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strato che il signor Boccardi [probabilmen­

te : Giuseppe Maria ] lavorava dà molti an­

ni ad una grande opera su di esso; è tra­

scritto quel che il Montaigne scrisse sul dia­

letto piemontese nel suo « Giornale del

viaggio in Italia » e quello che in proposito

dichiarò Giuseppe Bartoli in una nota a

quel passo.

Di un'altra affermazione del Baretti, con­

traddetta dal Vernazza, è ricordo nel Dia­

rio, sotto la data 30 agosto ; quella cioè, se­

condo la quale il Piemonte non avrebbe

prodotto un solo poeta. Il Vernazza ne ten­

ne discorso col Lessing, ricordando altri

poeti — oltre il Passeroni già citato dal Ba­

retti, — le loro opere e quello che egli ne

aveva scritto. Di tutto poi lo scrittore tedesco

prese nota nel suo giornale. I poeti sono

Paolo Cerrato e il Conte Federico Asinari di

Camerano. Del primo (nato ad Alba verso

il 1485 e Butore, tra l ’altro, di un poemetto

« De Virginitate » in versi latini) il Vernaz­

za aveva discorso ampiamente nelle sue

« Notizie degli scrittori albesani » e proba­

bilmente già nel 1775 attendeva alla prepa­

razione dell’ edizione apparsa poi a Vercelli

nel 1778 col titolo « Pauli Cerrati Albensis

Pompeiani quae superant opera». Fors'an-

che in quel tempo promoveva la traduzione

nella nostra lingua del massimo poema del

Cerrato, trovando in Giuseppe Bartoli e in

Carlo Tenivelli due volonterosi esecutori

(sia pure solo in parte) del suo desiderio.

Del Conte di Camerano, autore di una pre­

gevolissima tragedia intitolata «Tancredi»,

che il Lessing ricorda essere stata pubblica­

ta come un’opera del Tasso (alludeva alla

prima edizione fattasi a Parigi nel 1587 sot­

to il titolo di

«

Gismonda » ) e di notevoli

altri componimenti in veni, il Vernazza

pure si occupava, raccogliendo quest'ultimi

da manoscritti esistenti uno a Tarino, nella

Biblioteca deirUniversità, e un altro nella

Marciana di Venezia e preparandone la

pubblicazione ad opera dell'amico Giannan-

tonio Ranza, tipografo in Vercelli. Non pa­

re però che la pubblicazione sia poi effetti­

vamente avvenuta. Avvenne molti anni

dopo (nel 1795) a Torino, non sembra però

a cura del Vernazza.

A l Museo d ’ Antichità, che allora era col-

locato nel palazzo universitario, il Lessing

si recò probabilmente il 26 agosto, che di

tal giorno è la nota ad esso relativa. La

sede — egli osservò — era ampia e pre­

sentava spazio sufficiente anche per tutti gli

incrementi che sarebbero stati opportuni. In

proposito gli parve che, meritassero di es

sere trasferiti al Museo gli antichi busti nel

palazzo del Principe di Savoia e le antiche

statue sullo scalone del Castello Reale, par­

te delle quali era di grande bellezza.

Nel Museo, il Lessine. — per quanto ri­

sulta dal Diario, — rivuoi iu sua attenzione

specialmente alla Tabula Isiaca, alle anti­

chità egiziane procurate da Vitaliano Dona­

ti, a quelle trovate negli scavi d’ industria

e a quelle di Sardegna, fra le quali ultime

fu da lui particolarmente ammirato il pa­

vimento in mosaico, trovato a Stampace nel

1766, rappresentante Orfeo, che si trae die­

tro gli animali col suono della cetra. Del

Donati il Lessing annota che, nonostante la

sua qualità di naturalista, s’ interessava ne*

suoi viaggi anche di antichità e monete e

che morì nel Golfo Persico, mentre navi­

gava verso l'india. Circa gli scavi d'indu­

stria, — città presso Torino, distrutta dai

Goti, i cui abitanti nascosero nei pozzi le

loro preziosità, sperando di ritornare, — è

registrato che il Re ne era il proprietario

e che egli poteva con essi arricchire larga­

mente il Museo; se non che i contadini, in­

vece di portare gli oggetti trovati dove era

stabilito, li vendevano ad orefici ; tale com­

mercio durava da più di un secolo ed era

stalo causa della perdita d'una considere­

vole quantità di monete.

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