

dell'Università. Se si accetta inoltre come ipotesi una
stretta corrispondenza tra organizzazione funzionale e
organizzazione formale, la complessività indicata coin–
volge tutti i fatti progettuali connessi alla realizzazione
fisica di un simile organismo.
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questa prospettiva va vista la proposta degli assi–
stenti, già avanzata da alcuni mesi, di costituire una
commissione composta da rappresentanti di tutte le
èategorie funzionali dell'Università per programmare,
con il compito di dèfinire gli obbiettivi generali, le
ricerche che spettano all'Università e aprire paralle–
lamente un dialogo organico con quei gruppi so–
ciali pubblici e privati che hanno relazione diretta o
indiretta con essa.
Soltanto attraverso un organismo di questo tipo si
potrà giungere ad una scelta consapevole tra i diversi
modelli organizzativi proposti in relazione alle spe–
cifiche condizioni del contesto in cui si colloca la no–
stra Università.
Si potrà chiarire se sia possibile parlare di Università
di Torino o se l'Università non debba piuttosto es–
sere vista come una trama complessa di poli corre–
lati che a seconda dei parametri di analisi scelte hanno
relazioni a scala nazionale, regionale, locale e che in
questo senso devono essere distribuiti sul territorio.
Si potrà arrivare a valutare se l'idea di « Campus »,
cioè di organismo fortemente autonomo, isolato dal
tessuto sociale possa ancora avere significato per una
Università intesa come servizio di ricerca intorno alle
esigenze che la società pone; o se per rispondere a
queste esigenze non sia più opportuno prospettare la
Università come « luogo di incontro» organizzato, co–
me centro d'informazione al massimo livello e per–
tanto come polo motore dell'espansione urbana.
O ancora valutare la possibilità di una Università di–
spersa, basata sull'ipotesi che le relazioni esterne con
i diversi settori specifici di ricerca siano predominanti
rispetto a quelle interne all'istituzione, in alternativa
ad una soluzione unitaria, o ancora ad una distribu–
zione di centri di ricerca su
alcuni
assi preferenziali
quasi a costituire una «Università strada» frammista
alle altre attività cittadine, ma sostenuta ed indivi–
duata da una precisa struttura di riferimento e di
comUnICaZIOne.
O ancora si potrà valutare se l'Università può essere
progettata come oggetto autonomo definibile una volta
per tutte o piuttosto non debba essere intesa come
organismo in continuo sviluppo che richiede di essere
regolato da una successione processuale di operazioni
che si muovano liberamente all'interno di alcune ma–
ero-configurazioni prefissate.
Bisognerà ancora valutare se iniziare il lavoro della
ricerca di tipologie adatte per i diversi edifici specia–
lizzati oppure non sia più opportuno individuare pri–
ma delle «forme di sviluppo» complesse capaci di
recepire secondo tempi di mutamento e di consumo
previsti, esigenze di adattabilità e di flessibilità, tipi–
che delle istituzioni universitarie.
Si potrà, in conclusione, iniziare un lavoro serio su
basi scientifiche dove le forme e le finalità, svilup–
pandosi in stretta connessione, si pongono come mo–
menti di un unico obbiettivo: la riforma dell'Univer–
sità intesa come processo continuo.
Forte ostacolo alla impostazione del problema della
edilizia in questi termini sembrano essere oltre ad
alcune errate considerazioni di comodo, le condizioni
deplorevoli in cui si trovani alcune sedi universitarie
che non possono essere più a lungo mantenute.
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Certamente la commiSSIOne preposta dovrà responsa–
bilmente affrontare queste situazioni di fatto; è chiaro
però che questi problemi urgenti non potranno essere
risolti continuando ad operare con provvedimenti dis–
organici analoghi a quelli che hanno portato queste
facoltà proprio in quelle condizioni ora deprecate.
Si tratterà invece di inserire dei provvedimenti par–
ziali in un quadro generale di pianificazione, operan–
do attraverso delle «soluzioni ponte» che se anche
provvisorie, abbiano già in sé una direzione indivi–
duata in relazione al piano globale di rinnovamento.
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Queste proposte, maturate attraverso lunghi dibattiti
e accurate analisi, dalle commissioni per l'edilizia uni–
versitaria dell'ATAUP, vogliono riportare un problema
così importante qual è quello della programmazione
dello sviluppo attrezzature fisiche dell'Università nei
suoi giusti termini.
Qualsiasi tentativo di eludere le esigenze enunciate
certamente non avrebbe altro effetto che ripetere, ma–
gari a scala maggiore, gli stessi errori che hanno co–
struito il disorganico assetto dell'Università attuale.
Piero Derossi
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Non a caso il problema dell'edilizia universitaria co–
stituisce un elemento importante delle lotte univer–
sitarie in corso: esso rappresenta il punto di conver–
genza di una serie di problemi riguardanti due scale
di intervento: regionale e nazionale, e può costituire
un parametro di verifica delle volontà di trasforma–
zione delle istituzioni ad entrambi i livelli: al livello
regionale, in quanto la dislocazione e la organizzazione
spaziale degli istituti universitari costituiscono varia–
bili importanti della pianificazione territoriale in stret–
ta connessione con la distribuzione degli altri servizi
sul territorio: attività produttive, terziarie culturali,
politiche; distribuzione delle residenze della popola–
zione universitaria, struttura della viabilità e dei tra–
sporti ecc.; allivello nazionale, in quanto l'organizza–
zione spaziale delle attività universitarie e delle loro
possibili relazioni, condiziona la realizzazione dei
principali elementi della riforma dell'università, in
primo luogo la costituzione dei dipartimenti.
Le principali sedi in cui vengono prese le decisioni
relative alla edilizia universitaria sono: il governo ,
che stanzia i finanziamenti; il rettorato, che decide
il
tipo, l'organizzazione, e l'entità degli istituti da
progettare; gli enti locali (in questo caso il solo co–
mune di Torino) che individuano l'area più idonea
per costruirli.
Quali scelte autonome può compiere il rettorato?
Poiché le strutture di decisione non coinvolgono i
diretti protagonisti della vita universitaria (sia ri–
guardo al tipo di qualificazione professionale all'interno
di un corso di studi, sia riguardo alla ricerca che è
direttamente subordinata ai bisogni della produzione, o
conserva un margine di autonomia illusoria, che non
incide sulle scelte politiche), l'attuale dirigenza non
è in grado di rappresentare l'università, ma soltanto le
forze economiche e politiche che subordinano la qua–
lificazione del tecnico ad alto livello ai bisogni del
mercato; anche se, questo processo di crescente subor–
dinazione, avviene con notevoli squilibri nella do–
manda tra settore e settore: in alcuni settori della
produzione tale domanda é direttamente determinata
dalle esigenze immediate della produzione (prepa–
razione politecnica, tecnici aziendali, ecc.); in altri
l'adeguamento della domanda ai bisogni del mercato
subisce una dinamica più lenta (qualificazione degli
insegnanti, dei tecnici dell'impresa pubblica ecc.).
TaIe processo di subordinazione e tali disfunzioni
sono chiaramente leggibili nella politica edilizia con-
dotta dalla dirigenza dell'università negli ultimi 20
anni, che ha dimostrato come la stessa dirigenza, at–
traverso la sua struttura verticistica e burocratica, non
sia in grado di opporre nessun tipo di autonomia a
questo processo di subordinazione, ma solo di rappre–
sentare volta a volta gli interessi di quei gruppi di
potere che dall'esterno dell'università condizionano
anche la sua organizzazione spaziale, nello stesso mo–
do in cui condizionano lo sviluppo territoriale della
regione.
Infatti questo tipo di decisioni erano già prese prima
che iniziasse la lunga polemica sollevata dagli assi–
stenti e studenti, che denunciarono a più riprese
questa carenza di obiettivi e di istituzioni democra–
tiche; di fronte a tutte queste pressioni che indi–
cavano come prioriataria una sostanziale modificazione
degli organismi di decisione, per poter affrontare in
tutti i suoi aspetti il problema edilizio, e svincolarlo
dalle attuali dipendenze, tra tutte le forze diretta–
mente implicate nel problema, sono stati direttamente
chiamati in causa alcuni professori di ruolo e l'asses–
sorato alla urbanistica del comune di Torino, evi–
dentemente impotenti a sollevare alternative sostan–
ziali alla complessa rete di condizionamenti esercitata,
anche solo indirettamente, dai gruppi di potere.
Le altre forze, i 20.000 studenti universitari, gli
assistenti, i sindacati, le rappresentanze degli studenti
medi, gli altri comuni della regione, ecc. sono sostan–
zialmente esclusi dalle decisioni; pertanto il problema
urbanistico resta artificiosamente semplificato, non es–
sendo espressi i complessi bisogni di tutte le categorie
interessate; gli obiettivi restano gli stessi rispetto
a quando si stipavano cantine e cortili di aule e
laboratori: cambia la dimensione dell'intervento, si
dà respiro «tecnico» al problema, ma la sua di–
mensione politica resta invariata.
Per poter iniziare a questo punto la discussione delle
proposte tecniche (campus? decentramento? integra–
zione tra città e università?) occorre ritenere che i
bisogni siano stati correttamente espressi, o che non
sia necessario esprimedi, in quanto si considerano i
protagonisti dell'università dei « prodotti in lavorazio–
ne » che devono essere utilizzati in un processo pro–
duttivo che li esclude in quanto cittadini; in questa
prospettiva è corretto che anche il problema dell'edi–
lizia universitaria venga deciso dagli stessi operatori
che determinano questo singolare «ciclo di lavo–
razione ».
Alberto Magnaghi