Table of Contents Table of Contents
Previous Page  454 / 1821 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 454 / 1821 Next Page
Page Background

DON BOSCO SANTO ITAL IANO

segue le orme del Redentore che degli umili fece

prima di ogni altro il Suo gregge per salire poi

trionfalmente alla conquista spirituale di tutto il

mondo.

Noi troviamo, è vero, nell’opera di Don Bosco

i segni del tempo; ma nego assolutamente che questi

segni siano quelli irreligiosi e deleteri della rivolu­

zione francese, per la quale troppa gente ha avuto

per troppo lungo tempo ed in troppi campi troppe

tenerezze.

No.

Per comprendere lo spirito dell’opera

cristianissima, educativa e sociale di Don Bosco bi­

sogna rientrare nella Sua terra, fra le Sue tradizioni,

fra le persone del Suo tempo, fra i creatori ed i

reggitori di quello Stato che ebbe caratteri incon­

fondibili e non certamente nè liberali, nè democratici,

ma provvidenzialmente idonei a creare la prima unità

territoriale dell’Italia intera. Che se si può ampia­

mente discutere sul fatto che vi fosse allora in Italia

un popolo solo non si può certamente negare che

un unico popolo, un saldissimo aggregato etnico

stretto come un monolite intorno allo Stato, intorno

al suo Re, fosse quello piemontese, anzi quello del­

l’intero Regno Sardo. Lo Statuto stesso, promulgato

agli albori della attività di Don Bosco, non appor­

tava a quelle genti nessuna nuova libertà della quale

sentissero il bisogno, tanto erano da secoli in perfetta

fusione con lo Stato che era la loro anima stessa.

Lo Statuto sventolava una bandiera davanti a tutti

gli italiani, significava la guerra all’Austria per l’unità

d’Italia, segnava un patto fra Re e popolo, fra Stato

e popolo, che poteva essere il solo idoneo a vincere

il destino.

Nessuno fu più devotamente ligio a quegli ordi­

namenti, a quel Governo, a quel Re, a quello Stato

che Don Bosco. Egli aveva appunto creata una isti­

tuzione col fine di

tributare a Dio quanto è di Dio ed

allo Stato quanto è dello Stato.

La politica, che abbiam chiamata della carità,

anche nella forma educativa e sociale viene da Lui

condotta per tutti in modo così elevato che previene

largamente i tempi superando il vieto criterio di

democrazia, che non è italiano e non è cristiano, per

assumere fin da allora il volto modernissimo anzi

infuturato, italianissimo e perciò fascista di solida­

rietà umana; quello che Michele di Cavour, molto

clero di allora e la pia Marchesa di Barolo non

capivano.

Ecco perchè soltanto in Regime Fascista si può

comprendere nella Sua chiara interezza la storia mi­

racolosa del Risorgimento, dove tutti, anche i Santi,

portano la loro pietra alla grande costruzione nazio­

nale, primo fra questi Don Bosco.

* * *

Non diversamente nè sotto altra luce, nella quale

è sempre bene inteso compresa l'aureola dominante

della santità, va guardata l’opera di educatore di

Don Bosco. Se la Sua azione sociale non fu democra­

tica ma di amore del popolo, la Sua vita di Santo

fu pur sempre interamente spesa ad educare il po­

polo. Anche qui l’opera Sua è strettamente legata a

quanto la Provvidenza Gli fa assorbire dalla Sua

terra e dalla Sua gente col dono della vita temprata

alle avversità. Quello che abbiam chiamato il me­

todo educativo di Don Bosco, anche se Egli ebbe

ad affermare di non averne, fu definito

metodo pre­

ventivo,

e fu messo di fronte dagli studiosi di peda­

gogia ad un cosidetto

metodo repressivo.

Come appli-

catore tipico di questo ultimo è stato segnato a dito

più o meno palesemente: l’Esercito. Nulla di più

sbagliato. Don Bosco prese appunto dalla Sua gente,

che è sempre stata un Esercito, prima che un popolo,

questa virtù: «

di farsi amare per farsi ubbidire

».

Il segreto di mille guerre in ultima analisi sempre

vittoriose, di un legame indissolubile fra popolo e

principi attraverso poco meno di un millennio in

Piemonte, sta appunto in questa formula: della ubbi­

dienza per amore. Come si spiegherebbe diversamente

la instaurazione, o meglio il ritorno romano della

coscrizione in Piemonte da parte di Emanuele Fili­

berto nel secolo della Rinascenza attuando così nei

fatti e per la guerra e primi in Europa un semplice

sogno di Nicolò Machiavelli? La verità è ben diversa

dal come fu conclamata e cioè che nelle nostre forze

armate di allora e di ora la repressione non veniva

e non viene che come estrema ragione di manteni­

mento della disciplina e della coesione nei casi rari

ed assolutamente eccezionali laddove la vita comune

di Capi e gregari, ufficiali e soldati, che è poi anche

un canone fondamentale degli ammaestramenti e

della pratica di Don Bosco, non riesca a giocare. La

verità si è che nelle nostre forze armate l’amore sta,

se Dio lo voglia, a fondamento della consuetudine

indissolubilmente comune per la vita e per la morte

di tutti gli aggregati della istituzione, per i quali

appare già castigo, come appariva per Don Bosco,

la semplice assenza del premio. La verità si è che

Don Bosco, Santo, non fa che applicare queste, che

sono virtù della Sua terra e della Sua gente in grado

eroico per l’eroismo della carità. D’altra parte anche

Egli non esclude dalla Sua pratica educativa un

estremo castigo: l’allontanamento da lui del colpe­

vole, quando anche la Sua bontà-Santa, giunga a

ritenerlo incorreggibile. La verità si è che le milizie

del Signore e le milizie della Patria avevano per

alcun tempo perduti fra di loro i contatti. Non riu­

scivano più a comprendersi, anche se non solo in

quanto militanti rimanevano pur sempre fra loro

vicine, così da sentire parlare di repressione là dove

sono le prove più evidenti non soltanto della preven­

zione ma dell’amore. Don Bosco non ebbe mai a

perdere questi contatti, così che oggi, a reciproca

comprensione rinata e perfetta, la Sua veggenza e

le sue virtù eroiche risplendono al nuovo sole come

le virtù stesse della Patria, anzi con quelle si identi­

ficano. Sono virtù romane e, come ogni romana e

cristiana virtù, confusa nella provvidenziale roma­

nità di Cristo, hanno la forza dell’espansione fra

tutte le genti.

10