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in esse la forma aderisce alla materia con chia­

rezza limpidissima e il dialetto è piemontese...

piemontese.

Vedo, a proposito del dialetto, un discreto ac

cenno anche nella garbata prefazione del Co­

lombini... che non ha torto, e che nella sua qua

lità di Presidente della

Famija turincisa

potreb­

be utilmente ingaggiare una bella battaglia per

la purezza del linguaggio che Maria Pia di Sa

voia-Braganza ha definito

lingua.

Lontano da me è il desiderio di accendere una

nuova lotta fra puristi e non puristi, ma, fran­

camente, non riesco a comprendere come Pag­

gio Fernando, apostrofando un amico vinaio deb­

ba dirgli :

fra ti ch’it arrichissi ’ns la barbera

e mi ch’i argaló ’l giuss ’d l’ispirasaión...

invece di ricordargli :

fra ti ch’it fxts de dné ’n su la barbera, ecc.

il verso tornerebbe io stesso, e si eviterebbero

un vocabolo non piemontese e una cacofonia,

col vantaggio d ’una maggiore proprietà.

Altro esempio

(Ultime vós)

: come può il poe

ta avere il cuore

’nbèrbórà ’d tristeasa?

e pro­

prio in un sonetto di carattere bacchico ove la

vendemmia è descritta da intenditore? da uno,

cioè, che dovrebbe bene conoscere il trattamen

to cui si sottopongono (ine,

arbi

e

gaross

riem­

piendoli d acqua calda (e. nelle mie colline,

unendovi cenere e foglie di pesco) perchè il le­

gno si gonfi e le connessure si chiudano e si for­

zino tante da diventare impermeabili?

Vedo, d altra parte, che Paggio Femando sa

compiacersi di certe voci preziose

(bórgià

per

borgata, mincionf per ramoscelli nuovi ancora

teneri e sottili,

arlichiari

per reliquario) che il

Ponza registra, ma che contrastano terribilmen­

te con neologismi di conio forzato (

elimini,

fu*

cri,

ecc.). che nella raccolta non sono rarissi­

m i... E penso che Fulberto Alami e, ai suoi tem­

pi, Brofferio, sapevano usare un dialetto più vivo

e più spontaneo, più ricco e più frizzante...

E chiudo la parentesi... linguistica. Paggio

Femando. che ha diretto per tanti anni il

Biri-

chin

e che ha mandate bene a segno non poche

frecciate, me ne vorrà perdonare... poiché Io

stesso amore pel dialetto di cui egli è fiero ha

mosse le mie osservazioni, e un piemontese che

Bene leggendo, però, fra le righe, bene pene­

trando il recondito pensiero di queste

ariete

si

rileva che il contrasto è non soltanto nell'ultima

di esse, ma che in tutte, sotto l'andatura ridan­

ciana delia superfìcie,

è

una tristezza di nostal­

gia profonda, nascosta quasi con pudore, con si­

gnorile riserbo.

Il poeta prende in gioco sè stesso, e scherza

sul suo invecchiare, sulla sua ingenuità, sulle sue

illusioni : ma lo scherzo non sempre riesce e la

satira non sempre è leggera. Sotto il riso si scor­

ge la maschera che vuol ridere perchè nella vita

si

deve

ridere e si deve salvare la fama del ca­

poscarico, del poeta vagabondo fra le stelle e fra

le siepi in fiore della collina a primavera...

Ma quando compone, senza preoccupazioni di

umorismo, o senza aver di mira la chiusa epi­

grammatica ad effetto, Paggio Femando sa es­

sere delicatissimo poeta, di sfumature discrete,

di verso facile e scorrevole, di evidenza perfet­

ta : mi piace, ad esempio, ricordare i quattro so­

netti di

Un vejt

e quello per l

'Ultim di d’ l’ann.

che sono, a mio parere, con

Na Madona

e con

Le muse a deirrmó

e

Le dóe scale

le cose mi­

gliori e più sincere della raccolta. Anche perchè