Scheda: Luogo - Tipo: Edifici

Caffè Fiorio

Lo storico locale aperto in contrada di Po sul finire del Settecento divenne, durante la Restaurazione, uno dei punti di ritrovo della nobiltà e per le sue frequentazioni luogo anche celebrato come caffè dei “codini”.

Dal periodo postunitario più volte rimaneggiato, è oggi, tra i numerosi caffè storici di via Po, uno dei pochi in attività.


VIA PO 8

Notizie dal: 1780
inizio attività

Variazione: 1800
ca.

Rifacimento: 1845

Rifacimento: 1920
ca.

Ampliamento: 1930
e rifacimento, ca

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  • risorgimento | caffè

Tag

  • mostra contemporanea | mostra risorgimento | locali storici

1. Cenni storici

“Che si dice al Caffè Fiorio?”. Sembra che con questa domanda tutte le mattine il re Carlo Alberto (1798-1849) aprisse le sue udienze, e a ben donde per un locale che, aperto intorno al 1780, rilevato poi dai fratelli Fiorio all’inizio dell’Ottocento, era diventato negli anni della Restaurazione il ritrovo preferito di intellettuali, aristocratici, ufficiali e diplomatici. Certo, il fatto che fosse conosciuto anche come caffè dei “codini”, dei “machiavelli” o peggio ancora caffè “Radetzky” (dal nome del generale austriaco che sconfisse i piemontesi nella prima guerra d’indipendenza nel 1848-1849) la diceva lunga sulle frequentazioni politiche del locale: irriducibili conservatori che si contrapponevano agli ardenti patrioti del caffè Calosso di via Dora Grossa, ora via Garibaldi. E la sua fama passò anche in letteratura se nel 1845 un anonimo scriveva: «Di nobilitade emporio/ chiuso alla plebe vile/ risplende il caffè Fiorio/ che in sua grandezza umile/ solo ornamenti apprezza/ del tempo di Noè:/ evviva la bellezza/ del nobile Caffè». Sempre nello stesso anno il locale venne rinnovato nell’aspetto grazie a divani di velluto rosso, specchiere, affreschi e sculture di celebri artisti come Francesco Gonin (1808-1889) e Giuseppe Bogliani (1805-1881). Ma frequentato anche dalla borghesia cominciava a non essere più il Fiorio di una volta, tanto che nel 1850 cambiò il nome in "Caffè della Confederazione italiana. Si dovette aspettare la fine del secolo perché la nobiltà ricominciasse a frequentare le dorate sale del “Caffè Fiorio”.

Il locale del 1780 si presentava al fruitore come un ambiente dimesso con la caratteristica principale di essere buio, a causa della scarsa illuminazione dalle candele: per ovviare a questo problema nei decenni successivi si fornì di molti specchi, così da poter amplificare l’illuminazione. Un'immagine di come doveva presentarsi il caffè in quel periodo ci è fornita dalla sua insegna dipinta ad olio oggi conservata al Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama.

Con l’installazione dell’illuminazione a gas, in uso dal 1838, il modo di vedere e concepire gli ambienti interni cambiò notevolmente, non a caso nel 1845 vennero fatti importanti lavori di restauro all’interno del locale. A quest’epoca risalgono i salottini con divani e le sedie in velluto cremisi, ripresi e rimaneggiati nei primi del ‘900, le specchiere preziose che decorano le pareti e gli stucchi delle due sale principali, con modanature a motivi floreali.

Il locale ha subito nel periodo postunitario una lunga serie di rimaneggiamenti e ampliamenti tra i quali si segnalano, nei primi anni del Novecento, l'ingresso a bussola da via Bogino, l'allestimento della sala d'accesso verso il 1920, probabilmente nello stesso periodo in cui inizia, con la famiglia Sodano, la produzione e la vendita dei suoi rinomati gelati, e la creazione nel decennio successivo della sala da ballo e la formazione dell'attuale devanture

 

2. Arredi esterni

Nel sottoportico di via Po, la devanture è formata da un alto zoccolo di pietra grigio-scuro, ripresa anche nella cornice di coronamento, e da semplici lastre rettangolari in marmo con venature gialle che ricoprono la parete dell'edificio fino all'imposta della volta, a lato dell'ingresso. Questo è profilato da una semplice incorniciatura in marmo grigio e serramenti in ottone: la porta centrale ha due vetri laterali e scritta in oro sul vetro fisso nella parte superiore che funge anche da insegna.

L’insegna sopra l'ingresso, composta da grandi lettere bianche applicate direttamente sulla pietra, è affiancata da due grosse lanterne esagonali in ottone. Nel sottoportico è ancora presente la vetrina angolare a pilastro, un unico sportello con infisso metallico su zoccolo in pietra verde di serpentino e alta lastratura chiara, con un’insegna su vetro nero.

Il caffè continua su via Bogino con una sequenza di finestre, con semplici infissi in legno, e un ingresso con incorniciatura in pietra e relativa insegna metallica moderna. Una piccola vetrina moderna destinata alla distribuzione dei gelati è sormontata da una caratteristica pagodina sostenuta da mensole a volute in ferro battuto e rivestita da scandole in vetro armato giallo.

3. Arredi interni

Il locale si apre con una prima sala bar-caffetteria e presenta ancora oggi l'elegante e ricco bancone semicircolare in marmo in giallo di Siena progettato da G. Salvini ed eseguito dalla ditta Stella intorno al secondo decennio del Novecento. Sulle pareti alle spalle del bancone, grandi specchiere rilettono le luci di un grandioso lampadario a doppia corolla con elementi in pasta di vetro a foglia; il pavimento realizzato in  marmi policromi verdi, gialli e grigi creano una decorazione ad intreccio. Il locale si sviluppa in corrispondenza di via Bogino, con due salottini ottocenteschi, di diverse dimensioni, in successione,  che conservano originali stucchi con modanature a motivi floreali:  la prima, detta sala del Whist, per ricordare la prima seduta dell’omonimo club, elitario circolo torinese, tenuto da Camillo Cavour nel 1841,  è arredata con divani foderati in velluto rosso lungo tutto il muro perimetrale e poltroncine neosettecentesche, tavolini circolari in pietra. Sulla parete, rischiarata da grandi specchi, è collocata la copia dell’insegna ad olio del locale ora conservata nel Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama. Un grosso orologio dorato è sospeso all'arcata di passaggio alla sala successiva. Da quest'ultima si apre l'ingresso laterale al locale, una bussola liberty con elegante serramento in legno e copertura in vetro policromo cattedrale. Questa sala, chiamata “Vagoncino di Cavour”, ha ospitato riunioni antifasciste durante gli anni '30 del Novecento: l’arredamento originale ancora conservato riprende le tipologie della sala precedente con divani addossati al muro, tavoli rotondi e poltroncine rosse. La successiva  “sala da ballo” si sviluppa in linea perpendicolare all’andamento del locale: l'ampio salone, cadenzato da due archi a profilo mistilineo, sottolineato da bordo dorato segmentato, è stato creato verso il 1930. E' arredato con divani addossati al muro e un infilata di poltroncine con schienale e seduta rivestite da tessuto floreale a fronte di molti tavolini quadrati in legno e ripiano in marmo chiaro. Sul muro di fondo, una grande porta a vetri con disegno a losanghe e serramento in legno scuro introduce all'area di servizo; intorno, pannelli con profilo esterno sagogmato e decorazione centrale di silouette dorate raffiguranti figure e paesaggi, formano un grande portale dalla funzione meramente decorativa.

Al lato opposto della sala, una grande bella scala in legno dall’andamento mistilineo conduce al piano superiore che presenta un'identica di partizione di spazi di quello inferiore, allestito in anni recenti.

Fonti Archivistiche

  • Legge Regionale 4 marzo 1995/n. 34 “Tutela e valorizzazione dei locali storici” catalogo Guarini Piemonte, presso CSI Piemonte, Delpiano Paola / Ruffino Paola, scheda n. R0288680 e Allegati

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Ente Responsabile

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  • MuseoTorino, 2016