Table of Contents Table of Contents
Previous Page  556 / 1981 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 556 / 1981 Next Page
Page Background

L’INACCESSIBILE

E, di quello che parve paradisi

intravisto, un tesoro in'è rimasto

inaccessibile ad ognuno, ed a ini*

stesso. che inabissato

nel mio vortice d'uomo.

In quest'intimo chiudo

è per nessuno che diflondon ombra

le splendide valanghe

del verde. Nè addentare

è lecito delizia di quei frutti

a sughi densi. Quivi, sotto cieli

arsi d'azzurro, a donne dalla |telle

d’albicocca non può fare carezza

niuna mano di carne.

Tesoro del tesoro, o fra le donne

tu l'una d'occhi immensi, tempestosi!

Ahi. te nemmeno sanno modulare

di tenerezze

queste mie mani ch'io mi tocco, inutili.

Che solo esisti, adesso, dentro il buio

d'un me impenetrabile.

Tale, in quei mari stessi, la galèa

spagnola che, piuttosto ch'ai corsari

arrendersi, affondò

e pei mostri stupiti degli abissi

fu strano frutto

a gran foglie di vele, a duro nòcciolo

d'oro. Intatto, quell'oro

irraggia una sua nera ansia di luce,

ma non la sa raccogliere che una notte

liquida, inaccessibile.

0

Sonno, vieni! solo generoso,

che liberi quell'oro,

si che sfavilli nella luce astrale

del sogno; e stacchi quei frutti dai sughi

più densi ancora in sogno;

e quella carne d'albicocca, d'una

fra tutte, scarceri

si che possano le mie mani, fatte

sogno, plasmarla di carezza, allora

si, dolcissima, lunga.

LIONELLO FIUMI

M U S I C A

I.

Chiusa musica e lenta

che in me ti culli,

e rodi, onda marina,

la sorda carne

da cui zampilli,

t'odo lontana: e penso

che tu non sia la voce

segreta del mio viver d'ora

ma l'eco di clangori immensi

da me vibrati in mondi

sepolti.

L'eternità ci beve,

gocciole: e nel respiro

dell'universo i pianti

umani

suonano meno forte

del fruscio di una foglia.

Tu. nel silenzio, musica

vegetazione d'aria,

fiorisci, presso il limite

in cui le cose e gli esseri

cadono in nulla.

II.

Pochi dolci rintocchi

dal trepidante argento

lunare estratti

scuoton la notte, annuncio

d’un varco d'ore: l'alba

ai monti s'incammina.

Si china la mia mente

all'onda dei ricordi incerti

che repentina sgorga,

chiede sillabe, nuova

vita precisa.

Credo che un giorno io vissi

nel mare e nei vulcani;

turbine mi levai sn isole

scomparse nelle frane

del tempo; al tumulto

partecipai che il sole

di prim'estate suscita

quando conduce al piano

il fresco dei nevai.

Adesso, nel concluso

mondo in cui vivo, s’affioca,

esiguo rivo all'arsura

canicolare, la voce

debole che ai ricordi invento.

E in questa taciturna notte

mentre m'ascolto, lo squillo

roco d’un gallo mi vince:

cedo al giorno che sorge,

in umiliata forma

d'uomo ritorno.

III.

Troppo interrotti accenti,

musica, tu mi doni,

raggio che fruga i rami

del bosco: e insinua

nell'ombra delle verdi arcate

bagliori infranti.

Ritornerà il mio corpo

rigido legno e melma

e tacerà quest'eco

marina, d'infinita

risacca che nel sangue

corre.

Se la memoria serba,

conchiglia, un rombo tenue

d'oceani nel suo fondo,

dalla mia carne «ciolta

in polvere di suoni

si leverà, nel giorno

segnato,

l’accordo che adesso mi cerca

a fior delle marèe

e colmerà, sai vènti,

le volte del fatale

silenzio.

ADRIANO GRANDE