografia

Fonti Archivistiche

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  • Istituto Geografico Militare, Carta IGM, 1974, Archivio Storico della Città di Torino, TD 64.7.11

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