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Sin dall'indomani della Liberazione, nel
varare il
Programma per la nuova Co–
stituzione
(aprile, 1946), l 'ono Gonella
già denunciava nel centralismo l 'arma
tipica del dispotismo ed una delle cause
della permanente ostilità contro il po–
tere da parte dell'opinione pubblica.
Già allora si auspicava il massimo svi–
luppo dell'autonomia comunale, nel qua–
dro delle gloriose tradizioni di libertà
dei Comuni italiani. Coerentemente con
il passato, in occasione delle ultime ele–
zioni amministrative, alcuni partiti fe–
cero del decentramento amministrativo
e democratico uno dei punti essenziali
del loro programma. Oggi come oggi
non si tratta soltanto più, ovviamente,
di decentrare i servizi comunali per
il
disbrigo delle pratiche burocratiche a
favore di coloro che risiedono lontani
dal centro, poichè in questo caso si po–
trebbe facilmente dire che l'ammini–
strazione comunale ha già almeno par–
zialmente risolto
il
problema facendo
sorgere in numerosi rioni nuovi della
città uffici di recapito e smistamento
delle pratiche. Il problema, naturalmen–
te, va oltre: si tratta in effetti di for–
mare organicamente dei veri e propri
«centri di vita civica» in quelle zone
dove risulta palese l'odierna mancanza
di relazioni continuative con
il
vecchio
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centro storico. Il continuo estendersi
della città determina non solo difficoltà
nella circolazione urbana, ma anche un
certo senso di disagio per quanto con–
cerne le comunicazioni e i contatti fra
quartiere e quartiere, specie se non con–
finanti .
In questa atmosfera discontinua l'in–
dividuo opera a fatica e si sente estra–
neo alle scelte della città, oggi fatte da
organismi troppo lontani dalla popola–
zione. La D.C. sente come essenziale il
problema dell 'autonomia di quartiere,
ma proprio in omaggio al principio che
vuole il riconoscimento del libero appor–
to dei cittadini, reputa necessario che,
in questo campo, le iniziative e gli orien–
tamenti nascano , come suoI dirsi , dal
basso. Per questo motivo occorre oggi
identificare nel termine «città» grandi
circoscrizioni che possano esprimere, cia–
scuna, una « famiglia » di quartieri nel
cui ambito sia più agevole suscitare un
impegno preciso delle amministrazioni
e dei cittadini. Compito primo dei Co–
mitati di quartiere sarà perciò quello di
cogliere le aspirazioni di ciascuno, nel–
l'ambito della zona e dell'ambiente in
cui vive, impegnarlo ad impiegare nella
vita sociale la propria attività e la forza
morale di cui è capace.
A che punto si è oggi? Se vogliamo con-
siderare l'obiettivo cui si tende biso–
gna convenire che siamo sì agli inizi,
ma, almeno, già sufficientemente avanti
sulla via della sperimentazione. Ne è
esempio ormai decennale - per resta–
re nella nostra città - l'Unione Civica
della Falchera.
È
stato giustamente ri–
tenuto significativo che proprio da un
quartiere di edilizia popolare sia venuto
il primo esempio ed il primo risultato
positivo per quanto concerne questo
problema. (Altri comitati funzionaho nei
quartieri delle Vallette e di Mirafiori
Sud). Vi è stato, naturalmente, un pre–
liminare processo di sperimentazione di
qualche anno, durante
il
quale il Centro
Sociale di quel comprensorio ha svolto
la necessaria attività «propedeutica »,
non limitandosi quindi ad opere pura–
mente assistenziali, ma svolgendo anche
in continuità un'opera di sollecitazione
democratica e di appello a tutti gli abi–
tanti a prendere parte alla vita del
quartiere.
Come pone giustamente in rilievo l'As–
sessore Mina nel suo schema di delibe–
razione approntato sull'argomento,
il
decentramento amministrativo costitui–
rà, peraltro, un provvedimento assai
complesso e dovrà perciò essere studiato
ed attuato con la massima oculatezza in
modo da offrire i servizi richiesti con
il
minor costo e con il minimo disagio
possibile per i cittadini. Ovviamente
essenziale sarà anche il giungere ad una
esatta definizione del « quartiere », delle
sue consistenze territoriali e demogra–
fiche , e ricollegarsi ai servizi esistenti ed
alla urbanizzazione già realizzata. Ma
anche se non mancheranno le difficoltà
e sarà necessario non lesinare gli
sforzi, sarà nostro dovere dar seguito
alle attuali iniziative che, d'altra parte,
stanno riscuotendo un grande successo
popolare. In effetti sarà necessario sfrut–
tare questa volontà di dialogo costrutti–
vo che da più parti (associazioni, partiti
e sindacati) ci viene offerta, se deside–
riamo che i futuri comitati di quartiere
esprimano realmente la volontà popo–
lare e siano proiettati verso il futuro .
Il decentramento ammInIstrativo non
dovrà infatti essere un semplice « prov–
vedimento» più o meno provvisorio,
ma l'inizio di un nuovo modo di vita
civica, un metodo democratico di affron–
tare e risolvere i problemi urbani.
Il problema tipico di ogni grande città
in evoluzione è quello «numerico» e, a
questo proposito, è stato anche citato
Huxley,
il
quale ha scritto che «la
quantità della popolazione sta peggio–
rando la qualità della vita umana ».
Il rimedio tecnico è perciò indicato nel–
la articolazione e nel pluralismo attra–
verso cui è possibile riorganizzare la
vita dei grandi agglomerati urbani. Poi–
chè, sino ad oggi, anche i più grandi
urbanisti non hanno ancora saputo ri–
spondere alla domanda se esiste un li
mite, e quale sia la giusta dimensione di
una città, cerchiamo di darci da soli una
risposta almeno per quanto concerne le
città già esistenti; che consiste, appun–
to , nel ristrutturare le città dall'interno.
Esiste oggi un pericolo, che il citta–
dino si estranei non per sua colpa dai
nuclei sociali nei quali è chiamato ad
operare e occorre sottolineare l'esigenza
della partecipazione alla vita civica, in–
dicata come «una partecipazione più
piena alla responsabilità, al di fuori di
ogni oppressione, al riparo da situazioni
che offendano la dignità degli uomini»
(dalla
Populorum progressio).
Ora che sono state individuate le nuove
strutture che faciliteranno la partecipa–
zione dei cittadini alla vita pubblica, oc–
corre porsi senza indugio al lavoro per–
ché l'amministrazione della nostra città
acquisti sempre più ampia visualità de–
mocratica senza di cui tutto il nostro im–
pegno, tutte le nostre fatiche non por–
terebbero che a mediocri risultati.
Mario Dezani
Progetto generale per l'ampliazione
e l'abbellimento della città di Torino
presentato nel 1817
dall'architetto Gaetano Lombardi