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per pochi, un puntino remoto su una carta geografica, tanto più che la città non era toccata dal

tour

romantico dei viaggiatori russi in un'Italia indefinita, ancora terra delle rovine antiche e

delle reminiscenze letterarie, un primo elemento di discontinuità giunge dai viaggiatori e intel–

lettuali tedeschi della prima metà dell'Ottocento. Eccettuato qualche prussiano, ora erano

anch'essi divenuti estranei a una città non romantica, geometrica, periferica, più francese che

italiana, giudicata arretrata, salvo l'esercito e l'amministrazione. Come negli stati italiani, pure

nel variegato mondo germanico l'attenzione crebbe poco prima del '48 e si rafforzò in larga

misura con la guerra all'Austria e con l'opzione moderata-costituzionale e priva di tensioni rivo–

luzionarie rappresentata dal Piemonte; essa aumenterà negli anni seguenti. Anche da Madrid si

cominciò a guardare alla città nel 1848, con un giornale che addirittura seguiva quasi giorno per

giorno le vicende torinesi, desumendole tuttavia, come allora avveniva di frequente, dall'organo

ufficiale del governo piemontese.

Ma le sfaccettature di maggior rilievo sono quelle fornite dallo sguardo di Londra e di Parigi

su Torino. Nel primo caso è evidente la sproporzione in tutti i campi tra il piccolo regno sardo e

la Gran Bretagna, per cui alla sempre più diffusa anglofilia torinese negli anni quaranta non cor–

rispondeva una analoga attenzione da parte inglese. Essa era accentuata dalla relativa indifferen–

za allora della classe politica britannica per gran parte dell'Europa e dal senso di superiorità e di

autocompiacimento del primo Paese al mondo. Tutt'altro che sconosciuta al ceto colto inglese,

Torino continuava ad essere considerata luogo di transito verso le altre regioni italiane, capitale

di un Paese retrogrado, persecutrice dell'ammirato Mazzini, inferiore al peso di Genova col suo

porto e la rete di scambi. Pure in Francia operavano i due piani della politica e dell'opinione

pubblica, ma non erano sostanzialmente convergenti come in Gran Bretagna. Per ora i politici

continuavano a coltivare la prospettiva tradizionale del Piemonte-cuscinetto rispetto all'Austria

e non ne incoraggiavano le iniziative. Intanto però gli emigrati politici piemontesi si sforzavano

di erodere a livello di opinione pubblica tale chiusura, ed erano aiutati dall'infittirsi degli inter–

venti di giornali e riviste dopo il 1846, e da una maggiore attenzione per Torino degli operatori

economici francesi, dei tecnici, degli studiosi, di artisti e letterati.

Un'altra sfaccettatura nell'immagine di Torino è quella fornita dal punto di vista del nemico.

La città subalpina rimaneva per lo più ignota agli austriaci, ma non al governo, consapevole

delle ambivalenze politiche piemontesi, ma anche degli stretti rapporti di parentela fra le due

ca e regnanti, dell'alto livello delle relazioni diplomatiche, della presenza a Torino di un ancora

robu to partito austrofilo. Fu di nuovo il '48 ad avere un effetto di rapida accelerazione dell'at–

tenzione ver o il nemico e la sua capitale, addirittura accentuandone il peso, con !'identificarli

- da parte conservatrice - come i soli possibili scardinatori dell'egemonia austriaca sull'Italia

intera e, pecularmente dai radicali, come l'incarnazione delle speranze di tutta la penisola.

In

altri due conte

ti,

infine, furono gli scambi commerciali a divulgare l'immagine di una

città moderata e in via di modernizzazione. Per i belgi, che fino al '48 non ricambiavano l'atten–

zione lor ri rvata dai torine i colti, fu l'ingente quantità di armi acquistate presso le loro fab–

brich dall esercito piemonte e, in occasione della guerra, a far crescere l'attenzione per Torino.

Mentr gli tatuniten i alla ricerca di scambi e di tecnologie, si rivelarono acuti e solidali osser-

at ri del rili

militare e del pe o moderato piemontese nelle vicende del '48 italiano.

Ai

loro

chi la città era un porto di tabilità in una penisola di difficile comprensione e i piemontesi

eni an c n iderati

gli

yankees

d'Italia.

rane i pru iani o

yankees

eh embrassero gli abitanti, pure nell'ottica complessiva di

T<

rin fu ri di Torino il

1

48 appare dunque come uno spartiacque, tra un prima fatto di

tanziale traneità e un dopo di ere cente attenzione: frutto senza dubbio della rapida accele–

n impr a alla toria europea dall'anno dei miracoli ma anche della collocazione modera-

tituzi nale-dina tica in

o a unta dalla capitale del regno sabaudo. TI processo succes-

ar' tutt altr che r ttilineo l infinito mareggiare della toria conoscerà alti e bassi, nulla

aut rizza allora - tantomeno autorizza o

si -

a ipotizzare uno bocco obbligato. Ma fu un

merit indi utibile dell

élite

liberale m derata piemontese e italiana

in

formazione avere colto i

primi forti gnali di un proc o

in /ieri

e di a ere aputo assecondarlo e soprattutto costruirlo

nel de ennio ucc

i

o.

Umberto Levra - Rosanna Roccia

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