Scheda: Tema - Tipo: Economia e industria

Stampatori e librai nel Seicento

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Nel Seicento aumentò progressivamente il numero dei librai-stampatori, ma le imprese principali rimasero quelle che lavoravano per il settore pubblico o per altri grandi committenti.


Periodo di riferimento: XVII secolo

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  • sala 1680

A inizio Seicento, grazie anche all’intervento del Municipio, in città non esisteva più monopolio editoriale; vi operavano allora una decina tra librai e stampatori, ma in breve il loro numero raddoppiò creando concorrenza in un mercato ridotto come quello torinese. Principali aziende furono Pizzamiglio, stampatore «ducale» dei documenti ufficiali, Bevilacqua e Tarino. La bottega di quest’ultimo crebbe progressivamente d’importanza sino a metà secolo, ottenendo la stampa di editi civili e criminali e l’appalto della tassa sugli stracci (legati al settore cartiere), oltre all’esenzione dalla dogana. A inizio Settecento, Fontana era l’azienda di maggior successo. Dal 1637 invece gli Zavatta divennero stampatori della città di Torino, incarico che avrebbero mantenuto per generazioni; a loro spettava la stampa di tutti gli atti ufficiali e dai loro torchi uscì l’Historia dell’Augusta Città di Torino. In seguito  stamparono anche per il duca.

Tra i volumi pubblicati in quegli anni, dalle diverse tipografie cittadine, vi erano innanzitutto quelli per l’Università, seguiti dalle opere realizzate per committenza ducale, encomiastiche e altamente decorative, e dagli Ordini religiosi, specie i Gesuiti. Pressoché assente era l’iniziativa privata degli stampatori,  le botteghe erano piccole e i guadagni modesti per chi non era legato a committenze.

Diversamente da altri settori, nell’editoria non vi fu una potente corporazione, anche per i privilegi concessi ad alcuni dal duca che frammentavano la categoria.