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ianeta infranto

-

1958

dole con distacco sul supporto - tela o foglio - in

coraggiosa messa a nudo degli esiti delle proprie

indagini nel più profondo di sè, pesati e raffrontati

misurandone la autenticità, la resistenza al sondaggio

e alla concretizzazione visiva,

il

diritto ad imporsi -

nella loro indifesa verità - col vigore e l'alterezza

di un'esperienza ribattuta sotto costante controllo e

sotto assillante scrupolo, come un continuo e in–

transigente «esame di coscienza» per epurare l'in–

trospezione, rafforzare le intenzioni, sostenere e «chia–

rificare» le azioni, bruciare scorie.

Pittura la sua, per certi aspetti, forse perfino elemen–

tare nell'impaginazione come nei moti fantastici che

ne dettano le leggi formali e ne qualificano l'accento

poetico; ma è un'elementarità raggiunta a prezzo di

faticata e insoddisfatta, anche se apparentemente tran–

quilla, elaborazione; punto d'arrivo d'una volontà

c~eativa

sempre in assiduo timore di dir troppo, di

di~perdersi,

di non cogliere pienamente - o di la–

SCIar sfuggire o magari di compromettere - un'es–

senzialità. Una volontà tesa a raggiungere un massi–

mo di valori con un minimo di mezzi; ma

il

massimo

Tibetano

-

1958

di valori per la Bergman vuoI dire intensità espres–

siva in cui emozioni colme e affondate prendono

forma proprio ingigantendo; e se parlano d'un ani–

mo chiuso su segrete emozioni e su addirittura cupi

incantamenti, parlano al tempo stesso d'una neces–

sità di dare, alle une e agli altri, estrinsecazioni forti,

ferme, grandiose, sì che un suo dipinto segna sempre

il

comporsi d'un nodo d'interiorità gelosamente di–

fesa e un intento di discoprirla nei termini più netti

e aperti, non col tono di chi fa confessioni o con–

cede scorci o «tranches» del proprio intimo, ma

mette in luce una verità natagli dentro per assumere

valore universale e quindi tale da non più appaJ;te–

nergli in esclusiva.

.

Il minimo di mezzi, a sua volta, non è povertà an–

che se è, o può essere, scarnifìcazione; ma non vorrei

neppure tanto insistere su un processo caparbio di

progressiva e di volta in volta ossessiva autospolia–

zione del linguaggio, denudato fino a farsi scabro e

duro, pdichè se è vero che quella necessità può farsi

per lei,

a

tratti, inquietante, è anche vero che è sua

qualità innata una semplicità che non è solo del

dire - nel suo caso, del dipingere - ma, prima an–

cora, del pensare cioè dell'inventare e del visualiz–

zare l'invenzione. Semplicità che, come l'essenzialità

cui accennavo, non equivale a povertà, a nudità di

espressione, poichè anzi si colma, perfino si tende,

oltre che di pienezza urgente, di ricchezza di timbra–

ture poetiche e, nella trama cromatica, anche quando

pare (o è) elementarissima, perfino di sontuosità:

quella singolare ricchezza di valori cromatici e d'illu–

minazioni irreali, ha fatto avanzare alla critica acco–

stamenti alla sontuosità, lllla visionarietà abbagliante,

all'irrealismo, bizantini. Direi che piuttosto sarebbe

da porre, e allora al

di

fuori d'ogni arbitrarietà fra

accostamenti di tempo e di mondi opposti, un richia–

mo più sotterraneo e spiritualmente più aderente,

annodantesi da sè per la via più semplice e naturale,

quasi per compenetrazione organica e con piena pas–

sione vitale, alla tutt'altra - e in questo caso stret–

tamente portante - sontuosità e irreahà e fantasia

nordica; e davanti ai risultati effettivi delle sue tele

invece che pensare a mosaici, penserei piuttosto al–

l'incantamento magico di lastre metalliche e di gem-

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