

La soluzione del problema universitario, nei suoi
aspetti quantitativi, non può essere più ritardata.
È
una situazione inadeguata alla quale non si è ov–
viato nel tempo sia a causa di vecchie disposizioni
legislative, sia burocratiche, sia finanziarie. Ci tro–
viamo così strutturalmente in ritardo rispetto al con–
tinuo aumento del numero degli studenti. Ad ecce–
zione del nuovo Politecnico, anch'esso divenuto in–
sufficiente, niente è cambiato dall'immediato dopo–
guerra. Ci sono state mocUfiche, aggiustamenti, ma
non si è riusciti ad affrontare, in termini definitivi il
problema dell'edilizia universitaria.
È
un esame cri–
tico quello che facciamo, ma indispensabile se voglia–
mo indicare le linee e gli strumenti per operare posi–
tivamente nel settore. Ciò di cui non si può dubitare
è la 'Volontà dell'Università torinese e quella degli
Enti pubblici locali perchè nel più breve tempo pos–
sibile si giunga alla definizione del problema.
È
questo un tema immediato, la cui discussione non
è più rinviabile. Scendendo nei particolari si può af–
fermare che anche il nuovo palazzo per le facoltà
umanistiche, mentre lo si sta ultimando, si dimostra
insufficiente alle esigenze didattiche e al numero degli
studenti. Arriva con un ritardo di almeno sette anni
e costringe l'Università a trattare l'acquisto della
vecchia caserma di via Verdi per aumentare la dispo–
nibilità.
Altre facoltà, ricordiamo soltanto scienze agrarie, ve–
terinaria, economia e commercio, si trovano nella
necessità di nuove sedi.
Bisogna perciò guardare lontano, alla «città univer–
sitaria» come centro didattico e centro residenziale.
Occorre trovare un'area sufficiente nei dintorni di
Torino che preveda sviluppi almeno per un cinquan–
tennio. Una prospettiva lontana? Certamente no. Sia-
mo in una fase nuova: la Città è a disposizione del–
l'Università, l'assessorato all'Urbanistica è al lavoro
per fornire all'Università gli elementi per una scelta
ponderata e definitiva.
Ma i dubbi e le perplessità da superare non sono
pochi. Non sappiamo come si evolverà l'Università
nei prossimi 50 anni se nel senso di una « ·città uni–
versitaria» unica o in un'ampia distribuzione delle
facoltà e degli studi.
In
questo quadro due elementi
restano da valutare: innanzi tutto le esigenze im–
mediate e particolari delle facoltà umanistiche che
hanno bisogno d'essere integrate da biblioteche e ar–
chivi, centri culturali e realtà sociali, componenti
proprie del centro storico di una città, nel quale le
facoltà umanistiche devono insistere e operare; in
secondo luogo, non può essere taciuta l'esigenza della
formazione integrale e unitaria dell'uomo per cui vie–
ne ad esistere un concorso pedagogico anche per le
discipline più lontane. Lo sviluppo dell'automazione,
ad esempio, farà sì che la preparazione professionale
punti più sulla preparazione integrale che sulla spe–
cializzazione tecnica: le discipline umanistiche diven–
tano così indispensabili a chi persegue studi scienti–
fici. Quest'ultimo discorso potrebbe essere ostacolato
da una separazione delle facoltà. 'Ma io credo che,
almeno per ora, prevalga la prima esigenza.
In
ogni caso, il dialogo che si è aperto tra l'Univer–
sità,
il
Comune,
il
Comitato per la programmazione
e i vari enti e forze culturali ed economiche cittadine
su questi problemi, è estremamente fecondo e con–
correrà a far sì che anche le soluzioni particolari,
immecUate, possano già inserirsi nella prospettiva di
un più ampio sviluppo che vede la sua sintesi nella
«città universitaria ».
Giuseppe Grosso
II solenne palazzo della Università
è
nobilitato
da un grande cortile con portico e logge a due piani,
degno della gloriosa storia dell'antico
Studio
piemontese
Finestroni sormontati dagli stemmi della Università
rompono la linea severa e maestosa
della facciata in cotto di via Giuseppe Verdi,
cui collaborò anche il Talucchi
7