Scheda: Oggetto - Tipo: Oggetto storico-artistico

Luci d’Artista Jeppe Hein “Illuminated Benches”

L’opera Illuminated Benches di Jeppe Hein, realizzata nel 2005, fa parte delle Luci d’Artista dal 2006. L’artista ha individuato una modalità di interazione tra pubblico, opera e luogo: le panche si illuminano quando ci si siede sopra e diventano parte integrante di un sistema modulare scultoreo e architettonico.


Lat: 45.07935397228308 Long: 7.652814546214245

Realizzazione: 2005
In occasione della T1 (Torino Triennale Tremusei, 11/11/2005-19/3/2006), per il giardino Fergat antistante la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

Data di riferimento: 2006
Nell’edizione di Luci d’Artista 2006/2007 collocata in Piazza Vittorio Veneto, nell`esedra.

Data di riferimento: 2007
Nell’edizione di Luci d’Artista 2007/2008 in piazza Carignano, nella porzione di piazza tra via Lagrange e via Cesare Battisti.

Data di riferimento: 2008
Nell’edizione 2008/2009 in piazza Vittorio

Data di riferimento: 2009
Nelle edizioni di Luci d’Artista dal 2009/2010 al 2014/2015 non è stata esposta.

Data di riferimento: 2015
Nell’edizione di Luci d’Artista 2015/2016 è in piazza Carignano

Data di riferimento: 2016
Nell’edizione di Luci d’Artista 2016/2017 è in piazzetta Reale

Data di riferimento: 2017
Nell’edizione di Luci d’Artista 2017/2018 è nell’area verde tra via Vibò, via Stradella e via conte di Roccavione

Data di riferimento: 2018
Nell’edizione di Luci d’Artista 2018/2019 è in piazza Risorgimento.

Data di riferimento: 2019
Nell’edizione 2019/2020 è collocata sempre in piazza Risorgimento

Data di riferimento: 2020
Nell'edizione 2020/2021 in piazza Risorgimento – Opera permanente in via sperimentale (Circoscrizione 4)

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Categorie

  • arte urbana

Tag

  • Luci d'Artista

01 Illuminated Benches

“L’opera è stata ideata in occasione della T1 (Torino Triennale Tremusei, 11/11/2005-19/3/2006), poi acquistata dalla Città e inserita nel circuito di Luci d’Artista. L’installazione luminosa gioca con ironia e leggerezza sul tema della comunicazione e dello spazio urbano: i due set di panchine, organizzati a ferro di cavallo, materializzano infatti la possibilità di relazionarsi e di farlo, oltretutto, tranquillamente accomodati, dunque in un momento di tranquillità. L’artista innalza un oggetto comune, sul quale lo sguardo raramente di posa, al rango di centro relazionale, dove si può generare l`incontro tra le persone, ma anche tra persone e oggetto. Innanzi tutto le panchine, illuminandosi, rendono plateale la scelta di relazione tra i diversi soggetti seduti, marcandone la distribuzione e la vicinanza, quindi la volontà di comunicare o meno. In secondo luogo, il passante, attivando il meccanismo di accensione semplicemente sedendocisi sopra, interviene sull’opera, la modifica e produce anche una metamorfosi (di luce) nell’ambiente circostante. Può così configurarsi uno spazio raccolto, caldo e quasi appartato come un salottino estemporaneo, ma allora una sola panchina accesa può sottolineare una solitudine, un’esclusione. L`approccio ludico trasforma invece l`installazione in un dispositivo che stimola compulsioni di frenesia, come sembrerebbe indicare l’uso non ortodosso delle panchine da parte di molti fruitori, che le usano come pedana di salti, compromettendone il delicato funzionamento. D’altra parte è nell’opera stessa, concettualmente implicito, il concetto di sfida, che è una declinazione possibile dell’idea di relazione, e così è stato interpretato anche il giorno dell’inaugurazione, quando un gruppo di ballerini ha danzato intorno e sopra le panchine. Per lo stesso motivo, però, in occasione delle Universiadi, febbraio 2007, le "Illuminated Benches" sono state smontate per fare spazio all’area concerti: pur non confliggendo con il palco, sarebbero infatti state sommerse dalla folla degli spettatori e danneggiate. D`altro canto, è l’autore stesso a sostenere che non esiste un uso illegittimo delle sue "Illuminated Benches", essendo contrario a porre veti all’interazione tra le sue opere e il pubblico. In ogni suo lavoro Jeppe Hein mette lo spettatore nella condizione di partecipare all’opera stessa, completandone o attivandone il significato: le sue opere sono fatte per essere manipolate o comunque attraversate fisicamente dalle persone. C’è anche una componente di studio sociale, alla maniera degli scatti fotografici in successione realizzati da Mario Merz in locali pubblici: lavorare cioè sullo spazio e la sua continua trasformazione, operato dalle persone che lo vivono. Lavorando sullo stesso tema di design, Jeppe Hein ne ha prodotto numerose varianti interattive - panchine che si muovono, che fumano - stimolato dalla loro natura di oggetti comuni e allo stesso tempo simbolici” (1).

02 Luci d’Artista

Luci d’Artista è una manifestazione nata nel 1998 da un progetto di illuminazione pubblica realizzata in occasione delle festività natalizie. In seguito al successo ottenuto nel 1997 con il Presepe di Emanuele Luzzati in piazza Carlo Felice, la Città di Torino ha esteso l’iniziativa a diverse piazze e vie del capoluogo subalpino. Sono stati invitati artisti italiani e stranieri per interpretare le illuminazioni non come semplici decorazioni ma come opere d'arte, dando vita a un grande evento culturale, a un percorso espositivo d’arte contemporanea che, con l’impiego della luce, coniuga arte a paesaggio urbano e favorisce l’incontro tra il grande pubblico e la creazione artistica. La rassegna è in continua evoluzione: aumenta il numero degli artisti coinvolti, cambiano le vie e le piazze che ospitano le opere per creare uno spettacolo sempre nuovo e diverso di illuminazione scenografica della città.

 

03 Jeppe Hein (Copenhagen, Danimarca, 1974)

“Nato a Copenhagen in Danimarca nel 1974, vive e lavora a Berlino. Le sue installazioni indagano il rapporto tra pubblico e opera d'arte, sospendendo le leggi di causa ed effetto, creando situazioni in cui gli oggetti sembrano prendere vita e reagire alla presenza dei visitatori. Le opere esistono e si attivano solo in relazione allo spettatore, suscitando contemporaneamente un rapporto di gioco e di disturbo, di dialogo e di fastidio. In Shaking Cube del 2004, ad esempio, il lavoro si attiva azionato dai movimenti non coscienti dello spettatore captati da un campo invisibile di sensori. Hein chiama in causa le percezioni e le funzioni tradizionali dell’arte, creando un lavoro che può essere vissuto solo attraverso la partecipazione”(2).

 

Note

(1)  Elisabetta Palaia in http://www.comune.torino.it/papum/user.php?context=opere&submitAction=dettaglio&ID_opera=M160

(2)    da https://www.casaportale.com/public/uploads/bio.pdf ; si veda : http://www.jeppehein.net/pages/cv.php e per bibliografia (aggiornata al 2007) http://www.comune.torino.it/papum/pdf/Hein.pdf

 

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