Scheda: Evento - Tipo: Storico

La prima guerra d’indipendenza

Il 23 marzo 1848, con la pubblicazione del proclama di Carlo Alberto ai popoli della Lombardia e della Venezia, ha inizio la prima guerra d’indipendenza.


Data dell'evento: 1848

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18 marzo, a Milano hanno inizio le Cinque giornate. Francesco Arese viene inviato a chiedere l’appoggio e l’intervento di Carlo Alberto, nonostante l’opposizione dei democratici capeggiati da Cattaneo. Il Re con lettere patenti concede intanto piena amnistia a tutti i condannati per motivi politici prima della pubblicazione dello Statuto.

La pubblicazione di due opuscoli richiama l’attenzione sulla funzione di amalgama della lingua nazionale: uno di Ignazio Pansoya propone la soppressione dei dialetti; il secondo del barone Dal Pozzo presenta il progetto di un’associazione per la diffusione della lingua italiana.

19 marzo, a Genova e Torino giunge attraverso la corrispondenza la notizia dell’insurrezione di Milano. La notizia viene data in un supplemento straordinario de “L’Opinione”, in un articolo di fondo dal titolo Torino 19 marzo, con larghi spazi bianchi imposti dalla censura. Dal Regno Sardo partono gruppi di volontari verso Milano, guidati da Giuseppe Torres; da Genova partono Bixio e Daneri. Dopo aver convocato il Consiglio dei Ministri, Carlo Alberto opta per concentrare un corpo d’osservazione di 30 mila uomini lungo il confine orientale del Regno e la formazione di tre battaglioni di volontari a Chivasso e a Novi.

19 marzo, le determinazioni sovrane vengono comunicate a una folla entusiasta dal marchese d’Azeglio. Verso sera giunge a Torino il conte Francesco Arese e si incontra con Enrico Martini e Carlo d’Adda pure giunti da Milano per invocare l’aiuto piemontese; poco dopo è ricevuto dal Re che gli conferma l’intenzione di soccorrere i lombardi e lo invita per la mattina successiva a salutare la partenza della brigata Guardie verso il confine.

20 marzo, a Torino 800 uomini della milizia comunale provvisoria si riuniscono, sotto una fitta pioggia, nella piazza Emanuele Filiberto per salutare il secondo reggimento di Pinerolo in partenza per la frontiera. Dopo aver sfilato davanti alla cancellata reale, il reparto della milizia si scioglie in piazza San Carlo. Gli studenti riuniti nel cortile dell’Università chiedono la chiusura dei corsi per potersi armare e correre in aiuto dei milanesi insorti. In vari punti della città si formano assembramenti arringati da oratori improvvisati; si aprono spontaneamente sottoscrizioni per i lombardi e per formare battaglioni di volontari.

20 marzo, Carlo Alberto scrive al conte di Castagneto le celebri parole: «Potete assicurare quei signori che ho date tutte le disposizioni, e che per quanto è in me ardo dal desiderio di porger loro soccorso, e che afferrerò il primo benché minimo pretesto che potrà presentarsi».

21 marzo, mentre a Milano, proveniente dal Piemonte, giunge Enrico Martini ad annunciare al comitato insurrezionale le favorevoli disposizioni di Carlo Alberto, a Torino il ministro degli Esteri riceve una delegazione di torinesi desiderosi di avere notizie sui fatti di Milano, promettendo loro la pubblicazione di un bollettino informativo. Gli studenti ottengono la chiusura dei corsi universitari a tempo, senza perdere l’anno; molti di loro si dirigono verso il deposito di Chivasso, dove si accolgono i volontari, preceduti da 150 israeliti torinesi.

22 marzo, nel corso del Consiglio di conferenza Carlo Alberto stabilisce la chiamata alle armi per portare le armate attive al completo e l’allerta di quelle di riserva, il sollecito spostamento verso il confine dei diversi reggimenti e l’accettazione delle offerte private in favore della guerra. In un tripudio di applausi e ovazioni, dopo aver sfilato in piazza Castello davanti al Re e ricevuti gli onori della milizia comunale in piazza Emanuele Filiberto, la brigata Guardie parte da Torino verso il confine col Lombardo-Veneto. Nella chiesa di San Domenico ha inizio un triduo a favore dei lombardi con grandissima affluenza di donne.

23 marzo, un’imponente dimostrazione a Torino invoca la guerra all’Austria; i manifestanti si spostano dalla residenza dell’ambasciatore austriaco a Palazzo Reale al grido di Morte all’Austria! Guerra! Guerra! Viva Milano! e si dirigono poi all’Albergo d’Europa avendo saputo che vi si sono rifugiati il duca e la duchessa di Parma; da quelle finestre si affaccia invece il conte Enrico Martini appena giunto da Milano e annuncia che la città è definitivamente libera. Carlo Alberto, acclamato a gran voce dalla folla, si affaccia alla loggia reale sventolando una sciarpa tricolore, mentre viene pubblicato il suo proclama con cui annunzia ai popoli della Lombardia e della Venezia che accorre in loro soccorso: ha inizio la prima guerra d’indipendenza.

23 marzo, il ministro degli Esteri Pareto annuncia al presidente del governo provvisorio di Milano Casati che le truppe piemontesi avrebbero attraversato il Ticino con la bandiera tricolore e che il Re manda a suo nome a Milano il generale Passalacqua. Alla base dell’intervento piemontese erano la tradizione dell’espansionismo sabaudo e l’obiettivo di consolidare l’egemonia moderata rispetto alle forti spinte democratiche presenti tra gli insorti. Tuttavia le prime settimane di guerra si sarebbero contraddistinte per un generale entusiasmo patriottico. Numerosi volontari sarebbero arrivati in Lombardia da ogni parte d’Italia. Sotto la pressione dell’opinione pubblica corpi di truppe sarebbero stati inviati dal granduca di Toscana, dal papa - al comando del generale Giovanni Durando -, dal Re di Napoli. Da Roma sarebbe partita una legione polacca guidata dal poeta e patriota Adam Mickiewicz. Mazzini, in nome della concordia nazionale, avrebbe sciolto la Giovine Italia e fondato a Parigi l’Associazione nazionale italiana, rinviando alla fine della guerra contro l’Austria la scelta tra repubblica e monarchia.

23 marzo, sul “Risorgimento” diretto da Cavour esce un articolo con le celebri parole: «l’ora suprema per la monarchia sarda è suonata».

24 marzo, a Torino, come a Milano, viene pubblicato il proclama di Carlo Alberto; una grande folla si riunisce sotto il balcone di Palazzo Reale, dal quale si affaccia Carlo Alberto con a fianco i figli e i ministri. Verso mezzogiorno, nel Duomo, alla presenza del Re e delle massime autorità dello Stato, del corpo municipale, dell’Università e di un numero grandissimo di persone di ogni condizione, l’arcivescovo Fransoni in pontificale intona, mentre rimbombavano le salve dei cannoni, il Te Deum per la vittoria dei milanesi. Il pubblico si mostra freddo verso l’arcivescovo.

25 marzo, il governatore della Divisione di Torino apre gli arruolamenti dei volontari piemontesi, italiani e stranieri per tutti i corpi dell’esercito regolare. Alle ore 9 nel Caffè di Piemonte i commercianti torinesi, per iniziativa dei banchieri Carlo Schioppo e Ignazio Casana, deliberano che ai commessi e ai giovani di negozio che vogliano arruolarsi nell’esercito, vengano conservati il posto e la paga maturata, a patto di riprendere il lavoro entro l’anno.

26 marzo, Carlo Alberto affidava l’interim del ministero della Guerra, a causa dell’assenza del generale Branzini, al conte Cesare Balbo, presidente del consiglio. Quindi alla sera, acclamato dalla folla, mentre piazza Castello, contrada di Po e piazza Vittorio Emanuele sono splendidamente illuminate, col figlio Vittorio Emanuele, lascia Torino diretto ad Alessandria per porsi alla guida delle truppe. Viene inoltre aperta la sottoscrizione per un prestito straordinario di 13 milioni di lire.

28 marzo, giunto ad Alessandria dove assume il comando dell’esercito diretto in Lombardia, Carlo Alberto nomina il principe Eugenio di Savoia Carignano luogotenente generale del Regno durante la sua assenza. Si sparge la voce che l’arcivescovo Fransoni abbia lasciato Torino; cosa che effettivamente avrebbe fatto il giorno seguente.

29 marzo, da Voghera un proclama di Carlo Alberto annuncia la guerra contro l’Austria; sul ponte del Gravellone il Re assiste al passaggio del proprio esercito ornato del tricolore e in serata entra a Pavia dove riceve l’omaggio della Lombardia e di Venezia dagli inviati dei governi provvisori.

31 marzo, dal quartier generale di Lodi, Carlo Alberto si rivolge con un proclama agli Italiani della Lombardia, della Venezia, di Piacenza e Reggio. Il colonnello Giacomo Durando, direttore de “L’Opinione”, parte per Milano quale rappresentante sardo presso il governo provvisorio di Lombardia. Lo sostituisce nella direzione del giornale Massimo Cordero di Montezemolo. Un appello anonimo del clero torinese invita a pregare per la vittoria del Piemonte. Alle ore 18, nella Chiesa della Missione, inizia un triduo solenne, al quale sono invitati i torinesi.

1° aprile, a Torino si invita la polizia a intensificare la vigilanza: in città si notano parecchi «scappati di galera», un numero insolito di «facce sconosciute», e molti di loro «ozianti, sguardanti» si trovano «nei quartieri appartati».

6 aprile, a Torino, di giorno e alla sera avanzata, un numero crescente di accattoni gira per le vie, nelle piazze, nell’interno delle case, con domande insistenti di soccorso. Sono per lo più forestieri, a detta del “Risorgimento” capaci di procurarsi «la vita col lavoro».

7 aprile, il Consiglio generale straordinario della città vota un indirizzo «ai generosi fratelli della Savoia».

8 aprile, le truppe regolari piemontesi, guidate dal generale Bava, ottengono una prima vittoria a Goito contro gli austriaci, costretti a ritirarsi nel Quadrilatero; si distinguono nella battaglia al ponte della Giraffa i bersaglieri al comando del colonnello Alessandro La Marmora, che rimaneva ferito. I piemontesi fra morti e feriti perdono 48 uomini, facendo 38 prigionieri.

8 aprile, a Torino viene proposta l’erezione di un Banco Nazionale intitolato Banco Carlo Alberto.

9 aprile, Carlo II di Borbone pone il ducato di Parma sotto l’alta tutela di Carlo Alberto e acconsente alla nomina di un governo provvisorio.

10 aprile, a Torino giunge da Milano una staffetta con la notizia della vittoria piemontese nello scontro del ponte di Goito. Presso una tipografia privata sono aperte le iscrizioni dei militi della milizia nazionale che vogliano imparare il maneggio delle armi. Si costituisce una commissione per regolare la raccolta dei soccorsi alle famiglie povere dei soldati al fronte; le oblazioni vengono raccolte presso i giornali “Il Risorgimento”, “La Concordia” e “L’Opinione”.

12 aprile, sulla torre più alta di Palazzo Madama, quella della specola, compare «un semplice T di legno rivolto verso le colline e la valle del Po», ovvero l’inizio dell’istallazione del telegrafo; molti torinesi osservano dalla piazza Castello i lavori.

13 aprile, l’esercito sardo dà inizio, alla presenza di Carlo Alberto, all’attacco di Peschiera. A Torino il luogotenente generale del Re, principe Eugenio di Carignano, fregia con la croce dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro il dottore Mollard di Chambéry, che con straordinaria energia aveva contribuito a ristabilire l’ordine turbato dall’invasione dei Voraces provenienti dalla Francia.

15 aprile, il clero torinese desidera introdurre una «nuova foggia di vestire»: un cappello rotondo alla borghese invece del cappello triangolare, e un paio di calzoni, come nel Lombardo-Veneto e in Francia, invece delle calze corte.

19 aprile, mentre per tutto il giorno piemontesi e toscani combattono contro gli austriaci attorno a Mantova, da Curtatone fino a Villafranca, senza risultati di rilievo, a Torino il proprietario del caffè Comunale, all’angolo della piazza del Palazzo di Città, per migliorare la sorte delle famiglie dei soldati al fronte, offre di cedere il decimo del prodotto lordo ricavato dalla vendita di caffè, birra, vino e altre bibite somministrate ai corpi di guardia della milizia nazionale.

20 aprile, in città giunge il tenente generale Ettore Perrone di San Martino, che dalle sue benemerenze passate era indicato come uno dei capi più adatti a guidare l’esercito piemontese alla vittoria.

22 aprile, su proposta del Consiglio dei ministri, Carlo Alberto accorda piena e intera amnistia a coloro che avevano preso parte al tentativo di invasione di Chambéry. “L’Opinione” segnala intanto che, da alcuni giorni, si stanno diffondendo nell’opinione pubblica gravi preoccupazioni sull’andamento delle operazioni militari.

24 aprile, a Torino, in Borgo Nuovo, veniva aperto il nuovo Teatro Nazionale, opera dell’architetto Courtial. Il sipario, dipinto da Gonin, alludeva alle speranze d’Italia.

28 aprile, mentre il quartier generale dell’esercito sardo si stabilisce a Sommacampagna, un decreto del luogotenente generale, principe Eugenio di Carignano, stabiliva dimensioni e colori delle insegne della milizia nazionale: m. 1,60 di altezza, m. 1,50 di larghezza, tre liste verticali e uguali in verde, bianco e rosso, con lo scudo di Savoia orlato di azzurro al centro. A Torino da alcuni giorni si registra un’insolita presenza di ragazzi nelle vie più frequentate, che gridavano lazzi e motteggi contro il clero, cercando di vendere libri anticlericali.

Riferendosi all’esecuzione di una condanna alla pubblica infamia di un giovane condotto dagli arcieri, legato e con un cartello al collo per via Dora Grossa, Aurelio Bianchi-Giovini protesta contro la sopravvivenza dell’uso della “berlina”.

29 aprile, Pio IX pronuncia in un concistoro segreto la memorabile allocuzione con la quale dichiara di non voler combattere un paese cattolico come l’Austria e di non voler presiedere una confederazione di stati italiani. Ordina il ritiro di tutti i volontari recatisi al nord sotto il comando del generale Giacomo Durando, che tuttavia non obbediva al pontefice; tutti i ministri romani si dimettevano. È la fine del mito neoguelfo e l’inizio della diserzione anche degli altri principi, le cui diffidenze nei confronti di Carlo Alberto sono andate crescendo, sia per l’evidenza del programma espansionistico sabaudo, sia per la fiacca strategia delle operazioni militari.

29 aprile, in Piemonte si registra una scarsa affluenza di sottoscrittori al prestito straordinario di 13 milioni, destinato a sopperire alle spese di guerra.

30 aprile, le forze sarde, al comando del generale de Sonnaz, attaccano gli austriaci a Pastrengo e li costringono alla fuga dopo sette ore di durissimo combattimento. Alla battaglia partecipano personalmente anche Carlo Alberto e il figlio Vittorio Emanuele. Le file piemontesi contano 15 morti e 90 feriti.

30 aprile, a Torino, dopo quindici anni di esilio, fa ritorno da Parigi Vincenzo Gioberti assieme al principe della Cisterna. All’abate viene riservata una calorosa accoglienza da parte della cittadinanza e di militi davanti all’Albergo Feder in via San Francesco. Gioberti si affaccia per poco tempo al balcone ma presto si ritirava per la stanchezza, pregando la folla di lasciarlo riposare. A sera si assiste all’illuminazione in suo onore.

6 maggio, nel giorno in cui viene sferrato l’attacco generale dell’esercito piemontese contro gli austriaci e la divisione comandata da Vittorio Emanuele si impadronisce di Santa Lucia, Vincenzo Gioberti, in compagnia del deputato meridionale Giuseppe Massari, inaugura un viaggio negli stati italiani per suscitarvi l’idea di unione al Piemonte.

7 maggio, mentre a Piacenza gli elettori votavano sull’unione al Piemonte, alle ore 17.30, nel Circo Sales fuori di Porta Palazzo, si allestisce una recita straordinaria della Francesca da Rimini da parte di una società di filodrammatici a beneficio delle famiglie bisognose dei soldati al fronte.

9 maggio, al mattino la 2.a compagnia pontieri, comandata dal capitano Alessandro Della Rovere, salpa sul Po verso il fronte, su una lunga fila di barche, cariche di uomini e di ponti di recente fabbricazione.

Si diffonde la voce, per ora infondata, della resa della fortezza di Peschiera mentre il governo provvisorio di Lombardia inizia la discussione sul progetto di unione agli stati sardi.

16 maggio, i militi della prima compagnia Monviso celebrano nella parrocchia di Santa Teresa un servizio funebre in onore del cavaliere Alfonso Balbis, già loro compagno, caduto combattendo sotto le mura di Verona.

18 maggio, con molto concorso di fedeli, i padri carmelitani scalzi celebrano nella loro chiesa parrocchiale di Santa Teresa una messa funebre in suffragio di tutti i liguri e piemontesi che cooperano col loro sangue alla redenzione italiana.

19 maggio, alla Camera subalpina, a seguito dell’intervento del deputato Buffa, il ministro Pareto dichiarava che il governo piemontese non avrebbe mai abbandonato i lombardi. In città intanto circolano voci preoccupate sull’andamento delle operazioni militari, riprese il giorno precedente alla Camera da varie interpellanze al governo.

21 maggio, a Torino si tengono manifestazioni di parecchie centinaia di operai, muratori, falegnami, stipettai, stuccatori, magnani disoccupati; da mesi a Torino, a causa della guerra, manca il lavoro, pubblico e privato, e gli operai avevano consumato nell’inverno i risparmi dell’estate precedente.

24 maggio, a Torino, scortati da quattro carabinieri e da guardie nazionali di Settimo Torinese, giungono i primi 250 prigionieri di guerra austriaci, diretti a Fenestrelle ed Exilles. Esemplare è il contegno della popolazione, che offre loro danari e sigari: «non una parola sfuggì che tradisse un risentimento pur troppo giustificato dalle atrocità commesse dai loro barbari compagni».

25 maggio, a Torino viene pubblicato dalla Stamperia Sociale un opuscolo di Achille Bartolini dal titolo Milano, Venezia e Torino ossia la questione ridotta ai suoi ultimi termini, nel quale, ipotizzando l’unione di Piemonte Lombardia e Venezia, si indica Milano come capitale del nuovo regno d’Italia; oppure Roma, nel caso dell’annessione dei territori centro-meridionali. In città intanto giunge una seconda colonna di prigionieri austriaci, condotta anch’essa, come la prima, nella Cittadella. La brigata Guardie fa celebrare nella chiesa di San Giuseppe una messa per i commilitoni caduti sul campo.

26 maggio, si registrano proteste contro la censura postale operata dalle autorità militari sulle lettere provenienti dal campo, e dirette all’interno: «Vorrebbe forse - scriveva un giornalista de “L’Opinione” - o crederebbe il governo impedire con ciò che s’ignorino gli errori di certi comandanti, le lagnanze degli uffiziali subalterni?». Alla rappresentazione data dalla Compagnia drammatica regia a favore delle famiglie povere dei soldati al campo, presenzia un pubblico molto scarso, e i palchi rimangono deserti. Come già la timida sottoscrizione al prestito di 13 milioni, anche questo è il segno dell’affievolirsi della tensione a sostegno della guerra.

26 e 27 maggio, a Torino giungono altri drappelli di prigionieri austriaci.

30 maggio, le truppe piemontesi comandate dal generale Bava si scontrano con gli austriaci a Goito, battendoli. Alla fine della battaglia si contano 46 morti, 262 feriti, 55 “mancanti”. Nell’accanito combattimento anche Vittorio Emanuele rimane leggermente ferito.

31 maggio, con l’occupazione della fortezza di Peschiera si arrendono 1.600 soldati austriaci; sul bastione Contarini viene issata la bandiera nazionale. È  il successo più importante dell’armata del regno sardo, che da questo momento avrebbe perso l’iniziativa militare.

A Torino alla sera si svolge una manifestazione con fiaccole e bandiere, inni e applausi, davanti all’albergo dove alloggiava la deputazione siciliana, composta da Paolo Amari, Giuseppe La Farina, Casimiro Pistacchi, Emerico Amari, giunta a Torino per offrire l’unione della Sicilia al regno dell’Alta Italia. I siciliani si affacciano al balcone e La Farina ringrazia.

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  • Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino