Opere ausiliarie di fortificazione
Nei mesi che precedono l’assedio del 1706, la cintura difensiva della piazzaforte di Torino è potenziata con la creazione di nuove opere di supporto alle fortificazioni urbane e della Cittadella.
Si definiscono “opere ausiliarie” tutti quei lavori, temporanei o permanenti, destinati a cooperare con le difese principali di una piazzaforte per ritardarne l’investimento o per accrescerne e prolungarne le capacità di resistenza. Tra queste sono le ostruzioni lungo le vie di accesso alla zona d’operazioni o la chiusura delle brecce d’assalto aperte dall’artiglieria assediante; l’uso dell’acqua per inondare i fossati o i terreni circostanti; il controllo del sottosuolo degli spalti per mezzo di complessi impianti di gallerie di contromina.
A Torino l’elemento “ausiliario” prevalente è rappresentato dall’arma sotterranea.
Dopo i primi isolati esempi cinquecenteschi di difesa sotterranea passiva applicati al Bastion Verde e al Pastiss, le prime installazioni concepite per opporsi attivamente a un assediante sono brevi gallerie, realizzate nel 1689, che escono dai fossati della Cittadella. Agli anni 1705-1709 si data invece la rete di gallerie progettate per la difesa di spalti e cammini coperti, estesa anche ai fronti urbani, elemento del sistema difensivo predisposto da Antonio Bertola (1647-1719) a completamento della cinta bastionata ultimata nel 1702. Senza logicamente rivestire un autonomo valore decisionale nell’assedio del 1706, tali gallerie svolgono un ruolo fondamentale nel ritardare i progressi delle forze francesi, raggruppando uno degli obbiettivi previsti per questo tipo di difesa.
La rete sotterranea del Bertola rappresenta l’applicazione degli studi e delle esperienze accumulate in ambito europeo nel campo della guerra sotterranea nel corso del Seicento. Il sottosuolo di pertinenza di una piazzaforte diviene da teatro operativo di carattere estemporaneo a vero e proprio campo di battaglia. All’interno di esso il difensore dispone di camere da mina per distruggere i lavori d’assedio e in particolare le batterie di breccia sul cammino coperto, le cui protezioni non possono essere demolite in breve tempo con il solo fuoco di controbatteria. Tali operazioni costringono i minatori avversari a lunghe e onerose operazioni di bonifica del sottosuolo.
Elemento principale di un sistema di contromina è la galleria “magistrale” disposta lungo il perimetro esterno e alla stessa profondità dei fossati, elemento basilare per la difesa del cammino coperto. Dalla galleria magistrale si dipartono, lungo le bisettrici dei baluardi di superficie, le gallerie “capitali”. All’interno di queste ultime, estese fino all’estremità degli spalti, sono scavati i “rami da mina”, che terminano in uno o più “fornelli” o “camere” per contenere le cariche esplosive. Le gallerie capitali possono essere disposte su più livelli, i più profondi accessibili dall’interno del corpo di piazza.
Tra gli elementi accessori sono infine i pozzi aperti nelle volte a botte che assicurano la circolazione dell’aria; le nicchie aperte nei piedritti per accogliere lanterne o candele per l’illuminazione; i pozzi perdenti aperti nel piano di calpestio per lo smaltimento delle acque, in alcuni casi meteoriche, altre volte introdotte dagli assedianti nel tentativo di neutralizzare queste installazioni difensive.
Bibliografia
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- Paolo Bevilacqua, Fabrizio Zannoni, Mastri da muro e piccapietre al servizio del Duca. Cronaca della costruzione delle gallerie che salvarono Torino, Giancarlo Zedde, Torino 2006
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- Paolo Bevilacqua, Fabrizio Zannoni, Le “gallerie di Emanuele Filiberto”. Breve storia di un luogo comune, in Gustavo Mola di Nomaglio, Roberto Sandri Giachino, Giancarlo Melano, Piergiuseppe Menietti (a cura di), Torino 1706. Memorie e Attualità dell’Assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale, Atti del Convegno, Torino 29 e 30 settembre 2006, Centro Studi Piemontesi, Torino 2007, pp. 291-336
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