Table of Contents Table of Contents
Previous Page  1438 / 1821 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 1438 / 1821 Next Page
Page Background

F R A

I

L I B R I

L ’EDIZIONE NAZIONALE DELLE OPERE

DI GIOSUÈ CARDUCCI

Ricorre nel prossimo anno il centenario della nascita

di Giosuè Carducci, il poeta che in tempi tristi vaticinò

un'Italia libera e forte, fiera della sua storia e delle sue

memorie, l’Italia d’oggi che egli volle con mente presaga.

A rinnovellame il culto negli italiani, e come doveroso

tributo alla memoria del Poeta, la Casa Zanichelli ne pub­

blicherà le opere in edizione nazionale.

L'edizione, degna in tutto del grande Maestro, si confor­

merà a quella schietta e gloriosa tradizione italiana del

libro che dominò l’Europa nel secolo XVI e comprenderà,

in 25 volumi, tutte le opere di Lui, edite e inedite. Sarà

aggiunto ad esse, preziosa fonte quasi inesplorata ancora,

l’epistolario completo che consterà da solo di una quindi­

cina di volumi almeno.

Cura l'opera monumentale un Comitato di insigni stu­

diosi sotto la Presidenza di S. E. Federzoni.

Quattro dei volumi saranno assolutamente nuovi: il

primo, di particolare interesse, che uscirà nel dicembre,

conterrà i primi versi (fino al 1859) in gran parte inediti,

gli altri avranno aggiunte e integrazioni tali da renderli

nuovi anch’essi e tutta la materia sarà disposta in modo da

rispondere ai criteri fondamentali voluti dal Poeta.

Vincenzo Carpegna

(Ceniin), Strofe d'un cantastorie. Rime

piemónteise.

Prefassiòn ’d Gigi Michelotti. Torino,

F. Casanova e C., 1934-XII, pagg. 176. L. 10.

Poeta dalla vena facilissima e felicissima Vincenzo Car­

pegna canta di ogni cosa, specie delle più comuni e modeste,

e, a chi lo interroga sulle ragioni delle sue preferenze risponde:

ij rispóndo, ’n cónfdenssa,

che

sui

tema tant tratà,

són già fosse c&ncórenssa

tante crape pi scaódà

e che avend poch sai an testa

m’interessi ’i lon ch’ai resta.

Ma. a chi legga il volume testé pubblicato con ottima

veste e con gustosissimi disegni del Casanova, il poeta non

dà certo l'impressione di avere poco sale in zucca: cbè,

anzi, non vi è pagina che non ne faccia balzare in piena

luce Io spirito di osservazione profonda, l'arguta

paesana zampillante con vivacità inesauribile, la dolcezza

del sentimento, l’orgoglio sano della buona e vecchia tetra

di Piemonte, cosi ricca di tradizioni e di glorie e — checché

ne dicano coloro che non la conoscono — anche di poesia.

Tradissión piemónteise,

è appunto una delle canzoni

meglio riuscite,

Tùie

h

che f i j ticket,

di loraliwimo gusto,è

una brillantissima serie di ritratti,

Quetnd

ch’i

viddó

Gió­

vani*

è una graziosissima cosa ricca di monelleria e di

maliria.

It ricorde?

è un idillio più grazioso ancora.

A l mm

dice con garbo alcune verità sacrosante sopra aa tana chc

poi, meno felicemente, è ripreso da

Pensionò

e da altre

poesie del volume.

Quadretti vivacissimi ridono o sorridono in

Cóbie di

spós,

in

Porta Palass,

in

Cavagne quatà ’d fiór,

in

Tente

su

Mariólin,

in rsstdw

’d móntagna,

in

Matin ’n móntagna...

Perchè, da buon piemontese, il Carpegna è un ammi­

ratore delle nostre Alpi, e un interprete felice delle loro

bellezze. E, quando canta le montagne, la sua espressione

si fa più varia e aderente al soggetto, il verso diventa più

snello, il dialetto più puro.

Verso e dialetto... due tasti delicati per molti, per

troppi poeti nostri: i quali, Carpegna compreso, si valgono

ora d’un vocabolario (e spesso anche una sintassi) troppo

italianeggiante (nè Brofferio nè Fulberto Alami, nè Baretti,

nè Bersezio avrebbero certo ricordate le

ninije dii cióchi

o il

colmo d'l'ironia,

nè usato

góssa

per

stissa,

pii an gir

per

p ii a fi,

divertisse

per

amùsese,

bastanssa

o —

peggio —

abastanssa

per

assi,

perissia

per

pratica

o

ghiddó,

mossa

per

andi o fi,

dólcissa

per

dousissa,

anguanti

per agguantare, ecc.) o troppo volgare

(marna

per

maman o mare, mórfela

per

cita

o

pitta, desse ’d sagno

per

campi aut o desse ’d deuit),

quasi come se il dialetto

che un tempo fu già parlato con piacere e con raro senso

di eleganza dalle classi più alte (Maria Pia di Portogallo

sosteneva che fosse una lingua) dovesse essere abbandonato

alla deriva.

Quanto al verso, o meglio, alla misura del verso, è fre­

quente nel Carpegna l’uso di incisi, di accrescitivi, di parti-

celle inutili inserite qua e là per raggiungere il numero di

sillabe voluto, a costo anche di sciupare l’effetto o di gua­

stare il naturale svolgimento del discorso. Basta ricordare

Onssin

(le tóe geni són labórióse, desiti

I, bin

digordije,

ecc.),

le fiór

bin

cólórie, un brut e neir barbiass, le ónde tute

tant

tranquile,

i frutti

legati

tu

fascine

che provengon

dai bosch

e dai

bei

prà,

i villeggianti che

són tóma ritróviuse

(perchè

ripetere l’iterazione?).

Nè è possibile non ricordare — poiché quando si studia

una diagnosi bisogna avere il coraggio di rilevare tutti i

sintomi — i versi al 17° artiglieria ove si parla di una lapide

fregiò

(con che cosa?) che poi sa anche parlare a chi legge,

e quelli per Vico con i quali d si informa che:

d’antón al

paisoto

a slargò pi ’d ’na

via

per pódei monde già, spedì por tonti màjo

’nt le s iti dii centro, ’n lóngo filónghera,

módión, pógieui. Mone ’d le site cene ’d poro...

Se il Carpegna si fosse limitato ai quadretti squisiti di

’N compagno 0 Cavóret,

della

Regino ’d me fóruel,

di

’N gambo

o lo viruts,

delle

Savoiarde ’d Bertóla,

di S*t

feissó sckisso?

e simili, la raccolta sarebbe riuscita meno voluminosa ma

anche indubbiamente migliore.

Ad ogni modo le mende rilevate non toccano che la forma

e con un più accurato lavoro di riflessione e di lima potreb­

bero essere facilmente evitate da dà, come fl Carpegna.

u t ucmtm ai m a , nccnessa • w n su x ta di

m v q m o m

,

58