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città che hanno delle dimensioni che le

città italiane non hanno ancora rag–

giunto: Londra, Parigi, Berlino - no–

nostante le distruzioni e separazioni che

ha avuto - città che hanno dimensioni

tali per le quali questo problema natu–

ralmente assume una gravità maggiore.

Però ci sono anche in Italia delle città

che hanno superato il milione di abi–

tanti, in cui questo problema assume

un suo significato; ed esso è stato sen–

tito da diversi comuni italiani, ed an–

che nella nostra Città lo si è posto, ed

è stato oggetto di discussione.

Se vogliamo impostarlo da un punto di

vista astratto e teorico, si presenta una

serie di quesiti.

Esistono nella vita

di

una grande città

delle unità individuate che possano pre–

cisamente individuare un quartiere co–

me una realtà comunitaria, e cioè effet–

tivamente una comunità che abbia una

sua caratteristica e che non sia soltanto

disegnata su una carta geografica della

città con una determinata estensione o

in rapporto al numero degli abitanti?

~eg1ispostamenti

pendolari di popola–

ZIOne, che avvengono quotidianamente, e

nelle diverse agglomerazioni che si forma–

no, si può individuare quella rispetto alla

quale il quartiere può essere raffigurato?

Per es. , gli operai che lavorano in una

determinata fabbrica, o i commercianti

che operano in una zona (e cosi via),

le cui abitazioni sono sparse in quartieri

diversi della Città, appartengono soltan–

to ai quartieri di abitazione, oppure an–

che in rapporto al luogo di lavoro, o

di operatività, costituiscono in qualche

modo una comunità?

È

possibile generalizzare a tutto il terri–

torio cittadino la ripartizione della Cit–

tà in quartieri? Noi vediamo chiaramen–

te

il

quartiere, una comunità distinta,

dove un'agglomerazione

è

un po' sepa–

rata anche dal punto di vista topogra–

fico. Se essa è separata da qualche Km. ,

se in mezzo ci sono boschi e verde, allo–

ra si può dire che è ben individùata.

Possiamo ancora scorgere tale indivi–

duazione in determinate zone della pe–

riferia cittadina. Ma in un centro cit–

tadino, che è vasto e mescolato, come

si segnano i confini? Guardiamo alle vi–

cende di una ripartizione comunitaria

che i fautori della dottrina della comu–

nità (per ricordare una figura recente

che ha operato in Piemonte, citiamo

Adriano Olivetti) portavano come sag–

gio esemplare, quello che rappresenta

nella Chiesa la parrocchia. Noi possia–

mo constatare che attualmente la co–

munità parrocchiale ha ancora una sua

pienezza nei paesi, una sua individua–

lità in quartieri periferici delle città,

mentre nel centro cittadino se ne con–

fondono i margini e se ne perde il

ri–

chiamo.

Una volta che noi, superate le difficoltà,

possiamo individuare dei quartieri, co–

me facciamo a dare al quartiere una sua

strutturazione? Detta strutturazione non

è ancora prevista dalla legge, la quale

potrebbe anche stabilire di fare delle

elezioni nei quartieri stessi. Ma finchè

questi non sono istituzionalizzati attra–

verso la legge, come regoliamo la rap–

presentanza di questi quartieri?

Qui ci possono essere delle vie diverse,

di cui la più semplice, già seguita in

altre città, sarebbe quella di costituire

rappresentanze di quartiere colla propor–

zione dei rappresentanti dei partiti qua–

le esiste nel Consiglio Comunale. Però,

facendo questo, rischiamo di costruire

una rappresentanza di quartieri basata

solo sui partiti, e non sfruttiamo lo sco–

po dei quartieri, che è quello di far

partecipare alla vita comunitaria e ai

problemi pubblici tutta la popolazione,

anche se non è iscritta, e non partecipa

attivamente, ad alcun partito. "–

L'optimum parrebbe essere che si · for–

masse nei quartieri una rappresentanza

spontanea dei cittadini. Noi abbiamo a

Torino esempi di formazioni spontanee,

di vario tipo, avvenute in alcuni quar–

tieri: Vanchiglietta, Falchera, Borgata

Parella, ecc., valide organizzazioni spon–

tanee che, in forma diversa, perseguo–

no scopi diversi (taluno le rivendicazio–

ni del quartiere, altri l'approfondi-

I partecipanti al dibattito; da sinistra:

il dotto Zallone, pli,

la cons. Di Pietrantonio, pri,

l'avv. Dezani, dc,

il

sindaco pro!. Grosso,

il pro!. Detragiache, l res,

il dotto Berti, pci,

e il pro!. Lamberto, psu

mento della struttura sociologica di es–

so, ecc.), e che ci hanno dimostrato in

concreto una pluralità degli scopi. Re–

sta il punto, circa

il

mezzo per garantir–

ne la spontaneità e assicurarne la rap–

presentatività.

Può porsi la domanda se non sia utile

procedere in modo sperimentale, sfrut–

tando esperienze diverse, accogliendo la

voce degli organismi che si sono costi–

tuiti, promuovendo nuove iniziative, e

cioè sia la formazione di altri, sia lo

sviluppo di quelli esistenti.

Credo di avere assolto al mio compito,

di introdurre la Tavola Rotonda colla

presentazione di una problematica: ho

voluto, cioè, enunciare quelli che sono

i vari problemi che si possono dibatte–

re, e per cui la rivista «Torino» ha

invitato uomini, di concezioni e ori–

gini diverse, a questo dibattito che ap–

punto deve essere improntatq ad una

sincera discussione.

Giuseppe Grosso

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