

Firpo:
scelto ro%ioftole
per il
futuro
Ecco ora il giudizio di un altro docente, il pro/. Lui–
gi Firpo, membro della Commissione incaricata di
studiare il problema dell'edilizia universitaria.
È
un
giudizio, naturalmente, personale, che tiene conto,
ma non si identifica con i risultati raggiunti dalla
Commissione sul piano delle proposte e delle scelte.
Il problema dell'edilizia universitaria torinese, com–
plesso per la molteplicità degli interessi che coinvol–
ge, per gli investimenti ingentissimi che sta per esi–
gere, per le sue ripercussioni sulla vita culturale e
scientifica, sullo sviluppo urbanistico, sulla stessa pia–
nificazione regionale, è di quelli che vanno affrontati
con realisticaconcretezza non disgiunta da quel tanto
di immaginazione coraggiosa, che consente di vedere
in grande e di guardare lontano nel futuro .
Il primo punto che s'ha da avere ben ch iaro in mente
è quello della «dimensione» in cui si deve agire,
cioè della realtà storica e sociale in cui l'Università
di Torino è chiamata ad operare oggi ed in un preve–
dibile domani. Si tratta di un'Università solida e
seria, ricca di tradizioni illustri, articolata in una
decina di Facoltà che abbracciano ogni campo dello
scibile, posta al centro di una grande città moderna
e di una regione fra le più industrializzate e dina–
miche d 'Italia. Aule, laboratori, biblioteche, impianti,
servizi di un organismo di questa fatta, che ha un
bilancio dell'ordine di cinque miliardi annui, più di
ventimila studenti e oltre cento Istituti scientifici, si
trovano ancora in gran parte allogati in sedi anacro–
nistiche o di fortuna, in edifici cadenti o inadatti, in
appartamenti d'affitto, in seminterrati e ampliamenti
precari: un esame anche superficiale dello stato degli
insediamenti mostra come dai primi del Novecento
non si sia più saputo o potuto adeguare organica–
mente le sedi alla popolazione scolastica crescente e
al moltiplicarsi delle installazioni scientifiche. Edifici
arcaici occupati provvisoriamente, cantine risanate,
cortili invasi da bassi fabbricati, sopraelevazioni ed
altri ripieghi del genere hanno segnato le tappe di
una politica edilizia, in cui la buona volontà cercava
di sopperire agli scarsi mezzi; ma si tratta di una po–
litica che ha ormai raggiunto il punto di rottura e
che pertanto viene oggi abbandonata per affrontare
soluzioni radicali .
Ritrovata unità del sapere
All'altro estremo sta una ipotetica politica del
«
de–
centramento », parola che ha un suo fascino se rife–
rita al centralismo burocratico, ma che in tema di
Università si identifica semplicemente con la proli–
ferazione provinciale. Ad un certo opportunismo
politico può sembrare buon argomento di propaganda
l'offrire ad alcuni capoluoghi delle province piemon–
tesi una loro nuova Università, che avrebbe lo scopo
di favorire la studentesca locale, allevierebbe l'affol-
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Il palazzo di piazza Arbarello, sede della facoltà di Economia e Commercio, un tempo adibito a
Scuola Superiore di
studi applicati al Commercio.
Oltre 4000 studenti sono costretti negli insufficienti locali: la costruzione di un nuovo
edificio
è
di estrema urgenza. Nella pagina a fianco: l'Aula Magna della Università nella ricostruita sede di via Po
lamento delle aule torinesi e rinverdirebbe le decli–
nanti fortune della cultura indigete. lo penso che il
profondamente serio Piemonte non si farà imitatore
dei tanti esperimenti velleitari che spuntano in ogni
provincia italiana, col risultato di erigere Università
declassate, pseudo-Atenei dispensatori di inconsistenti
diplomi: e l'argomento della fecondazione culturale
- per tacere della sua ruvida mancanza di riguar–
do - si presta troppo bene ad essere capovolto,
visto che tutto reagisce su tutto, profetizzando isti–
tuzioni provincializzate e scientificamente deteriori
per carenza di mezzi, di libri, di professori residenti,
di quella complessa circolazione dell'alta cultura, che
solo la grande città è in grado di assicurare. Oggi
poi, che l'evoluzione del mezzo di trasporto collettivo
lascia prevedere a breve scadenza la disponibilità di
raccordi rapidissimi e frequenti, sembra tanto più
assurdo procedere in una direzione che non fu seguita
al tempo delle diligenze ottocentesche. Torino è an–
cora lontana dal raggiungere il limite di rottura in
tema di affollamento studentesco, limite che per un
complesso di dieci Facoltà può essere indicato nella
cifra ottimale di 40.000 studenti: e quand'anche que–
sto limite dovesse venire superato in futuro , sarà
ancora da discutere a lungo se meglio non convenga
istituire una seconda Università torinese, piuttosto
che ricorrere a dispersivi e sterili decentramenti .
Sul piano realistico dei 20.000 studenti attuali e dei
prevedibili incrementi futuri, il problema è dunque
un problema torinese e va posto in termini di orga–
nicità , di coordinamento, di stretta connessione inter–
disciplinare. La chiusura antica delle Facoltà entro
territori scientifici dalle invalicabili .frontiere viene
ormai allentandosi, via via che una nuova unità del
sapere si ricompone attraverso sempre nuove connes–
sioni e interferenze. Già oggi, discipline identiche o
affini vengono insegnate in Facoltà diverse, così come
giovani che si formano in un particolare indirizzo
scientifico o professionale sentono
il
bisogno di im–
padronirsi di tecniche collaterali, di cogliere stimoli
culturali contigui, meno usuali in passato, ma spesso
altamente formativi. Da queste esigenze sta nascendo