

lo reggevano a stento, parlò da quel balcone
e noi lo sollevammo dalla sedia portandolo in
trionfo. Egli era raggiante.
Egisto ha ormai una ottantina d’anni, però
non li dimostra affatto, avendo una faccia
chiara con poche rughe, la mente lucida e la
parola sciolta. Egli ha avuto una vita avventu
rosa ma abbastanza fortunata e ne parla con
serietà cordiale, con la stessa virile pacatezza
con cui potrebbe narrare le cose che riguar
dano la vita degli altri. Io ed Egisto siamo di
ventati subito amici come con Arcadio e Fulvio
e tanti altri che erano amici di mio nonno o
sono amici di mio padre. Debbo dire che io
prima di adesso non li conoscevo se non di
nome poiché in casa ne udivo parlare da mio
padre, ma me li immaginavo diversi con
ì'anima molto più vecchia e con una minore
allegria.
Quando Egisto fece la proposta di farci una
merendina in attesa della tombola che sarebbe
stata iniziata alle ore 19, io accettai con schietta
vena. Si andò da Alcide; il pianterreno di co-
desta bettola era già rigurgitante di gente che
beveva e cantava in onesta fraternità di cuore;
qui dentro anche la luce era vinosa ma aveva
un sapore buono di sanità campagnola ; gli uo
mini. prima di bere, si lavavano le mani con il
vino come per l’ inizio d ’un rito; noialtri sa
limmo però al piano di sopra dove c’era ancora
qualche tavolo libero. Mangiammo la por
chetta e bevemmo del buon vino e dovunque,
anche dentro di noi, ogni cosa rideva per un’al
legrezza che era venuta su dal cuore e pareva
una viva sorgente di pace. Ad un tratto suo
narono dalla piazza maggiore, gli squilli della
cornetta: il segnale della tombola. Tutti i tavo
lini si urtarono, affrettandosi ognuno verso la
piazza. Qui c’era un’ inverosimile folla; siccome
la piazza è in salita, dal margine di essa fino al
termine della scalinata del sagrato, la folla dava
la sensazione di un’onda che salisse gridando ed
allargandosi ad anfiteatro; ogni voce si smar
riva nell’altra fino a produrre un’ unica voce
immensa.
Il
silenzio fu violentemente ristabilito dalla
solita cornetta.
Allora dal balcone del municipio prospi
ciente alla Chiesa, si affacciarono tre uomini
che avevano al braccio un nastro viola. Costoro,
contati meticolosamente novanta numeri, li ri
posero tutti in un sacchetto e la tombola co
minciò. Ogni numero che veniva estratto dal
sacchetto veniva gridato a tutta gola per tre
volte da uno dei tre uomini e chi aveva le
cartelle — tutti ne avevano più di una — stava
attento, con una matita impugnata, a non farsi
sfuggire la fortuna.
Le facce di tutti quanti erano convulse e
tese; dagli occhi d ’ognuno si poteva leggere
la speranza o lo scontento o la gioia. Ci fu chi.
dopo otto numeri, buttò per terra le cartelle e
si mise a pestarle per farle rinsavire. Ognuno
infine avrebbe voluto che si affrettasse il ritmo
dell’ estrazione per sortirne finalmente vincitore.
La cinquina fu vinta da una giovane conta
dina piuttosto paffuta di carne lattiginosa, la
quale era tutta intimidita per gli applausi che
le andavano facendo da ogni parte; costei,
quando riuscirono a spingerla davanti ai giu
dici del controllo, non sapeva dove mettersi
le mani e credo che avesse una grande voglia
di piangere; per questo mi fece una gran pena.
Le cinquecento lire della tombola invece fu
rono vinte da un piccolo uomo vestito all’an
tica con i calzoni stretti a tubo di stufa e con
un cappello a larghissime falde sul tipo di
quelli che i contadini mettono sulla testa dei
pali per spaventare i passeri; aveva una certa
fiera disinvoltura.
Mi dissero che era il maestro della musica
di un paese vicino, una persona come si deve.
Lo applaudii anch’ io; egli ringraziava tutti con
molto misurato sorriso ma gli luccicavano gli
occhi poiché forse aveva insperatamente rea
lizzato un suo sogno e stava vivendo la sua
grande ora. Aveva anche le scarpe rotte, po
vero maestro! ma era tanto contento.
Quella sera di festa, le strade del paese furono
animate fino a notte avanzata; i giovanotti fa
cevano scoppiare i petardi e le ragazze strilla
vano fingendo di essere impaurite, forse per farsi
maggiormente desiderare. Il cielo era azzurris
simo con molte fitte stelle assai luminose e l’aria
era persino un po’ fresca. Ogni tanto qualche
stella lasciava nel vento, staccandosi dal cielo,
come una coda di fuoco; ad essa, chi ci pensava,
affidava uno suo desiderio segreto. Proprio in
mezzo al fiume di stelle c’era una luna così pic
cola e tonda che si sarebbe potuta stringere in
pugno. Tra le ragazze che Egisto mi presentò
durante la festa al paese, ce n’era una assai ca
rina e — come accade in tali occasioni —nacque
tra me e lei una reciproca simpatia. In seguito,
siccome io andavo sovente a passeggio con
Questa ragazza, la gente diceva che ci saremmo
sposati. Io non ci pensavo e camminando al suo
fianco preferivo certi sentieri di campagna
verso le ore di sera quando il sole stava per
morire; veniva dai prati un sapore di pane e
tutta la terra era maternamente amorosa.
OSCAR SACCHETTI