Scheda: Evento - Tipo: Storico

26 – 28 aprile 1945 L’insurrezione e la liberazione

Il CLN regionale piemontese, forzando l’atteggiamento attendista degli alleati, decide di diramare la parola d’ordine “Aldo dice 26x1”, fissando per l’una di notte del 26 aprile 1945 la data dell’attacco partigiano a Torino. Seguono giorni febbrili, di trattative con gli occupanti tedeschi e scontri in città, ma il 28 aprile il CLN si insedia in Prefettura e nomina le nuove autorità cittadine. Quando il 3 maggio le truppe alleate arrivano a Torino, la città è ormai libera.


Data dell'evento: 26 Aprile 1945 - 28 Aprile 1945

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01. «Siamo ripartiti, a piedi...

«Siamo ripartiti, a piedi, e dall’ospedale abbiamo preso via Madama Cristina, camminando in fila indiana, per evitare i colpi dei cecchini. Abbiamo attraversato corso Vittorio Emanuele, poi abbiamo percorso via Accademia Albertina fino a piazza Carlina, dove abbiamo “beccato” un cecchino; infine abbiamo girato in via Maria Vittoria e, sempre in colonna, abbiamo raggiunto la casa del Littorio, sede provinciale del partito fascista, che aveva l’ingresso in via Carlo Alberto. […] Non c’era più nessuno. Era stato abbandonato. Era rimasto qualche stupido cecchino sui tetti a sparare contro di noi, che eravamo a piedi. […] Abbiamo cominciato a girare per le stanze sparpagliandoci da ogni parte. I compagni che si erano introdotti nella cantina sono risalti dicendo che era minata. È stato necessario procedere allo sminamento. Nella cantina c’erano cinque o sei scatoloni, non ricordo bene, adagiati alle colonne portanti che i fascisti non avevano fatto in tempo a far saltare in aria. Negli scatoloni c’era tutta la documentazione degli appartenenti alle brigate nere, con tanto di foglio di domanda, di fotografia e di dati anagrafici. Guardando le foto abbiamo riconosciuto parecchia gente. All’ultimo piano, nella soffitta, invece, c’era un laboratorio per costruire i Parabellum. C’erano armi già funzionanti e altre in lavorazione. Le armi funzionanti le abbiamo subito prese.»

Michele Ficco, La Gioventù che resta. La storia del partigiano Michele, della brigata e del palazzo Campana, Editori Riuniti, Roma 2005

 

02. «Giungemmo in via...

«Giungemmo in via Santa Maria ove erano appostati molti partigiani che salutarono i nostri militi [infermieri del Sovrano militare Ordine di Malta] con grande affetto ed entusiasmo. Ma in via San Dalmazzo non si poteva passare: i colpi erano così fitti che sembrava materialmente impossibile attraversare la via. Fermammo l’ambulanza al riparo dell’angolo e ci avviammo a piedi, stendardo in testa. Con due barelle. Quando si trattò di ritornare alla macchina, la sparatoria si era ancora infittita: da una casa vicina sparavano con i mitra e, per ben due volte, la nostra bandiera, che sventolava dal portone, fu lacerata dai colpi.

I feriti già in barella, terrorizzati, supplicavano perché non li si portasse fuori: d’altra parte nell’ambulanza avevo già delle persone che necessitavano il trasporto: bisognava passare a qualunque prezzo. Mi feci sul portone e urlai, tra il fragore dei colpi, che non sparassero sui feriti. Poi tutti passammo, mentre le fiammelle delle pallottole sfioravano i nostri piedi. Ci fu detto che i cecchini erano due repubblicani che si erano così saldamente asserragliati nella casa che era impossibile snidarli: sparavano sui borghesi, senza pietà. Difatti i colpiti da me raccolti erano tre donne e un ragazzo.»

Irene di Collegno-Rignon, I nostri: vita clandestina in Piemonte, Viglongo, Torino 1947

 

03. «I giorni più belli...

«I giorni più belli sono stati quelli dell’insurrezione, che è stata silenziosa, disciplinata, fermissima. Il CLN l’ha scatenata contro la volontà degli alleati e per 36 ore la città è stata tenuta solo dalle formazioni cittadine, malissimo armate, ma animate da uno spirito e da un’organizzazione incredibili. […] Gente in tutte le fogge e tutte le divise, con le armi più strane, con le barbe più inverosimili: e i nostri cannoncini sgangherati, i nostri carri armati ricoperti delle scritte più bislacche. […] E la sensazione che non è stato inutile, la convinzione - letta negli occhi degli impassibili ufficiali alleati - che quello era un vero esercito…»

Da una lettera di Giorgio Agosti a Carlo Dionisotti, 18 maggio 1945, Archivio Istoreto – Fondo Agosti.

 

Fonti Archivistiche

  • Archivio Istoreto

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Ente Responsabile

  • MuseoTorino 2020