Scheda: Soggetto - Tipo: Impresa

FERT

Sorta nel 1919 è tra le più note case cinematografiche torinesi. A seguito di alterne vicende, muta più volte ragione sociale e denominazione, affiancando alla produzione cinematografica l’attività di locazione di ambienti per riprese cinematografiche, televisive pubblicitarie, attrezzature oltre alla fornitura di personale tecnico. Dopo una fase di sviluppo negli anni della seconda guerra mondiale, conosce un progressivo declino, che nel 1973 porta alla cessazione delle attività. Oggi l’area ex Fert è sede di un centro di formazione e produzione multimediale.

 


Nascita: 1919

Fine/Cessazione: 1973

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1. Dalle origini alla Fert-Pittaluga (1919-1925)

Fondata a Roma nel 1919 da Enrico Fiori e Stefano Pittaluga, proprietario della società di produzioni SASP (Società Anonima Stefano Pittaluga). L’azienda costruisce due stabilimenti, uno a Roma e l’altro a Torino avviando le lavorazioni nel 1920, anno nel quale gira, complessivamente, 20.422 metri di pellicola per un totale di dodici film, il primo dei quali intitolato L’innamorata. Nel 1921, dopo l’entrata in funzione degli studi torinesi, dotati di tecnologie all’avanguardia, la Fert aumenta il numero delle proprie produzioni, distribuendo «diciassette film, per un totale di 25.668 metri di pellicola» (1). Nel febbraio dello stesso anno muta ragione sociale, trasformandosi in società per azioni, il cui pacchetto di maggioranza, nel 1922, è rilevato dalla SASP, che pone Stefano Pittaluga alla presidenza della Fert, contemporaneamente abbandonata da Enrico Fiori. Un mutamento che provoca una paralisi della produzione, con l’abbandono degli studi romani e la sospensione delle riprese in quelli di Torino. L’anno seguente l’attività dell’azienda si limita alla distribuzione nelle sale cinematografiche di pochi film e alle riprese di due pellicole di avventura girate in ambienti esterni, che segnano il passaggio da una produzione basata su lavori drammatici o sentimentali, a una specializzazione in trame avventurose. Nel 1924 il complesso torinese riapre i battenti e la produzione rivede qualche timido segnale di ripresa. Si tratta di una luce effimera: nel 1925, nell’ambito di una riorganizzazione della SASP, Stefano Pittaluga, annuncia all’assemblea dei soci che «la Società Fert ha ormai completamente esaurito l’oggetto per cui era stata costituita» (2). Un passaggio che sancisce l’azzeramento del capitale, la fine del marchio Fert e la creazione di una nuova società, la Fert-Pittaluga che, specializzata nel noleggio e nell’esercizio, sembra lasciare poco spazio alla produzione.

 

2. Un nuovo tentativo di rilancio (1934-1939)

Nel 1925, dopo aver liquidato la società Fert, la SASP acquista definitivamente lo stabilimento di corso Lombardia, fino all’epoca utilizzato in locazione, e concentra i propri sforzi nella costituzione di nuove società di gestione degli impianti, coinvolgendo la Microtecnica alla quale si chiede di adattare gli studi torinesi alle nuove esigenze dettate dall’avvento del sonoro nella cinematografia italiana, fattore che proietta il ramo torinese dell’azienda in un periodo di pressoché totale inattività. Infatti la SASP decide di attrezzare per le nuove tecniche di ripresa il solo stabilimento di Roma, utilizzando quello di Lucento esclusivamente per la lavorazione di due pellicole (Don Bosco, 1934 e Contessa di Parma, 1936) e per «il doppiaggio e la sonorizzazione di una terza, Jungla nera» (3). Il 1939 segna l’anno della svolta: Alfonso De Giglio, Pietro Grana e Giulio degli Esposti, eminenti personalità del cinema cittadino, fondano a Torino le Industrie Cinematografiche Italiane Fert (ICI-Fert) che, rilevando la gestione degli impianti della vecchia Fert, si propongono non solo di entrare nel mercato della produzione cinematografica, ma anche in quello della locazione di teatri, locali, attrezzature e della fornitura di personale qualificato a case di produzione interessate a lavorare a Torino, città nella quale i costi si presentano inferiori rispetto a quelli della capitale. Una scelta destinata a risultare vincente, soprattutto per la funzionalità delle attrezzature tecniche del complesso torinese, che con una capacità produttiva di «venti film a lungometraggio all’anno» (4), si pone al livello dei maggiori stabilimenti italiani.

 

3. Gli anni della guerra 1940-1945

Gli anni della seconda guerra mondiale coincidono con il periodo di maggior sviluppo dello stabilimento: nel 1940 nei teatri di posa della ICI-Fert sono realizzate tre pellicole, salite a nove nel 1941 e a quindici nel 1942. Un’attività fervente, che non coincide però con un andamento economico soddisfacente, come dimostra l’esercizio di bilancio del 1943 (che vede scendere a tre il numero di pellicole prodotte), chiuso con una perdita di 275.742 lire (5). La firma dell’armistizio e l’avvento della Repubblica Sociale Italiana non segnano la fine del cinema a Torino che, al contrario, sembra vivere, almeno dal punto di vista quantitativo delle pellicole realizzate, una seconda giovinezza. Una produzione che ha il suo punto nevralgico proprio negli studi ICI-Fert che, pur danneggiati dalle incursioni alleate, continuano le lavorazioni a ritmi serrati, rappresentando «una valida alternativa ai teatri di posa di Venezia» (6). Al termine delle ostilità l’attività riprende con la realizzazione di un lungometraggio (La signora è servita) e quella di Aldo dice 26X1, documentario storico che affianca immagini di vita partigiana a ricostruzioni sceniche della liberazione di Torino, alcune delle quali girate nello stabilimento cittadino, utilizzato anche per le attività legate alla post-produzione. Lavori di assoluto interesse, ma di scarso ritorno economico, che non sembrano risolvere il problema cruciale dell’azienda nell’immediato dopoguerra, quello di riuscire a ottenere una continuità lavorativa che le consenta di rappresentare, dal punto di vista della produzione cinematografica, un polo alternativo a Roma.

 

4. Un lento declino (1945-1973)

A far sperare in una ripresa ad ampio raggio delle attività lavorative dello stabilimento ICI-Fert è l’arrivo a Torino del produttore Luigi Rovere, che utilizza per le proprie pellicole gli studi della società, della quale, dopo un coinvolgimento economico sempre più rilevante, diventa maggiore azionista e, successivamente, amministratore delegato. Un impegno coinvolgente, che non è sufficiente a dare l’esclusiva al complesso torinese, il cui utilizzo è progressivamente soppiantato da altri impianti romani, limitando gli studi della ICI-Fert a ospitare episodicamente società minori per lungometraggi di seconda fascia. Un’attività rarefatta, acuita da un passivo economico di dimensioni sempre più consistenti che accompagna lo stabilimento negli anni successivi, durante i quali le maggiori opportunità lavorative sembrano legate, oltre che a qualche raro film, alla pubblicità e alla televisione. Un passo che non è sufficiente a evitare una fine, soltanto rimandata. Nel 1960, dopo aver ridotto il capitale e mutato denominazione sociale in Fert Industria Cinematografica Italiana Società Anonima (Fert-ICI sa) per far fronte al deficit accumulato, l’azienda riduce drasticamente il personale e limita l’attività alla sola locazione di teatri di posa, girando soltanto un film, Ciak si muore!, nel 1973. È l’ultimo respiro: il 30 ottobre dello stesso anno il consiglio di amministrazione dà le dimissioni ed entrano nei nuovi organismi dirigenziali personalità legate al mondo dell’edilizia cittadina, estranee agli ambienti cinematografici. Pochi giorni dopo, il 26 novembre viene deliberata la fusione della Fert-ICI nella Siet spa (Scavi Industriali Edilizia Trasporti), che sta «completando un programma di acquisizione di immobili che possono essere in futuro suscettibili di una utilizzazione edificatoria» (7). Su queste parole, per la Fert, scorrono definitivamente i titoli di coda. Attualmente l’area Fert, acquistata dal Comune di Torino nel 1996, ospita un centro di formazione e produzione multimediale.

 

Note

1. Alberto Friedemann, Fert. Storia di un nome, di due società e di tre stabilimenti, Associazione Fert, Torino 2008, p. 18.

2. Alberto Friedemann, Fert cit., p. 26.

3. Alberto Friedemann, Le case di vetro. Stabilimenti cinematografici e teatri di posa a Torino, Associazione Fert, Torino 2002, p. 108.

4. La capacità produttiva dello stabilimento ICI-Fert è riportata in Almanacco del cinema italiano.1943/XX, Edizioni Cinema, Roma 1942.

5. I dati relativi alla produzione ICI-Fert durante la seconda guerra mondiale si trovano in Alberto Friedemann, Fert. Storia di un nome, di due società e di tre stabilimenti, cit., pp. 39-40.

6. Alberto Friedemann, Le case di vetro, cit., p. 112.

7. Il testo completo del verbale del Consiglio di Amministrazione che delibera la fusione della Fert-ICI sa nella Siet spa si trova in in Alberto Friedemann, Fert. Storia di un nome, di due società e di tre stabilimenti, cit., pp. 56-57.

 

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