

fici delle principali vie, nessun appunto in
dica che il Lessing abbia ricevuto una par
ticolare impressione. E sì che non gli man
cava il termine di confronto offerto dall e-
dilizia di altre grandi città italiane. Forse
la cosa non rivestiva per lui i caratteri della
novità e singolarità, prevalendo anche in
Germania la linea retta nell’ aspetto e nel
tracciato delle vie cittadine.
Sull’ architettura in Torino il Lessmg si
limita a notare che quanto vi è di notevole
è opera del Juvara e del Guarini. Del quale
ultimo dice: « ...Si può chiamare a buon
diritto il nemico della linea retta : le sue
facciate sono serpeggianti, l ’ incorniciatura
delle finestre barocca e perfino i gradini del
le scalinate sono tagliati coi ripiani l ’ uno
di forma concava, e l ’ altro di forma conves
sa : basta vedere il palazzo del Principe di
Carignano ».
Quanto al Juvara, la basilica di Superga
non gli fece un’ impressione del tutto favo
revole. Gli parve troppo stretta per la sua
altezza, « che essa, con la cupola è certo tre
volte più alta che larga ». Anche il marmo
usato nella costruzione non gli sembrò del
la migliore qualità : « s’altera per l ’intem
perie e si screpola al di fuori così che fra
breve bisognerà metter sotto delle nuove co
lonne ». S’ interessò pure dei canonici ad
detti alla basilica e precisamente della I
mo
dipendenza gerarchica: essi, cioè, — an
nota, — « non stanno (come pretende il
Volkmann a pag. 197) sotto l ’arcivescovo di
Torino come tale, ma solo in quanto questi
è Grand'Elemosiniere del Re ».
Anche l ’architettura militare, ossia la
maestria dei Piemontesi nelle opere di for
tificazione, attestata dai lavori del Bertola
e del Pinto, fu presa in considerazione dal
Lessing, per quello che il Baretti aveva
scritto in proposito nella già citata sua ope
ra e per un’osservazione del Boccardi nella
pure già citata « Epistola » al Lagrangia, in
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cui si precisava che il Bertola costruì le for
tezze della Brunetta, d ’Exilles e di Fene-
strelle, il Pinto quella di Cuneo e Demonte.
Una manifestazione d’arte, della quale il
Lessing non poteva non occuparsi nelle sua
qualità di drammaturgo, al quale la scena
era stata fin dalla giovinezza la vocazione
e la missione della vita, — era il teatro. Se
ne occupò infatti. Era in quei giorni nella
capitale del Regno Sardo la compagnia di
retta da Antonio Sacchi, una delle migliori
specialmente per la valentia del suo capo,
che sapeva egregiamente impersonare la
maschera di Arlecchino. Il Lessing non ci
dice di aver assistito a qualche rappresen
tazione. (Neppure egli ci parla, per Torino,
di visite a teatri come fa invece per Pavia,
Alessandria e Parma). Non per questo però
è da credere che a teatro, durante il sog
giorno torinese, egli non sia mai andato. Vi
andò e gustò l ’arte del Sacchi, egli che del
l ’ arte comica, fin dagli anni di università
a Lipsia, era un ammiratore e un intendi
tore finissimo. E gustò e approvò la recita
zione del Sacchi con tanto maggiore inte
resse e godimento, in quanto della masche
ra d’Arlecchino egli s’era una volta diret
tamente occupato (nelle « Lettere sulla più
recente letteratura » e nella « Drammatur
g ia ») per difenderne il diritto all’esistenza,
contro la scuola del Gottsched, che ne ave
va decretato l ’ostracismo. Della compagnia
Sacchi il Lessing fu tanto soddisfatto che
volle prender nota di tutto il personale che
la componeva, diviso nei tre gruppi : don
ne, morosi e maschere.
Il 27 aprile 1785 il principe Leopoldo,
stabilitosi a Francoforte sull Oder, dopo
aver partecipato come ufficiale nell’eserci
to prussiano, alla guerra di successione al
trono bavarese, p o i eroicamente nelle ac
que del fiume, mentre con eccezionale ab
negazione e carità si prodigava, — durante