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l’ambiente certo più sano in cui ha sempre

vissuto. Lasciando così la famiglia legata, sia

pure parzialmente, alla terra la città compiè

un'opera proficua dal punto di vista nazio­

nale, ma

negativa *e esam inata da un punto

di vista di statistica demografica.

Prescindendo da queste considerazioni par­

tico lari, il pia alto valore della popolazione

che troviamo al piano nei confronti della mon­

tagna e del colle e che fa presumere ulteriori

possibilità demografiche per il possibile inten­

sificarsi delle risorse agrarie ed industriali,

deve essere raffrontato con le altre generali

condizioni della zona agraria. Con una pre­

senza predominante di sem inativi, il 68 %

della superficie territoriale, e con notevoli zone

in cui le varie a ttiv ità industriali e artigiane

prevalgono, i campi, dalla fine della guerra

in poi furono sempre pi

j

disertati dagli uomini

e dalle donne, mentre la piccola, media e

grande proprietà è in mano della classe « bor­

ghese », in genere, poco prolifica. Ostacoli al

prevalere della piccola proprietà possono es­

sere, in alcune regioni come nel Vercellese.

Tintensificarsi della risicoltura (1), stato di

cose certamente contrario ad un addensa­

mento demografico, mentre nelle zone colli­

nari si verifica, dalla fine del secolo X V I I I ,

il fenomeno contrario. N ell’esame storico e

istituzionale di questi indici economici e de­

mografici, particolare rilievo assume l’emigra­

zione. Fenomeno antico quello dell’emigra­

zione interna piemontese, p ii recente quella

esterna.

Pu r senza raggiungere le percentuali del

Veneto, delle Marche, per gli ultim i anni,

degli Abruzzi, della Lucania, il Piemonte ha

dato a ll’emigrazione italiana per l’estero con­

tribu ti notevolissimi come risulta dalla se­

guente tabella a, fino al 1937.

Tende il movimento a diventare ragguarde­

vole per il periodo precedente la guerra; alla

pace il fenomeno riprende, frenato poco dopo,

in seguito a ll’avvento del Governo Fascista,

impedisce l'esodo di tante fecondissime brac­

cia, giunge al 0,64 % nel 1937.

Anche dalle cifre assolute è facile rilevare

le notevoli correnti m igratorie piemontesi dal

1876 in avanti (tabella

b).

Contributo certo assai rilevante, superato

solamente dal Veneto per il decennio

1876-

1886.

Ma anche per gli anni susseguenti il vo­

lume migratorio non è disprezzabile ed il Pie­

monte si trova al terzo posto per il periodo

1887-1900,

e al quarto per il periodo

1901-1909.

Le provincie di Cuneo, Novara e Torino dànno

il massimo apporto a tale movimento; le cause

già le esponeva il Coletti (2) allorquando ac­

cennava alla scarsa fertilità del suolo; al fra­

zionamento eccessivo della proprietà, alla

mancanza di lavoro nei periodi invernali, alla

comodità del confine, alle tradizionali abitu­

dini, alla conoscenza della lingua francese, al

desiderio di più lau ti guadagni per completare

i fru tti della magra proprietà, il tu tto favorito

da una certa <•irrequietudine, amore di novità,

spirito di avventura ».

D i tutte queste cause crediamo che, nella

montagna, il frazionamento e la scarsa ferti­

lità del suolo siano state le ragioni più impor­

tan ti, ma non ovunque il fenomeno assume il

medesimo valore. A ltrove e specialmente per

i comuni industrialmente più im portanti la

mancanza di lavoro, la brama di più rapidi

guadagni, il pauperismo vero e proprio sono

da annoverarsi fra le cause di maggior rilievo.

S i pensi solo al grave spopolamento mon­

tano. provocato per gran parte da cause di

indole economica le quali hanno messo in

condizioni ben diverse chi al piano vive e chi

vegeta fra i monti, e si avrà una giustificazione

e non solo una spiegazione del preoccupante

fenomeno.

Anche dalla collina la popolazione scende

al piano, il quale, per l’industrializzazione cre­

scente tende ad assorbire le folle plaudenti

alla attraente v ita delle fabbriche o a quella

più sicura che potevano offrire i pubblici ser­

vizi. Tu ttavia l’esodo collinare è compensato

dall’aumento naturale della popolazione, il

quale è però p ii che proporzionale a ll’incre­

mento di produttività, il che spiega la spinta

al piano.

Generalmente temporanea è la emigrazione

‘ piemontese, ma le restrizioni poste ad essa

dopo la guerra l’hanno trasformata, per pic­

cola quota, in permanente.

I l rapido sviluppo industriale contribuisce,