

Barca
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1961
me d'una antichissima (e tramandatasi nei secoli con
gelosa fedeltà) oreficeria scandinava , dove il fulgore
degli ori e degli smalti operava nello stesso accordo
di abbandono ai sogni e di amore all'opera manuale.
La Bergman dipinge spesso paesaggi; e se anche non
lo fossero , vi domina il senso d'un diretto e profondo
contatto con la vita di natura: una natura sentita
come vastità , presenza misteriosa, forza ineluttabile
ma che il pittore costringe, domina , misura determi–
nandone l'impianto , le forme , le luci , possedendone
almeno per quel breve tempo sulla tela la chiave se–
greta e sfuggendone alle spaventose forze, anzi per
breve spazio fondendole alle non meno spaventose e
forse non meno incontroìlabili forze e ai. misteri del–
l'uomo. Incombenza tremenda d'una natura che na–
sconde splendori e orrori , luci incantate e luci tra–
giche, ombre accoglienti e ombre terrificanti. Ma è
pur anche una natura che se sfiora più volte le so–
glie del tragico , del fatale , riassume la trag icità e la
fatalità stesse nella sospensione del favolo so e di
questo riunisce la nettezza di contorni anche delle
cose più irreali e la distanza incommensurabile delle
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Urbanesimo
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1964
cose reali. Verità e suggestione ne sono le compo–
nenti, anzi due accenti d'un'unica sostanza.
Sfila, nei dipinti della Bergman, una storia di gran–
diose vicende, anche quando
il
tema sia di per sè limi–
tatissimo, una barca ad esempio, o un muro; vicende
che rilegano in quasi stregata immobilità un presente
carico di tutte le tensioni d'oggi, di tutti gli inter–
rogativi d'oggi , i timori o terrori d'oggi, con un pas–
sato millenario; e
il
primo slontana in remotissime
zone, il secondo s'attualizza, nel continuo riproporre
compattezze impenetrabili di mare, di cielo, di rocce;
mare duro come rocce, rocce liquide e rifiessanti come
acqua; cielo come pietra; pietre lucenti come strie
di cielo o come astri; cieli neri o d'oro, mare d'oro o
nero, rocce d'oro o d'argento o
di
fiamma, elementi
tutti che il colore magico trasfigura in materie impe–
riture e al tempo stesso fittizie , cose offerte all'espe–
rienza d'ogni giorno e proiettate in miraggi. La
Bergman vi sosta, vi si immerge ; se non cede mai
alla tentazione di particolareggiare e di sminuire con
un dettaglio , non recede mai dal sondaggio calato
sempre più a fondo , nella conquista d'una dimensione
interiore in cui si ricostruisce «anche» un mondo
esterno, che di quella dimensione interiore si riflette
e colora, cosÌ come quella si nutre e condensa di que–
sto, attraverso un meraviglioso muto lavoro che apre
immensi spazi di memoria, di esperienza, attraverso
infiniti strati di tempo.
Non si può non sottolineare, nei dipinti della Bergman,
l'impressionante alternativa - anzi coesistenza - fra
vita e morte, quando si vedano le superfici d'oro o
d'argento o di nero profondo, trasmutare continua–
mente sotto
il
mutare di posizione dell'osservatore o
il trascorrere dell'ora, sÌ che quel che ad un istante è
barbaglio, di colpo si fa zona morta e la stesura priva
di vita s'incendia di colpo con fulgori balenanti e
rifra tti.
Pittura , quella della Bergman, pesante da fare; ma
pesante, prima ancora, da portar dentro ogni gior–
no come un'esperienza in lento e fatale sviluppo
che va gradatamente depositandosi, spessore su spes–
sore , fino a costituirsi in integrale ragione di vita, a
identificarsi con la forma stessa del vivere, da essa
completamente qualificato. Per questo, sotto il segno