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DON BOSCO SANTO ITALIANO

sè, come immodestia od altro difetto, quando è qui

invece la virtù dell’uomo d ’azione nel semplice ed

eroico uscire dalla trincea esponendosi da solo alle

offese, uno per tutti, al buon combattimento. Non

voglio continuare a tenere aperto il libro dei suoi

dispiaceri che conosco bene, e so quanto coincida con

quello di tutti gli appassionati servitori della Patria

di allora e di poi con quello di tutti gli uomini di

carattere. Voglio soltanto ricordare che questi Santi,

che sono anche Santi della Patria e gloria di Lei,

sono mandati a noi come immortali modelli di vita

perchè illuminino con l’esempio il nostro cammino

mortale. Chi non li vede rimane fatalmente al buio.

* * *

La sincerità di Lui diede intorno a sè questa luce

in modo prodigioso. Sono scritti da Lui, perchè ri­

mangano, i moniti più severi agli uomini della Chiesa

ed agli uomini della Patria, moniti che suonano come

la voce stessa di Dio.

In tale forma superiore servì alla Chiesa ed alla

Patria, umilissimo sempre ma non meno grande nella

certezza, che era Sua, di pronunziare parole vive e

destinate a rimanere nel tempo. Il senso della Sua

duplice missione, per la Chiesa e per l’Italia che si

dovevano riunire non lo abbandonò mai. I biografi

che affermano che Egli non facesse politica sbagliano,

perchè credono alla Sua umiltà. La storia è convinta

invece della Sua Grandezza, non soltanto perchè

affermata ai credenti dalla suprema autorità della

Chiesa nel suo divino Magistero; ma ben anche perchè

provata per tutti dalle carte che non consentono il

dubbio.

I

documenti coi quali vien scritta la storia pro­

vano che nel 1859 Egli fu messaggero ed Ambascia­

tore del Re al Papa e di questi al Re anche per

incarico avuto dal Conte di Cavour. Negli anni più dif­

ficili fra il 1869 ed il 1873 durante il Ministero Lanza

fu anche più attivo. Il Presidente del Consiglio Lo

chiamava a sè e Gli affidava le più delicate missioni

per il Pontefice. È del 1872 e porta la data fatidica

della Conciliazione —

11 Febbraio

— una Sua let­

tera diretta a Giovanni Lanza, in un carteggio fin

qui inedito, la quale appare di per sè sola una fra

le maggiori e più preziose reliquie del Santo e che

nella fervida e benedetta atmosfera di oggi diventa

doppiamente Sacra: alla Chiesa ed alla Patria. Là

troviamo la prova documentata di questa Sua altis­

sima missione conciliatrice fra il potere divino e

l’umano. Là troviamo nelle stesse parole da Lui

scritte im'altra fondamentale fra le migliaia di prove

della Sua duplice passione religiosa e civile non mai

disgiunte che lo fanno patriota Santo, e Santo ita­

liano anche perchè patriota. Ognun sapeva che Egli

fu tramite per la immissione nel possesso delle loro

diocesi di un centinaio di vescovi inibiti di giurare

fede allo Stato nei tempi più difficili. Nessuno fin

qui sapeva interamente come e quale morbidità di

rapporti mantenesse egli fra i due poteri in contrasto.

Leggiamo una parte di questa Sua lettera, a Lanza

Presidente del Consiglio,

V

i i

Febbraio 1872

: «Quando

10 aveva l’onore di parlare alla Eccellenza Vostra il

9 passato settembre parmi che siavi stato pieno

accordo che il Governo lasciava libera la scelta dei

Vescovi al Papa, nè il Governo avrebbe opposta

difficoltà pel conseguimento della temporalità. Ciò

comunicai al Santo Padre: e quando da parte del

medesimo due giorni dopo esprimeva i ringrazia­

menti con altri pensieri della stessa Santità Sua la

Eccellenza Vostra compiacevasi di confermare le me­

desime cose ».

(ili spiriti aridi ed acidi, gli ostinati seminatori di

zizzania e versatoli di fiele sono definitivamente

sconfitti da queste testimonianze della storia. I rap­

porti fra i due poteri erano quanto mai vivi ed effi­

cienti anche nel 1871 e nel 1872. Li mantenevano

due figli della stessa terra: Giovanni Bosco figlio del

contadino dei Becchi di Castelnuovo e Giovanni

Lanza, tìglio del fabbro di Casale Monferrato. Quello

delle greggi e quello dell’incudine. Quello che, mo­

rendo si fa togliere fin l’ultimo centesimo dalle tasche

per l’assoluta povertà e quello non dissimile che, dopo

aver venduta l’ultima vacca del Suo podere per poter

fare il viaggio, viene a morire in quella Roma da

Lui acquistata all’Italia, avendo

retto »v*r

cinque

anni il Governo dello Stato. Ma la parte più commo­

vente di questa lettera di Don Bosco è in una duplice

profferta d’amore e di servigi. Eccola: «Lo scrivo

con confidenza e l’assicuro che, mentre mi professo

sacerdote cattolico ed affezionato al Capo della Cat­

tolica religione, mi sono pur sempre mostrato affe­

zionatissimo al Governo pei sudditi del quale ho

costantemente dedicate le deboli mie sostanze, le

forze e la vita. Se Ella crede che io possa servire

in qualche cosa vantaggiosa al Governo ed alla reli­

gione non ha che da accennarmene il modo ». Parole

da patriota e da Santo. Parole di estrema semplicità

e di estrema grandezza se si riviva al tempo nel quale

furono pronunziate, tanto più quando si rifletta che

11 problema fu poi definitivamente risolto per la

Storia a sessantotto anni di distanza

in un altro

l i Febbraio

che è poi anche gran festa per la Chiesa.

L’hanno risolto il Duce e Papa Pio XI insieme a

tutti gli altri problemi «vantaggiosi al Governo ed

alla religione » e con quel comune affetto al popolo

italiano al quale il Duce ha, come diceva Don Bosco

di sè, «dedicate e le forze e la vita ».

Fin qui mi son fermato alla storia senza seguire

miracoli e visioni ai quali tuttavia non saprei non

credere anche se non avessi, come ho, il dono della

Fede. Non avrei saputo fare altrimenti anche perchè

non so di apologetica. So tuttavia che è antecedente

agli avvenimenti avveratisi una lettera del Santo

dalla quale si è fatto un gran parlare e che fin qui non

fu pubblicata ancora per intero; ma che se per avven­

tura lo fosse non mancherebbe di aumentare con la

meraviglia l’appassionato amore del Popolo italiano

per Don Bosco Santo della Patria. Egli antivede con

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