In contemporanea all’emergere nel ruolo di capitale industriale italiana, Torino diviene un polo di sperimentazione dell’Eclettismo architettonico internazionale. Il metodo eclettico, adottato da molti professionisti torinesi, influenza profondamente le trasformazioni urbanistiche e architettoniche della città del secondo Ottocento.
Una delle definizioni più note dell’Eclettismo architettonico è fornita dallo studioso e architetto torinese Roberto Gabetti (Torino 1925-2000), che descrive il metodo eclettico come la “sistematica tendenza ad accogliere consapevolmente, attraverso l’analisi di monumenti appartenenti a civiltà lontane nel tempo e nello spazio, elementi da ricomporre secondo coerenti principi storici (composizione stilistica), modi tipologici caratteristici della destinazione di ciascun edificio (religiosi termali ferroviari) o ancora secondo accostamenti bizzarri e stimolanti”[1].
Alla base dell’emergere dell’eclettismo sono, secondo Gabetti, i cambiamenti economici, sociali e culturali più significativi dell’Ottocento europeo: il variare dei sistemi di produzione edilizia e l’emergere di una committenza borghese, la centralità delle scuole di architettura e di ingegneria quali centri di diffusione delle culture costruttive, la domanda di infrastrutture e servizi delle città industriali. La circolazione sempre più ampia dei modelli figurativi e tipologici che connotano la produzione eclettica è d’altra parte garantita dall’aumentare degli scambi commerciali e culturali con le colonie, dall’arricchimento delle collezioni museali, dalle esposizioni internazionali, oltre che dall’inedita diffusione delle pubblicazioni di architettura.
[1] R. Gabetti, Eclettismo, in Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, Istituto Editoriale Romano, Roma 1968, p. 211
Le condizioni che Roberto Gabetti individua come favorevoli alla nascita e alla diffusione dell’eclettismo risultano particolarmente utili per comprendere la sua affermazione nel capoluogo piemontese. Torino assiste nel corso della seconda metà dell’Ottocento alla crescita industriale e al consolidarsi di una borghesia urbana imprenditoriale committente di numerosi edifici pubblici e privati. La città è sede della Scuola di applicazione per ingegneri dal 1859 e del Regio Museo industriale italiano dal 1862 (dalla fusione dei due istituti nascerà nel 1906 il Politecnico); è teatro di numerose esposizioni nazionali e internazionali; è un centro dell’editoria italiana e una sede museale che raccoglie collezioni provenienti da tutto il mondo (la prima costituzione del Regio Museo delle Antichità Egizie è del 1824). In questo contesto si formano alcuni dei protagonisti che plasmano il volto della città ottocentesca, professionisti quali Alessandro Antonelli (1798-1888), Crescentino Caselli (1849-1932), Carlo Ceppi (1829-1921), Camillo Riccio (1838-1899) e Riccardo Brayda (1849-1911).
Per comprendere i caratteri dell’eclettismo torinese occorre guardare alle stazioni ferroviarie (Porta Nuova e Porta Susa), ai corsi (corso Vittorio Emanuele, corso San Maurizio), alle piazze (Piazza Carlo Felice, Piazza Statuto), alle vie (via Pietro Micca) e ai giardini della città che si espande e si trasforma, oltre che agli edifici di culto e ai palazzi di committenza borghese e nobiliare. L’eclettismo è in molti casi il risultato dalla sperimentazione di diverse tecniche e tradizioni costruttive (la Mole Antonelliana ne è l’esempio più significativo), altre volte deriva da una composizione stilistica che spazia dai dettagli neoclassici e neobarocchi a quelli neomedievali e moreschi.