

D O N B O S C O S A N T O I T A L I A N O
Commemorazione tenuto in Campidoglio il 2 aprile 1934-XII alla presenza
di S. E. Benito Mussolini, Capo del Governo e Duce del Fascismo, di Emi
nentissimi Cardinali e delle massime Gerarchie della Chiesa e dello Stato
D
on Bosco i un
Santo italiano
ed è il più italiano
dei Santi. Lo sente
suo tutto un popolo
e tuttavia il grande
spirito è onnipre
sente nel mondo,
così che questa per
fezione italiana di
venta per Lui ro
manità.
La sua glorifi
cazione religiosa è
avvenuta in una
forma di vastità e
di solennità nuovis
sime anche ai di
ciannove secoli di
vita della Chiesa e
l'Italia vi ha parte
cipato come non
mai.
La pienezza del
magistero divino
trova oggi la sua
estensione negli o-
nori del Campido
glio decretati dal
Governo Fascista a
questo Santo.
La Sua Santità
gli
darebbe da sola
per
i
caratteri che
la
distìnguono, un
diritto di ospitalità
in
questa
altierima
sede, ma Egli sarebbe un grande italiano anche
senza gli attributi della santità, di qui la Sua citta
dinanza in Campidoglio.
Don Bosco non perde, ma guadagna in grandezza
se guardato nella terra e fra gli uomini donde ebbe
origine, se considerato operante fra le figure della
storia del Suo tempo non come sintesi del passato
o come vivente nella cronaca di allora, ma come
divinatore, seminatore, costruttore di futuro.
Per
questo Santo
fe neces-
sano conoscerne
m
origini, oonae e oa cui egn venga
a noi È nato nel 18 15 in un borgo di CastelwMwo
ai margini del Mon
ferrato. Il Monfer
rato è una civilis
sima terra di santi e
di guerrieri, quanto
mai presa di roma
nità e di cristianità.
È una specie di
Umbria piemontese
tutta ridente di vi
gne arrampicate
sopra le pendici
aspre di un acro
coro più montano
che collinoso che
lascia trasparire fra
il vera.
pampini
0
dei
deggiare delle messi
una terra di color
grigio biancastro
che
dovette essere
domata da torrenti
di sudare per
me
ritare come ebbe
l’appellativo
di
«fe
race*. L'opera
mil
lenaria dell'uonio vi
dovette
apparire
anche piùdura, per
chè
rimasta
senza
il dono dell'acqua,
che quella terra fe
dele doveva, attis
simo premio, rice
vere soltanto dalla
potenza costruttiva
del Duce. L’uomo vi crebbe sempre vittorioso
dcDc
avversità e frugale come il montanaro, laborioso e
provvido come il contadino, industrioso tanto
da
far tesoro della
tona
o
dei
sassi die seppe
ridurre
a mattoni e cemento. Di là Cesare attinse le Legioni
conquistatrici deQa Gallia e quella
decima ledei*
«im a
die, varcando
a » lui il
Rubicone, gettò
le
fondamentadefl’Imperodd mondo. Là, coi
Patologi,
si rifugiarono
le
ultime vestìgia
dell'impero che si
ostinava a nonmorire anche perchè
doveva
Qori cofli
ri coronarono
poi di castella, di
e di
stgni
di
pietà. Il
fendakasso non cancellò
l*eai-