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Ponte Vittorio , ma tutto l'ambiente preesistente

più o meno costruito: tracciati di percorsi lungofiu-

me, alberature sulle rive, dighe, molini, borgate.

La sistemazione paesistica del Po è stata gene-

ralmente posta in relazione con la presenza imma-

nente della collina.

Questa situazione geografica nel corso della sto-

ria ha determinato, almeno in parte, per motivi stra-

tegici (insieme alla presunta insalubrità delle rive) la

riluttanza della città ad inglobare nel suo sistema

urbano il fiume (ricordiamo l'ipotesi scartata, di

comprendere il vecchio ponte nel perimetro delle

fortificazioni del secondo ampliamento); ed ha com-

portato ovunque una netta diversificazione tra gli

insediamenti di sponda sinistra, del tutto coerenti

con la morfologia ed i tipi edilizi generalizzati nella

città, e quelli di sponda destra, che se ne sono sem-

pre differenziati, anche di là dai condizionamenti

dettati dall'orografia e dalle casuali permanenze di

tracciati e nuclei foranei (riplasmati sostanzialmente

dai piani regolatori dalla seconda metà dell'Ottocen-

to in poi, attestati ad alcuni caposaldi pianificati in

corrispondenza dei ponti: Vittorio Emanuele, Um-

berto I, Regina Margherita, e quello ipotizzato nel

Piano del 1908 tra le piazze Chiaves e Carrara).

La sponda destra del fiume presenta di conse-

guenza assetti vari per origine e caratteristiche, il cui

valore ambientale è essenzialmente legato alla quali-

tà e all'interesse storico di talune sistemazioni fun-

zionali, quali le opere connesse alla costruzione del

Canale Michelotti.

La sostanziale differenza dei tipi d'affaccio del

territorio urbanizzato al fiume, così stabilitasi per le

rive del Po, motiva non soltanto la prevalenza degli

impianti monumentali sulla sponda sinistra, ma la

tipologia stessa delle testate dei ponti, che dopo

quello napoleonico (rimasto peraltro non completato

in sponda destra nelle previste rampe di discesa al

fiume e nei tracciati delle arginature) non prevedono

mai il prolungarsi degli affacci costruiti in

quais,

ma

soltanto piccole piazzuole di spalla protese da ripe

inerbate, e le tipologie di tutte le opere di sistema-

zione di sponda.

Questi indirizzi, già impliciti nel prevalente va-

lore di fondale prospettico conferito all'impianto del

Tempio e della Piazza della Gran Madre di Dio,

sostengono infatti la costruzione dell'affaccio della

città sul fiume nei successivi interventi ottocente-

schi.

Primo tra di essi è la costruzione dei muri di

sostegno dell'urbanizzazione di Piazza Vittorio af-

facciati sulle rampe in prolungamento dei

quais

del

ponte.

Realizzati attorno al 1830 da Carlo Mosca, in

pietra da taglio a grande apparecchio, essi si con-

fondono con le opere di risvolto del ponte e le rac-

cordano ai successivi Murazzi, con una mediazione

che ne attenua l'evidenza tipologica, già compro-

messa dal mancato completamento della loro sim-

metria rispetto all'asse del fiume.

I Murazzi propriamente detti, lungo Corso Cai-

roli e i Lungopò Diaz e Cadorna, principiati nel

1873 su progetto dell'Ingegnere Capo dell'Ufficio

Tecnico Municipale Tommaso Prinetti, costituisco-

no la maggiore testimonianza della volontà di risol-

vere con un'architettura di prestigio l'affaccio del

costruito urbano sul fiume, in modo coerente ai trac-

ciati viari determinatisi o proposti nel corso del seco-

lo e ai modelli della contemporanea cultura urbana

internazionale.

Le motivazioni che già dal 1860 spinsero alla

decisione del progetto dei Murazzi furono pro-

grammaticamente espresse in termini di urbano,

oggettivato in parte da ragioni igieniste: « senza in-

dugio abbattere quell'antico Borgo Po cispadano,

detto volgarmente il Moschino, fornito di miasmi e

di infezioni d'ogni genere, triste ed immondo avan-

zo di luridi e fetenti abituri »

Non si trattò tanto di dare argini al corso del

fiume come nella contemporanea costruzione dei

lungotevere di Roma, quanto di sistemare aulica-

mente il ciglione che divideva le acque dal costruito

urbano. La soluzione adottata, con la costruzione di

un terrapieno a setti e volte con fronte monumentale

in pietra da taglio a forte bugnato, affacciata su

un'ampia banchina e arricchita da scalinate, risolse

brillantemente tutti i problemi: l'affaccio panorami-

co del lungo fiume verso le acque e la collina, l'im-

mediata sua agibilità eliminando il lungo assesta-

mento dei terrapieni; la disponibilità di ampi locali

d'affitto per «magazzini, laboratori, tintorie, lavan-

derie, deposito barche» ; e fu completata con geniali

e coerenti accessori di arredo urbano: lampioni, co-

lonne rostrate in funzione di camini. Tuttavia anche

quest'opera rimase interrotta: a valle la cinta dazia-

ria fu raggiunta solo con la banchina; a monte la

arrestò l'incertezza dei programmi di sostituzione

dell'ormai insufficiente ponte sospeso. Nelle suc-

cessive urbanizzazioni, quali Corso Machiavelli o

Corso Antonelli, l'affaccio della città sul fiume fu

poi sempre risolto raccordando la sponda ai lungopò

con scarpate erbose alberate in sommità.

La città, nel frattempo, realizzava dopo lunghe

discussioni sulla loro collocazione altri due ponti sul

Po, ai limiti a monte e a valle dell'abitato. Ponte

Isabella fu localizzato in corrispondenza del massi-

mo protendimento della sponda sinistra verso la col-

lina, là alquanto ripida, innestandosi perpendico-

larmente su Corso Moncalieri senza alcun rilevante

attestamento né visivo né viabile; Ponte Regina

Margherita, sul confine della cinta daziaria, mediava

i tracciati sghembi di Corso Regina e del percorso di

ronda (Corso Tortona) con l'asse della Val San Mar-

tino. Entrambi i manufatti, su progetto dell'Ingegne-

re municipale Ernesto Ghiotti, trovarono un imme-

diato apprezzamento nella manualistica del tempo,

per il sobrio disegno arricchito di alcuni particolari

di prestigio (come le strombature degli archi del

Ponte Regina).

In realtà, si rivelarono insufficienti per caratteri-

stiche intrinseche (la limitata larghezza, la scarsa

sezione di deflusso delle acque del Ponte Regina)

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