Scheda: Luogo - Tipo: Edifici

Cascina Morozzo

La cascina Morozzo, purtroppo oggi non più esistente, era una delle poche cascine di origine medievale meritevole di una particolare attenzione a causa delle vicende che l’hanno coinvolta.
Localizzata lungo la strada per Collegno, era un complesso di notevoli dimensioni composto da diversi fabbricati rurali, l’abitazione civile e una cappella.
Si ipotizza che venne scelta come abitazione da Nostradamus durante il suo soggiorno in Torino nel 1556.


VIA MICHELE LESSONA 70

Notizie dal: 1762

Demolizione: 1967

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Indice

La cascina era costruita come le antiche ville vicine, Gibellino e Calcaterra, con la facciata a sud, su di un rialzo di terreno dovuto al caratteristico terrazzamento geologico verso il torrente Dora, e strapiombante per alcuni metri sul canale della Pellerina; zona  che costituiva una terrazza naturale dalla quale si poteva dominare tutta la cerchia alpina e la pianura antistante.
Il territorio circostante era probabilmente ricco di boschi ed abbondante di cacciagione e rappresentava perciò, al pari delle altre ville attigue, il luogo ideale per una casa di campagna della nobiltà e dell’alta borghesia torinese.
Anticamente era collegata alla città, distante circa tre chilometri, da strade solitarie, e certamente servita da qualche via vicinale della strada antica di Collegno e, forse, dalla  strada della Pellerina.

Pare si chiamasse in origine villa “La Vittoria” e appartenesse, prima  del 1556, a una certa principessa Vittoria di Savoia, la cui esistenza tuttavia non è stata documentata. Il nome potrebbe anche derivare da quello della regione circostante, denominata, per l’appunto, Vittoria .

Nel 1706 la cascina è utilizzata dalle truppe sabaude come base per le operazioni contro l’esercito francese, durante l’assedio di Torino.

La cascina Morozzo è censita per la prima volta nella Carta topografica della caccia del 1762 come “cascina Morosso”, caratterizzata da un impianto planimetrico ad "L", corte chiusa e giardini.

Alla fine del ‘700 la cascina e’ censita dal Grossi come «palazzina, e cascina del sig. Banchiere Giuseppe Francesco Martin [...] situati alla destra della strada di Colegno vicino al Gibellino lungi un miglio ed un quarto da Torino».
Rilevata come corpo unico di fabbrica, con corte e giardino, era inserita in un paesaggio contraddistinto da campi, prati, bealere e altre cascine.

Sui primi dell’Ottocento viene acquistata dal sig. Colla (secondo la Gribaudi Rossi poterebbe trattarsi del gioielliere di corte Filippo Colla che riunì all'inizio dell'800 in un solo possedimento le terre  presenti in quest'area della città), che nella parte padronale e nel rustico vi impianta una bigatteria per l’allevamento dei bachi da seta, cosa che costituiva un vanto e una curiosità locale, per cui Il Paroletti, nella sua Turin et ses curiosités, nel 1819, ne consigliava la visita al forestiero.

Pagliani riferisce che nella prima metà del Novecento il parco e il giardino della cascina Morozzo, di proprietà dell’avvocato Momigliani, circondati da un alto muro, erano diventati orti e frutteti, e l’edificio, dimesso e disadorno come una comune casa di campagna, era frazionato in alloggi, affittati per lo più ad operai ed artigiani.
Tuttavia, a ricordo dell’antico splendore, vi erano all’interno alcune camere ornate di stucchi ancora conservati ed una sala con la volta affrescata.
Sempre Corrado Pagliani afferma che «l’accesso abituale allo stabile era sulla via Michele Lessona, ma sulla strada della Pellerina, costeggiante il canale omonimo, una pietra, simile a quelle indicatrici di strade collinari, segnava, con la scritta "Villa la Vittoria detta il Morozzo", il vecchio ingresso che, per mezzo di un ponticello gettato sul canale ed una rampa all’origine carrozzabile e fiancheggiata da alberi, adduceva al rustico mediante una porta carraia. Dal portone si entrava in un primo cortile avente carattere e destinazione eminentemente rurali: da esso due cancelli introducevano in un altro cortile fronteggiante gli ingressi delle abitazioni».
L’ingresso sull’attuale corso Appio Claudio era provvisto di un cancello in ferro battuto. Un’altra testimonianza degli antichi fasti della villa era rappresentata da una cappelletta, ormai ridotta a magazzino per frutta ed ortaggi. Nella cappella, rivolta verso l'esterno della corte e con il timpano triangolare, erano comunque visibili, fino ad epoca recente, angioletti e rami d’acanto in stucco.
La Variante al Piano Regolatore del 1926 non riporta variazioni planimetriche.
In seguito la planimetria venne modificata a "L" con abitazione (a tre piani fuori terra), le stalle, i fienili e i casi da terra disposti intorno alla corte interna.

La cascina venne abitata fino al 1942 da una famiglia israelitica, che la guerra costrinse a fuggire.
Demolita parzialmente e malamente la cascina, ridotta ormai ad un edificio basso e lungo, affacciato quasi sul ciglio della scarpata, venne abitata da un falegname fino al 1967 quando venne demolita ai primi di febbraio.

Il Morozzo deve la sua fama anche per la sua possibile utilizzazione da parte di Nostradamus, medico speziale e astrologo francese, nel suo ipotetico soggiorno torinese, avvenuto nel 1556, come documenterebbe una lapide originariamente collocata su un androne della cascina.
«Nostradamus. ha alloggiato qui, dove c'è il paradiso, l'inferno e il purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria. Chi mi onora avrà la gloria, chi mi disprezza avrà la completa rovina».

1706

E' noto almeno un episodio relativo all’assedio del 1706, quando il Morozzo e le vicine cascine il Gibellino, Calcaterra, l'Anselmetti, furono utilizzate dai difensori di Torino. L'obiettivo era di usare questi edifici come basi per cannoneggiare il Castello di Lucento, occupato dai francesi al comando del generale  La Feuillade, e per rallentare, con i bombardamenti, la costruzione di un ponte sulla Dora indispensabile per l'avanzata nemica. Questa azione si svolse il 19 maggio 1706 quando  Vittorio Amedeo II  appostò nella zona dell'alveo i dragoni del Genevois, rinforzati nella notte dai reggimenti Piemonte e Schulemburg, e 12 cannoni campali, che furono posti sul ciglio della Dora di fronte a Lucento e aprirono il fuoco sul castello, stipato di viveri di ogni genere che furono gravemente danneggiati dall’incendio sviluppatosi all’interno.

Alcuni pontoni furono incendiati ritardando la costruzione del ponte.

Solo quando la linea di controvallazione fu pronta il generale La Feuillade poté lasciare Lucento. Allora le cascine, già danneggiate, furono travolte.

Bibliografia

Fonti Archivistiche

  • https://www.museotorino.it/view/s/7d8f82fb1d654be0bce327e1c5ead382
  • https://www.museotorino.it/view/s/e4f09d8cb44c47adb5024ad42fec9555

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