Scheda: Tema - Tipo: Scienze e tecniche

Astronomia torinese

L'insegnamento dell'astronomia a Torino, rivolto nella sua fase iniziale allo studio della meccanica celeste e quindi alle scienze matematiche, è testimoniato fin dal 1714.


Periodo di riferimento: 1714 - 2007

01. Cenni di astronomia torinese dagli esordi agli anni Quaranta del Novecento *

 

«Guardavo nel cielo chiaro, spazzato dal vento il disco della luna d'un candore d'argento: le stelle palpitavano violentemente» (Enrico Thovez, 1897).

L'insegnamento dell'astronomia nel capoluogo piemontese, rivolto nella sua fase iniziale allo studio della meccanica celeste e quindi alle scienze matematiche, è testimoniato fin dal 1714 nel Progetto per il stabilimento dell'Università de' studi in Torino voluto da Vittorio Amedeo II lungo la contrada di Po. Nell'elenco dei locali necessari allo svolgimento delle attività didattiche si menziona: «[…] Al di sopra della fabrica, e sopra il tetto d'essa una gran Camera, o osservatorio astronomico per la mathematica, cioè un belvedere grande fatto a fenestroni con li vetri […]». La sua realizzazione non fu però immediata. Padre Giulio Accetta, nominato professore di matematica nel 1730, ancora pregava il Magistrato competente «a fabbricare una specola per poter fare più aggiustamente le sue osservazioni».

Sarebbero trascorsi altri ventinove anni. L'origine dell'Osservatorio astronomico di Torino è, infatti, fissata tradizionalmente al 1759 allorché il padre scolopio Giovanni Battista Beccaria (Mondovì 1716 - Torino 1781), in occasione del passaggio della cometa di Halley, illustrò al re Carlo Emanuele III le sue competenze in ambito astronomico ottenendo così l'incarico di misurare l'arco di meridiano di Torino.
«Nel 1759 aspettandosi la cometa predetta di Hallejo […] fece costruire una macchinetta d'ottone rappresentante l'orbita annua della terra, e l'orbita della cometa, che s'attendeva, e la presentò a S.A.R. il principe di Piemonte venendogli spiegando la teoria di questi corpi celesti; e quando poi comparve andava in Corte la notte a farla vedere. E in quest'occasione fece alla Maestà del re Carlo Emanuele una tal pittura del sistema celeste, che l'invogliò di rivedere le maraviglie […] e commise al nostro professore un telescopio di 40 piedi, il quale con la sua assistenza riuscì perfettissimo, e fu collocato nel reale giardino, di dove S.M. si prese piacere più volte d'osservare i satelliti di Giove, e di Saturno, le fasce di quello, e l'anello di questo, e le fasi di Venere […] Nell'anno 1759 passando per Torino il P. Boscovich sommo geometra entrò con S.M. in discorso sopra le misure de' gradi del meridiano, che molti sovrani avevano fatto fare ne' loro stati […] Il re concepì il pensiero di far eseguire questa misura ne' suoi stati […] Ne fu data l'incumbenza al P. Beccaria, il quale si trascelse per compagno il sig. abate Canonica […] In maggio del 1760 fecero la misura della base […] Nel 1761 fecero ambedue l'osservazione del passaggio di Venere sul Sole nel giardino reale dove era collocato il cannocchiale, e furono onorati della presenza della corte […] Da quest'anno sino al 1764 si occupò col socio nelle osservazioni astronomiche per la misura del grado; eresse un piccolo osservatorio in Torino […]». Il «piccolo osservatorio» fu installato in una torretta dell’attuale via Po sopra la sua abitazione. La strumentazione permetteva operazioni essenzialmente astronomiche, finalizzate alle misurazioni geodetiche. Beccaria (dal 1748 professore di fisica all'Università di Torino) non compì osservazioni meteorologiche regolari, ma si limitò ad annotare la lettura del termometro Réamur, igrometro e barometro durante le osservazioni astronomiche e sull'elettricità atmosferica. In seguito ai suoi esperimenti sull'elettricità (condotti in un piccolo laboratorio-osservatorio che si era fatto costruire a Garzegna, nei pressi di Mondovì), inclusa l'indagine sui fulmini - che attirava per mezzo di un parafulmine - «la plebe lo ammirava come stregone […] e molte persone d'ogni ceto ricorrevano a lui per avere i numeri che dovevano uscir all'estrazione della lotteria […] In breve si può dire che fossero compìti tutti i suoi desideri eccetto quello di abbracciare Franklin, oggetto della sua ammirazione ed emulazione».
Per quanto ancora negli anni 1788-1789 nelle «Memorie dell'Accademia delle Scienze» sia riportata la notizia di questo primo punto di osservazione in Torino: «[…] le roi Charles Emmanuel III […] fit arranger un petit observatoire qui appartient à l'Université, mais qui est batî sur une maison particulière où logeoit le père Beccaria […]», la ricerca astronomica fu presto aggregata alle attività dell'Accademia delle Scienze, nel cui ambito i successivi direttori intrapresero studi di astronomia di non grande rilevanza. Occorre tuttavia precisare che la carica di direttore fu ufficializzata dall'Accademia soltanto a partire dal 1813. Fino ad allora, Tommaso Valperga di Caluso e Antonio Maria Vassalli Eandi, comunemente indicati come i successori di Beccaria, si avvicendarono più volte alla direzione della Specola, in quanto le competenze relative alla sua gestione furono in fase iniziale affidate al presidente dell'Accademia o al segretario della Classe di Scienze fisiche.
Il nuovo Osservatorio, edificato per volere del re Vittorio Amedeo III sul tetto del Palazzo del Collegio dei Nobili (sede dell'Accademia delle Scienze) era stato progettato dall'architetto Francesco Ferroggio e inaugurato ufficialmente il 30 novembre 1790. Il trasloco degli strumenti, ancora depositati presso l'ormai inutile Osservatorio dell'Università, avvenne soltanto l'anno successivo. Furono inoltre consegnati all'Accademia alcuni strumenti di minore importanza, mobili e diversi libri che, dopo la morte di Beccaria, erano stati affidati a Vassalli Eandi, suo successore alla cattedra di fisica e incaricato della direzione del piccolo Osservatorio universitario.

Tommaso Valperga di Caluso dei conti di Masino (Torino 1737 - Torino 1815) fu uomo di vasta ed eclettica cultura, letterato e amico di Vittorio Alfieri (incontrato a Lisbona nel 1772, a lui Alfieri dedicò la tragedia Saul) nonché docente di letteratura greca e orientale e astronomia (quest'ultima disciplina fino al 1811, quando si dimise volontariamente lasciando la cattedra a Giovanni Plana) presso l'Università di Torino. Direttore dell'Osservatorio per la parte astronomica dal 1801, a partire dal 1802 fu anche direttore dell'Accademia delle Scienze per la Classe di Scienze fisiche e dal 1804 bibliotecario aggiunto. Nel 1809 alla scarsa strumentazione esistente (situazione già evidenziata nel corso delle osservazioni condotte sul passaggio della cometa del 1807) furono aggiunti un pendolo a compensazione di Martin, un circolo ripetitore di Fortin, un telescopio, un cannocchiale parallattico e uno strumento dei passaggi.

Antonio Maria Vassalli Eandi (Torino 1761 - Torino 1825). Appassionato di scienze naturali (botanica e agraria), docente di filosofia a Tortona fino al 1792, nell'agosto dello stesso anno fu chiamato dall'Università di Torino (era stato anche allievo di Beccaria) in qualità di professore di fisica aggiunto; nel 1801 divenne ordinario. Nominato per la prima volta segretario presso l'Accademia delle Scienze nel 1804 (segretario perpetuo dal 1815), nel 1806 ottenne l'incarico di direttore dell'Osservatorio per la parte meteorologica, carica riconfermata nel 1814. Anche dopo la nomina di Giovanni Plana a direttore dell'Osservatorio per la parte astronomica, la direzione della Specola nel suo complesso continuò a essere affidata a Vassalli Eandi fino alla sua morte.

Nel 1813 alla direzione dell'Osservatorio astronomico dell'Accademia fu nominato Giovanni Plana (Voghera 1781 - Torino 1864), allievo del grande matematico torinese Luigi Lagrange all'Ecole Polytechnique di Parigi e professore di astronomia all'Università di Torino. Con il trasferimento della Specola e di tutta la strumentazione astronomica nei più ampi spazi di Palazzo Madama (le osservazioni meteorologiche proseguirono, invece, nel palazzo dell'Accademia) Plana deve considerarsi il vero fondatore dell'Osservatorio di Torino, che iniziò la sua vita nel 1822 (nel 1817 era stata intanto risolta una annosa controversia fra Accademia delle Scienze e Università in merito alla proprietà della Specola e del Museo di Storia naturale: con Regio Biglietto fu stabilito che all'Università spettasse il Museo e all'Accademia la Specola). Considerato tra i più illustri matematici del suo tempo, Plana indirizzò i suoi studi principalmente verso ricerche teoriche. Fra il 1822 e il 1825 si dedicò alle osservazioni astronomiche e alle operazioni astronomico-geodetiche per la misura di un arco di parallelo medio in collaborazione con l'astronomo Carlini; il periodo successivo fu volto invece all'analisi del movimento della Luna, monumentale impresa che gli valse altissimi riconoscimenti (nel 1852 divenne presidente dall'Accademia delle Scienze) e a ricerche di meccanica celeste, di fisica-matematica e di matematica.
Una lettera del giugno 1901 inviata al rettore dell'Università da Francesco Porro, direttore della Specola dal 1886, chiarisce le vicende relative al trasloco dell'Osservatorio dall'Accademia delle Scienze a Palazzo Madama: «Nel 1813 (5 marzo), quando il Plana fu pure nominato Direttore di questo piccolo Osservatorio, questo non possedeva che un pendolo Astronomico del Martin, celebre allievo del Berthoud, ed un Circolo Ripetitore di Fortin di 18 pollici di diametro, col quale il Plana tentò qualche osservazione di altezza del Sole e della Polare.
Gli avvenimenti del 1814 ricondussero in Piemonte il Re Vittorio Emanuele I, che aveva una predilezione speciale per gli studi astronomici e per coloro che a questi studi si dedicavano. Il Plana coll'influenza del suo valore personale lo convinse prima della necessità di avere nuovi strumenti, poscia dell'insufficienza della sede. Da quell'epoca il vecchio Re concesse la sua protezione all'Osservatorio [...]».
Un primo sussidio di 12000 franchi arrivò nel 1816.
«Con questi primi fondi il Plana fece costruire, nel 1820, da Reichenbach et Fraunhofer, un Circolo Meridiano [con apertura di 109 mm e distanza focale di m 1,62], poi un Circolo Moltiplicatore di 18 pollici, una Macchina Equatoriale, e qualche altro strumento portatile, come un cannocchiale di 12 cm d'apertura, con 2 m di fuoco. L'Osservatorio possedeva già due cannocchiali di Dollond, l'uno di 1,20 m [...]». Perduravano però i problemi relativi alla collocazione di tali strumenti a causa dell'instabilità della Specola dell'Accademia, che non possedeva «[…] né tetti girevoli, né fessure meridiane per poter osservare gli astri [...] Dopo parecchi progetti discussi e rigettati, S.M. ordinò che il nuovo Osservatorio fosse costruito a sue spese sopra una delle quattro torri antiche situate agli angoli del Palazzo del Castello Reale, che si trova nel mezzo della Piazza detta del Castello».

Morto Plana nel 1864 e in seguito al rifiuto di Schiaparelli di trasferirsi da Brera a Torino dove era stato chiamato, a dirigere l'Osservatorio fu inviato temporaneamente il professor Gilberto Govi fino alla nomina di Alessandro Dorna (Asti 1825 - Sant'Ambrogio di Torino 1886). Questi, laureatosi in ingegneria idraulica nel 1848, fu allievo di Plana e gli succedette nel 1865 sia nella cattedra di astronomia presso l'Università sia nella carica di direttore dell'Osservatorio (a partire da questa data l'Università di Torino era intanto subentrata all'Accademia delle Scienze nell'amministrazione della Specola); docente presso l'Accademia militare, scrisse un trattato di meccanica razionale. Sotto la sua direzione aumentò il personale scientifico e nel 1885 fu costruita una cupola girevole sulla quale venne installato un telescopio rifrattore con obbiettivo acromatico di Merz di 30 cm di diametro e montatura di Cavignato (strumento che rimase il maggiore in dotazione all'Osservatorio fino al 1971, quando fu inaugurato il telescopio Marcon). Tra gli altri strumenti di nuova acquisizione, uno spettroscopio solare e uno stellare di Zollner. Autore di importanti lavori tra i quali un catalogo stellare, nel 1874 partecipò a una spedizione in India per osservare il passaggio di Venere sul Sole.
Fu il primo a sottolineare l'inadeguatezza della sede di Palazzo Madama, proponendo, in una lettera al rettore datata 15 dicembre 1883, la sistemazione dell'attuale edificio oppure la costruzione di un nuovo osservatorio: «In questa città delle grandi iniziative, l'idea di un nuovo osservatorio astronomico, appoggiata dall'illustre gentiluomo che ne è il sindaco, ha tutta la probabilità di riuscire [...] è necessario che l'istituto sorga lontano dai rumori, fuori della città, come a Londra, a Pietroburgo ed altrove, occorrono strumenti della massima portata e precisione, costruzioni speciali e solidissime, a pian terreno, orizzonte libero, aria secca, cielo puro e raramente coperto da nebbie. Siccome Torino sta so[tto] ad una grande collina, lambita dal fiume Po, volendo un osservatorio come questo indicato, bisogna erigerlo, od in un luogo lontano dalla collina e dal fiume, possibilmente a sud della città, o meglio, erigere l'osservatorio sul colle stesso, a Soperga, o alla Maddalena. Non parlo della spesa che sarebbe poco un milione, ma sempre abbastanza piccola, per questa magnifica città».

In seguito alla morte improvvisa di Dorna, nel 1886, Francesco Porro de' Somenzi (Cremona 1861 - Genova 1937) subentrò alla direzione dell'Osservatorio. Laureatosi in fisica a Pavia, era stato suo collaboratore già dall'anno precedente e, dal 1883, allievo astronomo a Milano. Egli proseguì gli studi intrapresi dal suo maestro fino al 1903, anno in cui ottenne il trasferimento all'Università di Genova, e perorò fortemente il progetto di spostare l'Osservatorio fuori città: era evidente, infatti, l'inutilità di trasformare o ampliare ulteriormente la sede di Palazzo Madama a causa delle strutture ormai in avanzato stato di degrado (che gli impedivano, tra l'altro, di occuparsi dello studio delle latitudini) e dei notevoli e crescenti disturbi cittadini che ostacolavano sempre più le osservazioni. Per ovviare a tali inconvenienti Porro ricorse a stazioni sussidiarie, a Superga (nel giardino del Grande Albergo di Soperga, area utilizzata dal 1893 al 1895; le osservazioni di stelle variabili venivano condotte per mezzo di un rifrattore Steinheil a fuoco cortissimo) e specialmente a Pino Torinese, sul sito del futuro Osservatorio.
Ecco come nel 1896 l'allora direttore descriveva il fenomeno del progressivo peggioramento delle condizioni osservative: «Tutto l'Osservatorio è ora circondato da luce elettrica; quattro fari si elevano a 17 metri di altezza, ai quattro angoli del palazzo; convergono nella piazza cinque vie elettricamente rischiarate; i fanali ad arco della Piazza Reale ed i riflessi lontani di Piazza Carlo Felice e di Piazza Emanuele Filiberto compiono l'opera […]».

Successivamente alla partenza di Porro per Genova (e all'affidamento temporaneo della direzione a Vittorio Balbi), padre Giovanni Boccardi (Castelmauro 1859 - Savona 1936), laureatosi in ingegneria a Napoli ma con numerose esperienze in ambito astronomico maturate in diverse città italiane, giunse a Torino nel 1903 a ricoprire sia la cattedra di astronomia sia la direzione dell'Osservatorio. Ebbe subito inizio la lunga battaglia per il trasferimento (concluso nel 1912) dell'Istituto nell'attuale sede, già individuata dal suo predecessore, sulla sommità della collina denominata “Bric Torre Rotonda”, a un'altitudine di 618 m. Nel 1907 si intraprese la costruzione della strada di accesso e nel 1910 furono avviati i lavori di edificazione delle palazzine (una, di 30 vani, destinata al personale scientifico, alla biblioteca e al deposito degli strumenti trasportabili; l'altra, di 16 vani, destinata al personale tecnico e subalterno e all'officina meccanica) su progetto dell'ingegner Edmondo Casati.
Lungo la cresta del rilievo furono distribuiti nel corso degli anni alcuni padiglioni atti a ospitare, rispettivamente, l'equatoriale di Merz-Cavignato (la cui cupola girevole da 11 metri costruita dalla casa inglese Cooke & Sons di York fu all'epoca la più grande d'Italia), un equatoriale fotografico (“euriscopio” di Zeiss, di piccolo diametro, 20 cm, e corta focale, acquistato al prezzo di Lire 80.000 con pubblica sottoscrizione tramite il quotidiano «La Stampa»), un circolo meridiano, uno strumento dei passaggi in primo verticale (entrambi di Bamberg) e un piccolo equatoriale di Steinheil. Numerosi pendoli (tra i quali quello fondamentale di Riefler), cronometri, cronografi a peso ed elettrici completavano l'attrezzatura. Boccardi si dedicò prevalentemente a osservazioni di posizione e a ricerche sulla variazione della latitudine, studi che gli valsero numerosi e prestigiosi riconoscimenti in ambito internazionale. Seri problemi di salute (una graduale ma irreversibile perdita della vista) e i sempre più faticosi spostamenti a Torino per svolgere la sua attività di insegnamento lo costrinsero a ritirarsi nel 1923.

A Boccardi succedette per un breve periodo Giovanni Silva (Legnago 1882 - Padova 1957). Docente di geodesia a Torino nel 1921, affidatario della cattedra di astronomia e direttore dell'Osservatorio a partire dalla fine del 1923, ne resse le sorti fino al 1925, quando fu chiamato a dirigere la Specola di Padova. Nel frattempo, con Regio Decreto 31 dicembre 1923 gli Osservatori astronomici erano diventate istituzioni autonome dall'Università, con conseguente separazione delle carriere.

Luigi Volta (Como 1876 - Milano 1952). Laureatosi in matematica a Pavia, dal 1903 al 1908 fu in servizio presso la Stazione astronomico-geodetica di Carloforte, quindi a Milano. Nel 1925 fu chiamato alla cattedra di astronomia dell'Università torinese e al contempo a dirigere l'Osservatorio, carica che ricoprì fino al 1941 quando ottenne il trasferimento alla direzione di Brera e Merate. Nel corso di questi anni ebbe termine il passaggio delle attività astronomiche da Torino a Pino Torinese e l'Osservatorio fu dotato di nuove strumentazioni, fra le quali un oculare micrometrico, un fotometro visuale registratore a cuneo, un misuratore di lastre, un apparecchio radio a onde lunghe per la ricezione di segnali orari, strumenti meteorologici e alcune macchine calcolatrici; la ricerca era ora indirizzata prevalentemente a osservazioni fotografiche sistematiche di piccoli pianeti, comete e stelle variabili. Tuttavia, già nella seconda metà degli anni Trenta e ancor più in epoca successiva, a seguito dello stato di emergenza protrattosi dal 1940 al 1942, la complessiva dotazione strumentale dell'Osservatorio (che all'epoca del trasferimento a Pino Torinese nel 1912 era di notevole rilevanza) subì una progressiva, sostanziale riduzione. Inoltre, nel 1938, a seguito dell'entrata in vigore delle leggi razziali, era stato allontanato l'astronomo Giulio Bemporad, che si spense prematuramente nel luglio 1945.

02. La vita a Palazzo Madama

Ernesto M. Pasquali. Dall'Osservatorio di Palazzo Madama. La malattia del Sole, in «Gazzetta del popolo», 12 dicembre 1903

«[…] l'ascensione […] non è molto lunga, ma così spezzata, così frastagliata, formata di tante scalette buie e contorte, per le quali bisogna camminar di traverso con sforzi di saltimbanchi, da parere la scalata del paradiso.
Tratto tratto da uno spiraglio, che getta un po' di luce, appare un lembo di città che non si può riconoscere, un lembo di Torino ancora sconosciuto, una fuga di campanili, di comignoli, di tetti divisi da lunghe strade diritte che si perdono nella nebbia, da file d'alberi che paiono fiocchi verdi gettati sopra le case; un panorama che ricorda quelli di Londra e di Parigi, visti dal pallone frenato.
Altri venti gradini al buio, poi un corridoio lungo e freddo come un corridoio di convento, ingombro di vecchi orologi, di macchine arrugginite che paiono strumenti di tortura, un cancello di ferro, e via per un'altra filza di scalette, dalle quali viene un soffio freddo di cantina che fa fare un passo indietro; un altro spiraglio, dal quale s'intravede un angolo del giardino reale a disegni fioriti, e poi un corridoio chiaro e festoso, lungo il quale corre un'onda di vita, un vocìo allegro di ragazzi ed un profumo di cucina così gradevole, così inaspettato da dare le vertigini: sono gli alloggi dei professori, gettati là fra cielo e terra ad un'altezza che fa desiderare come la felicità i quinti piani più alti che si vedono venti metri più in basso [...]
Il Palazzo Madama, visto dalla più alta terrazza, quella delle torri, appare sotto una veste grandiosa che non gli si supporrebbe guardandolo dalla via. Non è un palazzo, è una riunione di case sovrapposte; pare a momenti una basilica od un forte di montagna, pare un modello architettonico che riunisca in sé tutti i generi di architettura, tutte le forme edilizie dalle più semplici alle più complesse. Gli dànno un aspetto curioso le scalettine di ferro che corrono lungo i muri, conducendo agli strumenti misuratori di tutto quanto può venir misurato, dall'umidità dell'aria alla velocità delle nubi, la cupola immensa sotto la quale come una bocca di cannone appare il grande telescopio equatoriale, le cupoline giranti che nascondono altre macchine, la grande spaccatura che divide in due l'Osservatorio per segnare il passaggio del meridiano, le piccole torri e le colonnette isolate che paiono avanzi di templi distrutti.
Eppoi, le grandi statue che fronteggiano un lato, le torri severe e cupe che guardano le colline, il lavorìo dei muratori sospesi alle corde, aggrappati alle scale, tutto ingigantito dall'impicciolirsi della città sottostante, dànno l'immagine di un castello non mai finito, di una roccaforte che debba governare e proteggere la città che si svolge ai suoi piedi e dalla quale giungono voci confuse, fischi di vaporiere e squilli di campane, fiochi e velati come se venissero da un altro emisfero […]
Fra questa decorazione di teatro, fra quelle torri che paion cabine da bagno, e quelle scale da patibolo, nascosta ed isolata, vive una piccola popolazione di studiosi che si occupa di cose inverosimili, passando delle giornate intere a calcolare il giro di una cometa, perdendo dei mesi per rintracciare una piccola stella scapestrata che si nasconde fra le sue compagne. Sono occupazioni strane, lavori che lasciano lì lì con un sorriso sul labbro, frenato appena dalla serietà con cui vengono fatti. Esistono lassù delle sale di studio, degli uffici e delle biblioteche, v'è una sala che contiene il catalogo generale delle stelle fisse (prezzi a convenirsi), degli astri e degli asteroidi; vi sono delle riviste settimanali e mensili che giungono da ogni parte del mondo per dire che Venere ha fatto una smorfia, o che Marte ha cambiato i connotati, e delle fotografie della Luna che paiono trattati sulle malattie della pelle […]».

03. Quei 253 faticosi gradini

Varcata la soglia di Palazzo Madama, per arrivare alla sala meridiana occorreva arrampicarsi per 36 metri di scale, pari a dodici piani di un moderno edificio: 253 angusti gradini, in gran parte a chiocciola. I locali dell'Osservatorio, inoltre, mal protetti dagli agenti atmosferici cui erano esposti, pativano un rapido degrado che minacciava la sicurezza degli addetti.
In una lettera al rettore datata 12 maggio 1882, Dorna lamentava che «Il luogo stretto ed oscuro dove si attinge l'acqua potabile, di cui usufruisce l'osservatorio, non è tollerabile per le sozzure e pei guasti che, di quando in quando, provengono dagli altri utenti dell'acqua medesima, i quali né posso né devo sorvegliare. La scala a chiocciola, che dobbiamo salire per venire all'osservatorio, ed alla sommità della quale sta appunto la vaschetta dell'acqua, ha attualmente il muro centrale in uno stato di umidità ributtante, e che non tarderà a diventare pericolo per noi [...]». Profetico Dorna, che morirà il 19 agosto 1886 proprio per i postumi di una caduta dalle scale dell'Osservatorio.
Alla denuncia del degrado non seguirono però interventi di manutenzione, tanto che il 25 settembre dello stesso anno 1882, ancora in una lettera al rettore, veniva ribadita la necessità di lavori urgenti: «Con lettera del 7 corr. informai la S.V. Ill.ma dell'acqua che cade giù dai tetti pei guasti fatti e non riparati dalla Società dei telefoni. La pioggia di ieri [34.7 mm] dimostrò che i danni che ne derivano sono di tal natura da soffrirne e nella borsa e nella salute. A parte che in locali da noi abitati l'acqua si elevò all'altezza di cinque centimetri, nell'ufficio della Specola sono state inzuppate delle carte per l'acqua che cade giù dal soffitto e dai muri». Poco più di un mese dopo (24 ottobre) le infiltrazioni faranno crollare una parte del soffitto della sala meridiana; i guasti saranno riparati ma, in presenza di forti piogge, verranno lamentate infiltrazioni anche negli anni successivi.

04. La vita a Pino Torinese

Giovanni Boccardi. Perché l'Osservatorio astronomico di Pino Torinese ha soltanto Direttore ed Assistenti, dattiloscritto, [1915], in Archivio dell'Osservatorio astronomico di Torino, faldone 81, fascicolo 5

«Il 9 novembre 1915 il Prof. Carlo Somigliana svolgeva davanti alla Facoltà di Scienze di Torino un'interrogazione al Preside, per sapere se la Facoltà stessa potesse disinteressarsi del fatto che in questi ultimi anni giovani valorosi erano stati successivamente costretti ad allontanarsi dall'Osservatorio astronomico, per modo che questo non ha più come prima un astronomo ed un aggiunto, soltanto assistenti; il che compromette la produzione scientifica del detto Istituto».
A tale interrogazione Boccardi rispondeva:
«[…] mi sta a cuore richiamare l'attenzione dei Chi.mi colleghi sul fatto che, se la sede di Pino può allettare coloro che hanno unicamente in mira di formarsi titoli eccellenti con osservazioni celesti eseguite in condizioni favorevolissime di ubicazione e di materiale scientifico, la stessa sede di Pino non può convenire a coloro che hanno famiglia, impegni nei grandi centri e desiderio di arrotondarsi lo stipendio con l'insegnamento o con altri uffici. Il soggiorno continuo su una vetta isolata, a 10,5 km da Torino e ad 1,5 km dal villaggio di Pino, non può certamente piacere alle signore degli astronomi, né poi può offrire facilità per l'istruzione dei figli. A Pino non si va che fino alla terza elementare nelle scuole pubbliche.
Le comunicazioni poi fra l'Osservatorio e Torino sono tutt'altro [che] frequenti e costano molto. Oggi, per esempio, essendo Martedì, non vi era corsa di automobili nel pomeriggio ed ho dovuto fare a piedi il lungo tragitto per assistere a questa adunanza. I Colleghi si convinceranno che per vivere lassù bisogna avere il sacro fuoco dell'amore della scienza ed essere libero da impegni; bisogna rinunziare ai comodi dai divertimenti dei grandi centri, condannandosi a vita, quasi dissi, eremitica.
Tutto questo basta a spiegare perché gli astronomi, persone già attempate e con famiglia, sfuggano la residenza di Pino e si trasferiscano altrove. Se poi devo dir tutto, questi si allontana perché non potrebbe far soggiornare negli alloggi dell'Osservatorio colei che gli tien luogo di moglie; quegli perché non trova sulla vetta ove è l'Osservatorio e nemmeno nel villaggio di Pino un caffè Concerto e ritrovi affini; quest'altro perché la sua signora rifiuta di vivere in quell'isolamento […] è difficile trovare assistenti. Ma, dato che se ne trovino, per l'Osservatorio di Pino essi non possono essere che giovanotti celibi o ecclesiastici, oppure signorine.
Ma anche per gli assistenti non è detto che chiunque entra in Osservatorio debba restarvi. Da noi si mena una vita di strapazzi; per esempio quello di levarsi di notte, in estate come in inverno, al tocco, alle due, ecc. per recarsi ad osservare in padiglioni lontani 300 e più metri dalle abitazioni, soffrendovi il freddo glaciale, il vento e l'umidità.
[…] io sono di modesto parere che la Facoltà, se vuole assicurarvi la permanenza di buon personale, dovrebbe ricordare al Ministero la promessa fatta di concedere agli addetti all'Osservatorio una indennità per disagiata residenza».

05. Danni di guerra

Gino Cecchini. Relazione sulle opere compiute per la ricostruzione e la riorganizzazione dell'Osservatorio, 3 aprile 1950, in Archivio dell'Osservatorio astronomico di Torino, II lotto, faldone 1, fascicolo 7

«La situazione dell'Osservatorio, al principio del 1945, è stata chiaramente esposta nella mia "Relazione nel triennio 1942-1944", qui unita: l'Istituto completamente occupato dalle truppe tedesche, salvo le Cupole d'osservazione; il materiale e il personale sfollati; disagi e difficoltà enormi per il proseguimento dell'attività osservativa (mai interrotta, nonostante tutto); inalterate l'attività teorica, didattica, culturale e divulgativa, nonostante la rarefazione dei mezzi di comunicazione.
L'occupazione militare aveva avuto per conseguenza un'alterazione profonda dell'ambiente, adattato a caserma e modificato a scopo di difesa. Trinceramenti, reticolati, postazioni per mitragliatrici, vistose mimetizzazioni, taglio di una quantità enorme di piante di alto fusto; trasformazioni e distruzioni nell'interno delle Palazzine; costruzione di sovrastrutture a scopo di difesa, ovunque arrecando danni agli impianti di ogni genere: gli sforzi compiuti dal sottoscritto nel primo biennio 1942-1943 per migliorare notevolmente tutto l'ambiente e il funzionamento dell'Istituto erano andati in gran parte perduti e problemi immensi, resi ancora più difficili dalle difficoltà economiche del dopoguerra, si presentarono immediatamente all'atto in cui, alcune settimane prima della liberazione, ero riuscito ad ottenere lo sgombero delle truppe (aprile 1945). La situazione era caotica: le autorità civili, sempre più assenti, non erano in grado di mantenere le loro promesse e le nuove autorità liberatrici erano impegnate nella risoluzione di problemi che innegabilmente avevano carattere di maggiore urgenza.
Nonostante queste difficoltà evidenti, riuscii ad ottenere immediati aiuti, dai Municipi di Torino e di Pino Torinese e soprattutto l'interessamento del Genio Civile, che pose mano assai presto ai primi lavori di riparazione agli ambienti, anche per sollecitazione del Governo militare alleato. Il personale dell'Osservatorio fu tutto impegnato a collaborare ad un primo riassetto dell'Osservatorio, i cui lavori scientifici non vennero mai sospesi o rallentati […] Non v'è stata la possibilità di provvedere l'Istituto di Strumenti scientifici nuovi; ma tutti gli Strumenti dell'Osservatorio sono stati notevolmente migliorati nel loro funzionamento, e rimessi a nuovo in tutte le loro parti vitali e d'impiego […] La Biblioteca, che sostanzialmente, nel corso dello sfollamento, non ha subito danni di rilievo, è stata completamente riordinata e, nei limiti del possibile, aggiornata […]
L'Osservatorio è stato provvisto di un Microfotometro stellare […] ha ricevuto sul piano ERP una Macchina calcolatrice "Marchant" e confida di avere, sempre sul piano ERP, il Misuratore universale "Gaertner", indispensabile per lo sviluppo delle ricerche sulle posizioni di Pianeti e Comete. L'Officina è stata rimodernata con nuove Macchine […]».

06. Dal 1941 al 2007

Nel 1941 fu nominato direttore e docente presso la cattedra di astronomia dell'Università Gino Cecchini (Viareggio 1896 - Calci 1978). Laureatosi in matematica pura presso la Scuola normale superiore di Pisa nel 1920, aveva trascorso sette anni presso la Stazione di Carloforte ottenendo quindi il trasferimento a Milano-Merate fino all'arrivo a Torino. L'8 agosto 1942 era stata intanto promulgata la legge sul riordinamento dei Regi Osservatori astronomici, con la quale gli Osservatori venivano dotati di personalità giuridica e sottoposti a un Consiglio di amministrazione responsabile della gestione economica e patrimoniale. All'arrivo di Cecchini la situazione era assai critica: a causa degli eventi bellici il personale si era drasticamente ridotto con conseguente rallentamento dell'attività scientifica e la strumentazione era ormai inadeguata; il quadro generale peggiorò il 26 gennaio 1944, quando il Comando militare germanico procedette alla requisizione di tutti i locali dell'Istituto per adattare l'Osservatorio a scopi difensivi (in realtà l'occupazione effettiva ebbe luogo soltanto a partire da luglio). Di conseguenza, i vari ambienti subirono radicali alterazioni, la biblioteca trasferita, il personale alloggiato in case private, le cupole - e gli strumenti al loro interno - mimetizzate; soltanto lo strumento dei passaggi e il cannocchiale Steinheil furono rimossi e provvisoriamente depositati in altra sede. Al termine del conflitto ebbero inizio le riparazioni più urgenti con l'ausilio dei fondi stanziati dal governo militare alleato, e il primo ottobre 1945 tutto il personale poté far ritorno in sede. I restauri furono eseguiti in tre successivi periodi, dal 1945 al 1950. Tra i principali strumenti che dall'arrivo di Cecchini al periodo immediatamente successivo la fine delle ostilità vennero in varia misura revisionati, ripristinati o acquistati, i due equatoriali (visuale di Merz e fotografico di Zeiss), il cerchio meridiano di Bamberg, il già citato cannocchiale di Steinheil, il fotometro visuale registratore, il misuratore di lastre e il microfotometro.
Sotto la direzione di Cecchini, il primo gennaio 1949 l'Osservatorio astronomico divenne sede dell'Istituto Centrale delle Latitudini dell'Unione Astronomica Internazionale, che aveva il compito di raccogliere, coordinare ed elaborare i dati forniti dalle osservazioni di latitudine nelle sei stazioni collegate: Carloforte (Italia), Kitab (Unione Sovietica), Ukiah e Gaithersburg (Stati Uniti), Mizusawa (Giappone) e La Plata (Argentina).

Con il collocamento a riposo di Cecchini, il primo novembre 1966 la direzione dell'Osservatorio e la cattedra di astronomia presso l'Università passarono a Mario Girolamo Fracastoro (Firenze 1914 - Torino 1994) che rimase in carica fino al 1984. Laureato in fisica, astronomo ad Arcetri e quindi direttore dell'Osservatorio di Catania, con l'arrivo a Torino Fracastoro decise di proseguire nelle tradizioni della Specola torinese, nella convinzione che i progressi raggiunti nel settore dell'astrofisica poggiassero in gran parte sull'utilizzo dei dati astrometrici raccolti dagli astronomi del passato: «[…] dell'Astronomia di posizione c'è ancor oggi bisogno e quindi occorre incoraggiare coloro che si dedicano a tale ramo, anche se esso è il più ingrato ed avaro di tutta l'Astronomia. Uno degli incoraggiamenti deve consistere nel dotare questi ricercatori di mezzi d'indagine moderni, atti a raccogliere ed elaborare nel tempo più breve e con obbiettiva precisione i dati così faticosamente raccolti sul cielo».
Egli si dedicò pertanto al potenziamento e al rinnovamento della ricerca nei settori dell'astrometria e dello studio di asteroidi e favorì gli studi nel campo dell'astrofisica teorica e osservativa partecipando alla proposta della missione spaziale astrometrica HIPPARCOS dell'Agenzia Spaziale Europea per la misura accurata delle posizioni e dei moti propri stellari. Fu presidente dell'Accademia delle Scienze di Torino.
Nell'ambito della strumentazione, l'Osservatorio fu dotato di nuovi telescopi: il principale, un telescopio riflettore (costruito dalla ditta francese REOSC) per misure astrometriche, con specchio primario parabolico di 1,05 m e secondario piano di circa 60 cm, scala di 20,744"/mm, attualmente utilizzato, in ragione della completa automazione delle funzioni osservative, per il monitoring fotometrico di galassie attive e la fotometria in banda stretta di oggetti molto giovani; un telescopio rifrattore foto-visuale (in sostituzione dell'ormai vetusto equatoriale di Merz, prende il nome dall'ingegner Morais che ne disegnò gli obbiettivi) che accoppia un rifrattore (scala ~ 30"/mm) con tripletto a spettro secondario ridotto da 38 cm di diametro ottimizzato per osservazioni fotografiche a grande campo (utilizzato fino a pochi anni or sono per lavori di astrometria) a uno con obiettivo di 42 cm corretto per il visibile; infine, un telescopio cassegrain da 45 cm di diametro costruito dall'officina italiana Marcon, dedicato alla fotometria fotoelettrica di asteroidi e binarie ad eclisse (nella cupola che lo ospitava è attualmente installato un telescopio di tipo Ritchey-Chretien per imaging e fotometria CCD interamente automatico); per far fronte alla necessità di elaborare velocemente i dati osservativi furono inoltre allestiti un centro di calcolo e un laboratorio di elettronica, collocati in una costruzione confinante con l'Osservatorio, Villa Magliola, acquistata nel 1980 grazie a un fondo per l'edilizia stanziato dal Ministero.

Successivamente la direzione passò per un breve periodo, dal 1984 al 1986, ad Alberto Masani (Fucecchio 1915 - Marina di Carrara 2005), quindi ad Attilio Ferrari, direttore dal 1986 al luglio 2001 (nel corso del 2000 è avvenuto il passaggio degli Osservatori astronomici nazionali all'INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica, con conseguente perdita dell'autonomia). Sotto la direzione di Ferrari l'Osservatorio ha esteso le ricerche nei settori dell'astrofisica stellare ed extragalattica, favorendo la partecipazione dell'Istituto a diversi progetti spaziali (SOHO, HIPPARCOS, PIAZZI, IMPACT, GAIA, JUNO) e alla realizzazione di database locali per la gestione dei dati provenienti da cataloghi (ad esempio il GSC II) o per l'archiviazione di dati ottenuti dal satellite SOHO (archivio SOLAR); tra le nuove strumentazioni, camere operanti nel visuale e nell'infrarosso (il CCD a grande campo, le camere infrarosse TIRCAM e TC-MIRC), il magnetometro solare MOF, il misuratore di lastre TOCAMM, il fotopolarimetro UBVRI e la camera a scansione; in collaborazione con ESO la costruzione di due sensori di frangia per l’interferometro VLTI. Infine, sono state poste le basi per la realizzazione del planetario, inaugurato nel 2007 nei pressi dell'Osservatorio.

L'attuale struttura dell'Osservatorio comprende oggi quattro edifici (le due palazzine originarie a due piani fuori terra, Villa Magliola e un basso fabbricato adibito a officina meccanica), due cupole maggiori per il riflettore astrometrico REOSC e per il rifrattore doppio Morais, due cupole minori per il “nuovo riflettore Marcon” (dal diametro di 80 cm) e per l'astrografo Zeiss, due sale meridiane per lo strumento dei passaggi e per il cerchio meridiano di Bamberg; infine, un'officina meccanica.
La palazzina grande accoglie la direzione, gli uffici del personale di ricerca, la biblioteca e l'archivio storico (che conserva materiale documentario a partire dall'epoca del trasferimento dell'Osservatorio nella nuova sede di Palazzo Madama; la documentazione più antica è invece conservata, seguendo la storia dell'Istituto, presso l'Accademia delle Scienze, l'Università e l'Archivio di Stato di Torino); la palazzina piccola ospita gli uffici amministrativi, l'ufficio tecnico, la portineria, la foresteria e gli alloggi dei custodi.

07. Il Servizio Internazionale di Latitudini (SIL)

L'organizzazione del Servizio Internazionale di Latitudini era stata decisa nel 1895 dalla Conferenza di Berlino indetta dall'Associazione Geodetica Internazionale e resa operativa dalla successiva Conferenza di Stoccarda del 1898. Il servizio inizialmente prevedeva quattro stazioni (Mizusawa, Giappone; Tschardjui, Russia; Gaithersburg, Stati Uniti; Carloforte, Italia); altre due stazioni si aggiunsero successivamente (Cincinnati e Ukiah, Stati Uniti). Le stazioni di Cincinnati e Tschardjui cessarono di operare nel 1916 e nel 1919. Al posto di quest'ultima nel 1931 si aggiunse la stazione di Kitab, sempre in Unione Sovietica. Le osservazioni iniziarono nell'autunno del 1899; la direzione fu stabilita dapprima presso l'Istituto Geodetico Prussiano di Potsdam, poi dal 1922 al 1935 presso la Stazione astronomica di Mizusawa; successivamente, fino al 1948, presso l'Osservatorio astronomico di Capodimonte e infine, dal 1949 al 1961, a Pino Torinese.
A partire dal primo gennaio 1949, sotto la direzione di Gino Cecchini, l'Ufficio centrale fu riorganizzato dalle fondamenta, sia in merito alle sue funzioni sia per quanto riguardava il personale, estraneo all'Istituto astronomico. L'attività svolta era complessa: raccolta e calcolo di tutte le osservazioni che sistematicamente avevano luogo nelle sei stazioni internazionali di Carloforte, Kitab, Ukiah, Gaithersburg, Mizusawa, La Plata (di più recente istituzione). Tali osservazioni erano studiate allo scopo di determinare il movimento, sulla superficie terrestre, dei poli di rotazione e, inoltre, indagare il fenomeno più generale della variazione delle latitudini terrestri.
In ordine alla necessità di assicurare uniformità al trattamento dei dati, Cecchini rielaborò tutto il materiale raccolto fin dall'inizio dell'attività delle stazioni originarie che, unitamente ai risultati delle 148.000 osservazioni di latitudine effettuate tra il 1949 e il 1961, furono pubblicati a Firenze in tre volumi a opera dell'Istituto Geografico Militare. Il 6 gennaio 1955 le stazioni internazionali iniziarono le osservazioni secondo un nuovo programma definito da Cecchini stesso e, a partire dall'anno successivo, le funzioni dell'Ufficio centrale furono ulteriormente ampliate. Dal 1962 l'Ufficio centrale è tornato alle dipendenze dell'Osservatorio di Mizusawa e il Servizio Internazionale di Latitudini ha assunto il nome di Servizio Internazionale del Movimento Polare (ISPM).

08. La Società Astronomica Italiana e la Società Urania

Tra le carte dell'archivio storico-scientifico dell'Osservatorio torinese è stata rinvenuta la documentazione appartenente a una poco nota Società Astronomica Italiana con sede in Torino, che nei primi anni del XX secolo (più precisamente, il periodo 1907-1914) costituì un punto di notevole aggregazione tra gli astronomi italiani e che per mezzo della «Rivista di astronomia e scienze affini», suo organo ufficiale, tentò, almeno inizialmente, la diffusione, la divulgazione e la volgarizzazione tra il vasto pubblico delle nuove conoscenze in ambito astronomico e scientifico.
L'assenza dei verbali di assemblea è fortunatamente mitigata dalla loro parziale pubblicazione sulla rivista, alla voce "Atti della Società". Attraverso la lettura di questi ultimi è stato possibile ricostruire in modo assai dettagliato le vicende del sodalizio.
Le adunanze preparatorie alla costituzione della Società ebbero luogo nei locali dell'Osservatorio astronomico di Torino (all'epoca ancora ubicato a Palazzo Madama) le sere del 28 ottobre e 9 novembre 1906. Nel corso degli incontri si procedette all'approvazione dello statuto e del regolamento e alla nomina di un Comitato esecutivo avente per compito la sistemazione organica della Società e l'incremento del numero degli iscritti. A presiedere il Comitato fu chiamato l'ideatore e il principale artefice dell'iniziativa, padre Giovanni Boccardi, all'epoca già direttore dell'Osservatorio e stimato studioso in ambito italiano ed estero. Alla sera del 24 novembre dello stesso anno risale la data ufficiale di fondazione. Le prime elezioni ebbero luogo nel gennaio 1907 con la nomina a presidente dell'ingegner Ottavio Zanotti Bianco, torinese, il quale però rinunciò immediatamente alla carica a favore di Giovanni Boccardi. Oltre al presidente vennero designati un vicepresidente, alcuni consiglieri, un segretario, un tesoriere e un bibliotecario.
L'articolo 1 dello statuto stabiliva che l'«iscopo esclusivo» della Società era: «di diffondere le cognizioni di Astronomia e delle scienze affini, d'incoraggiare le serie ricerche scientifiche e di favorire i rapporti tra le persone che s'interessano al progresso di dette scienze».
Tra i numerosi mezzi indicati per realizzare gli intenti prestabiliti, particolare rilevanza rivestiva il proposito di allestire un osservatorio a uso esclusivo della Società; grande attenzione fu inoltre prestata alla redazione della rivista, il cui intento divulgativo era apparso con chiarezza già nella presentazione ai lettori del primo numero: «Noi, dirigendo quest'invito, speriamo di ottenere il consentimento di tutti coloro che sono convinti come sia obbligo morale degli uomini di scienza di non starsene egoisticamente tappati nei loro laboratori, nei loro musei, nei loro osservatori, ma invece sia loro dovere imprescindibile, di fronte alle esigenze evolute della società attuale, di dirigere una parte della loro attività e dei mezzi che sono a loro disposizione, al nobile scopo di diffondere la cultura scientifica […]».
Essa comprendeva, oltre ad articoli di interesse scientifico, numerose ed esaustive notizie di taglio più giornalistico, volte a fornire ai lettori un puntuale aggiornamento in merito a fenomeni astronomici e meteorologici e a iniziative di studio a essi connesse, quali convegni, conferenze, lezioni.
Il successo fu immediato: le liste riportanti i nominativi dei soci fondatori e degli iscritti nel suo primo anno di vita - residenti non solo in Torino, ma in tutta Italia e all'estero - testimoniano il fervore con cui l'iniziativa fu accolta. Inoltre, l'eterogeneità delle professioni svolte dagli aderenti manifesta chiaramente il grande interesse destato dalle discipline astronomiche tra i diversi ceti sociali. In breve tempo l'aumento del numero degli iscritti rese necessaria l'istituzione di due sezioni distaccate, rispettivamente a Milano e a Firenze. Tra le iniziative promosse, la costituzione di una biblioteca sociale, la programmazione di conferenze aventi per oggetto argomenti astronomici, lo svolgimento di serate di osservazioni (a Torino venne installato un telescopio a esclusivo uso dei soci su una terrazza in corso Oporto 2, l'attuale corso Giacomo Matteotti); infine, la creazione di una Commissione solare da parte dei soci appassionati all'osservazione delle macchie solari i quali, avvalendosi dell'aiuto di Wolfer (membro dell'Osservatorio del Politecnico di Zurigo) e dell'incoraggiamento di Schiaparelli portarono a termine numerosi studi in materia.
Allo scadere del biennio la carica di presidente passò a Vincenzo Cerulli, direttore dell'Osservatorio di Collurania (Teramo). La Società Astronomica continuò a prosperare e ad arricchirsi di nuovi iscritti e di nuovi contributi per la «Rivista di astronomia e scienze affini». Il rapporto con analoghe società astronomiche, osservatori e istituti scientifici europei ed extraeuropei veniva alimentato dal costante scambio delle pubblicazioni. Nell'aprile 1909, non essendo più disponibili i locali dell'Osservatorio astronomico, si rese necessario il reperimento di una nuova sede sociale; precisi accordi con la Società Fotografica Subalpina con sede in Torino, via Maria Vittoria 23, stabilirono un utilizzo comune dei locali da questa occupati.
Alla fine del 1910, allo scadere del secondo biennio, la presidenza passò a Camillo Melzi d'Eril, contrariamente al volere di Giovanni Boccardi e dei suoi fautori, sostenitori di un candidato diverso (Federico Sacco, professore al Politecnico di Torino) e di una lista diversa.
I contrasti interni divennero presto insanabili e condussero inesorabilmente a una scissione dalla quale scaturì, nel 1911, la fondazione di un nuovo sodalizio concorrente, la Società Urania (ancora guidata da Boccardi) con sede presso l'Osservatorio astronomico di Torino.
Un discreto numero di soci aderì alla proposta di Boccardi ed entrò a far parte della sua nuova Società, ma la maggioranza mantenne l'iscrizione alla Società Astronomica Italiana. Il periodo di crisi fu superato, ma da questo momento ebbe inizio un lento declino che condusse nel giro di pochi anni alla sua dissoluzione. Molteplici le ragioni: prima tra tutte, la reale concorrenza esercitata dalla Società Urania e dal periodico da essa edito, «Saggi di astronomia popolare». All'inizio del 1913 la carica di presidente passò nuovamente a Vincenzo Cerulli ma la situazione non migliorò: un avviso comparso sul numero di dicembre della «Rivista di astronomia e scienze affini» consigliava ai soci di non versare la quota per l'anno successivo fino al miglioramento dello stato di crisi. Trascorsero ancora pochi mesi, e il 10 febbraio 1914 la Società Astronomica cessò di esistere.
Le ultime notizie relative alla Società Astronomica Italiana recano la data 29 novembre 1924, giorno in cui fu redatto il verbale di scarico dei suoi liquidatori. In base all'articolo 20 dello statuto («Ogni attività che risultasse all'epoca della risoluzione sarà devoluta ad Istituzioni aventi scopi analoghi»), infatti, ebbe luogo il passaggio dalla Società Astronomica Italiana alla Società Urania. Questo l'elenco degli oggetti ancora esistenti appartenenti all'antica Società Astronomica: uno scaffale e una lavagna; la biblioteca risultante dalle opere avute in dono dagli autori e di quelle avute in cambio della rivista; tre copie complete della «Rivista di astronomia e scienze affini» (sette annate) e altre copie incomplete; alcuni clichés utilizzati per le pubblicazioni; un cannocchiale Mailhat con obbiettivo di 75 mm e montatura equatoriale a latitudine variabile, con tre oculari: uno terrestre di 50 ingrandimenti e due celesti di 80 e 160 ingrandimenti; un oculare elioscopico Colzi costruito da Zeiss; infine, Lire 133,20 rimaste in cassa: «Ciò premesso si forma il presente verbale per atto di accettazione da parte dei rappresentanti della Società Urania e quale scarico dei liquidatori della Società Astronomica Italiana».
Si esauriscono in tal modo le vicende di un sodalizio che per sette anni aveva notevolmente contribuito alla promozione e alla divulgazione delle discipline astronomiche in Italia e all'estero. Tuttavia, il ricordo di questa esperienza non andò perduto e il nome dell'antica istituzione tornò in una lettera del 5 marzo 1920 inviata da Vincenzo Cerulli, all'epoca presidente della Società degli Spettroscopisti Italiani, a colleghi e appassionati di astronomia, nella quale veniva annunciata la trasformazione della Società degli Spettroscopisti in Società Astronomica Italiana: «Ci rivolgiamo pertanto alle Specole nostre, ed agli Istituti e cultori di scienze affini alla Astronomia, affinché vogliano sino da ora prepararsi a dare il loro valido contributo di lavoro per la nuova Serie delle Memorie, che desideriamo vedano la luce al più presto». Pur in mancanza di un collegamento diretto tra le due Società, possiamo tuttavia individuare un legame almeno simbolico, un diretto passaggio di consegna nella persona di Vincenzo Cerulli, ultimo presidente della vecchia Società Astronomica e primo presidente della nuova SAIt.

Un rapido accenno alle vicende della Società Urania: quest'ultima, a partire dal 1920, sotto la direzione del geologo Federico Sacco estese il suo campo di interesse e di indagine a tutte le scienze, a eccezione di quelle biologiche. Anche la rivista abbandonò il suo antico nome, «Saggi di astronomia popolare», in favore del nuovo e meglio identificabile «Urania» e fu pubblicata fino al 1943.

09. Contro alcuni meteorologi

Giovanni Boccardi. Per una più umana meteorologia. Estratto dal «Corriere meridionale», in «Saggi di astronomia popolare», IV (1914), n. 6, p. 90-94. Archivio Sella Società Urania. Faldone 1, fascicolo 6

«Da circa tre mesi il pubblico mena lamento della mancata primavera e dichiara, sotto questo riguardo, l'anno corrente peggiore dei precedenti. Senonché nemmeno questo sfogo innocente
viene consentito a chi soffre, perché una certa scienza, o meglio alcuni in nome della scienza meteorica, non vogliono sentir parlare di primavera eccezionale, e dichiarano che in questa materia non si deve fermarsi alle impressioni, ma conviene consultare i registri delle osservazioni
[…]
Ma, viva Dio, il pubblico non è quell'ignorante sognatore che vanno declamando certi manipolatori di cifre, calcolatori di medie e disegnatori di diagrammi. Alcuni meteorologisti si son messi in capo che quello che caratterizza una stagione, un mese, una decade dell'anno, non sono le fluttuazioni che questi periodi possono avere, ma debbano essere le medie delle temperature, della pressione, della quantità di pioggia ripartita su i singoli giorni, ecc. […] Propendiamo ad ammettere che in questa materia un certo convenzionalismo, o virtuosità scientifica, che sia, mettano certi cultori della meteorologia (per altro rispettabilissimi) in pieno contrasto col modo generale di giudicare delle cose, in altri termini col buon senso comune […] le medie saranno buone per le statistiche, ma quando trattasi di singoli casi nulla dicono […] Ed ecco quello che fa soffrire il pubblico, il quale non sa che fare delle medie e vorrebbe piuttosto sapere se domani debba prendere gli abiti di primavera o di estate oppur quelli d'inverno».

Note

* Testo tratto dall'articolo di Valeria Calabrese Oltre le nuvole. Cenni di astronomia torinese, in Gennaro Di Napoli - Luca Mercalli (a cura di), Il clima di Torino. Tre secoli di osservazioni meteorologiche, Società meteorologica subalpina, Torino 2008, pp. 111-126

Bibliografia

Fonti Archivistiche

  • Archivio dell'Accademia delle Scienze
  • Archivio storico dell'Osservatorio astronomico di Torino
  • Archivio storico dell'Università di Torino
  • Archivio di Stato di Torino

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