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L'umore sanguigno e altamente teatrale di uno scrittore piemontese - Il primo esempio, a Torino, di teatro da

camera equivalente subalpino del caveau de la Huchette di Parigi - Dedicato ai torinesi il discorso scenico sulla

storia "intima" del Piemonte, iniziato con il "Canzoniere piemontese" - Antologia ideale del patrimonio folclori–

stico - "La

brofferiana" ,

riproposta teatrale degli umori della nostra terra - Le Farse dell'Alione continuano il

discorso "piemontese" - Un gioco burlesco e grottescamente filosofeggiante sugli argomenti scurrili e sboccati

- Una sorta di "moralité" alla francese affidata a personaggi allegorici - Novità italiane in arrivo al Teatro delle 10

Per inaugurare il suo decimo anno di attività - per

celebrare, dunque, un anniversario - il Teatro delle

lO

ha messo in scena le

Farse

del commediografo asti–

giano Giovan Giorgio Alione e, da questo spettacolo

felicemente risolto, con fresca inventività e agili toni

di un'antica commedia dell'arte, punteggiato di molte

risate , si è potuto riscoprire tutta la vitalità, tutto il

vigore espressivo, l'umore sanguigno ed altamente tea–

trale di uno scrittore piemontese sinora, da quattro

secoli e mezzo, quasi ignorato, una cosa per pochi

eruditi. L'avergli spazzato via di dosso la polvere del

tempo che s'era accumulata ingiustamente, l'averlo ri–

proposto al pubblico è, quindi, un avvenimento cul–

turale di notevole importanza, oltreché un modo di

dar tono all'anniversario e lustro alla piccola com–

pagnia del Ridotto del Romano. Ma va detto subito,

d 'altra parte, che questa scoperta - per quanto di

singolare rilievo e portata - non è che l'ultima di

una serie di proposte sceniche variamente interessanti

che il Teatro delle

lO

ha realizzato in questi anni,

lavorando sin dalla sua nascita nel campo della ri–

cerca appassionata fra i testi di una drammaturgia

non « ufficiale », non collaudata, insolita, sperimen–

tale e di avanguardia: Jonesco, Beckett, Tardieu, Ada–

mov, la nuova leva della

swinging England,

diversi

italiani trascurati e inediti, hanno trovato nell'attenta

compagnia un puntuale portavoce che, nel panorama

artistico della città, ha saputo svolgere una funzione

informativa assai utile e stimolante.

Dieci anni fa, dunque, si varava il primo cartellone.

Il regista Massimo Scaglione e il suo gruppo di attori

(Franco Alpestre, Elena Magoja, Donalisio, Piera Cra–

vignani, Fenoglio e Carla Torrero) non avevano ancora

una sede: presentavano il loro repertorio di autori ita–

liani non famosissimi - fra i più convincenti Samy

Fayad con

La Tigre

e Perrini con

Non si dorme a Kirk–

watt

-

nella sala del cine-teatro Chatillon e, per una

settimana, al Gobetti. Non fu un esordio propriamen–

te clamoroso, ma bastò a stabilire un dialogo con i

giovani, con il pubblico più curioso, non tanto nu–

meroso, quanto fedele, giustamente partigiano nei

ri–

guardi di un esperimento che gli sembrava positivo,

tanto più in una città poco propensa alle avventure

di qualsiasi genere, disposto a difenderlo quando il

Teatro delle

lO

(il nome venne dall'ora d'inizio delle

36

rappresentazioni) si trasferì l'anno dopo sulla pedana

del caffè Augustus. Si faceva teatro davanti ad una

platea seduta al tavolino, soddisfatta, satolla, distratta

anche. A Torino era il primo esempio di teatro da

camera, di «cabaret»: era difficile aggredire questo

pubblico, costringerlo a seguire le girandole verbali

della

Cantatrice calva

di Jonesco, farlo riflettere sul

teatro dell'assurdo al quale non era affatto abituato.

E tuttavia l'impresa riuscì, sia - soprattutto - per

l'intelligenza dell'allestimento, sia anche, bisogna ri–

conoscerlo, per quella certa patina di snobismo che, al–

lora, circondava le rappresentazioni di una compagnia

che s'immaginava poter essere l'equivalente subalpino

del

caveau de la Huchette

di Parigi. Questa patina si

sarebbe dissolta col tempo, ma, in quell'occasione,

giocò un suo efficace ruolo pubblicitario richiamando

l'attenzione sullo spettacolo e .sul rubizzo commedio–

grafo francese, facendone una moda, ristretta dap–

prima a pochi seguaci, ma già pronta ad accoglierne

altri, tant'è che la

Cantatrice

dovétte essere più volte

ripresa, arrivando alla bellezza di oltre quattrocento

repliche.

Storia "intima" del Piemonte

Il successo di Jonesco fu, quindi, buon biglietto di

presentazione per altri autori inediti o quasi a To–

rino, dall'Adamov del

Professor Taranne,

a Neveux,

a Cocteau, De Obaldia, Sarzano, Williams ed altri.

Nel 1959, poi, ancora all'Augustus, si presentò quel–

l'Aspettando Godot

che, se oggi è riconosciuto come

il capolavoro di Beckett e un piccolo classico del no–

stro tempo, non godeva certo otto anni fa di altret–

tanta fiducia. E tocca proprio al Teatro delle

lO

il

merito non piccolo d'aver mosso le prime discussioni,

il primo favore torinese attorno all'opera dello scrit–

tore irlandese. Così come gli tocca l'altro merito d'es–

ser stato finora l'unico complesso ad aver presentato

in edizione italiana a Torino una delle più belle e in–

tense commedie di Jean Genet,

Les bonnes,

nella sta–

gione successiva, la prima al Ridotto del Romano. Era

un cartellone impegnativo poiché, oltre alle

Serve,

al–

lineava la novità assoluta di Brendan Behan,

L'ostag–

gio,

il

Teatro da camera

di Tardieu,

Jacques, La fan–

ciulla da marito

e

Il nuovo inquilino

di Jonesco. Tutti

spettacoli vivaci, scattanti, accolti bene da un pub–

blico che si dilatava mentre gli attori (s'erano aggiunti

Giovanni Moretti, Wilma Deusebio, Franco Vaccaro)

conquistavano un preciso affiatamento, trovavano un

loro stile originale. Feydeau, Labiche, Boris Vian, gli

inglesi Mortimer, Simpson e Richardson, il Goldoni

degli

Amanti timidi

e l'Alfieri del

Divorzio,

la

Farsa

di mastro Pathelin

di un Anonimo francese del Quat–

trocento, le

Storie naturali

di Levi, atti unici di Fe–

noglio, Flaiano, Brancati e Dursi,

Delirio a due

e

La

lezione

di Jonesco,

L'onorevole

di Sciascia, sono, ci–

tati alla rinfusa, alcuni degli allestimenti delle stagioni

venute in seguito, tutti legati fra loro dal gusto per

l'esplorazione in territori poco battuti dalla critica,

esplorazione, naturalmente, non fine a se stessa, ma

capace di assicurare agli spettatori cose valide che,

altrimenti, difficilmente avrebbero potuto incontrare.

L'attività della compagnia, oggi, non si limita a To–

rino: raggiunge diversi centri della regione, spesso ne

supera i confini, è approdata anche al festival della

prosa veneziano nella sezione per i ragazzi. Ma ai to·

rinesi e piemontesi in particolare è dedicato quel di–

scorso scenico sulla storia «intima» del Piemonte

iniziato alla fine della stagione 1963/64 con

il

Can–

zoniere piemontese,

raccolto da Sandro Gindro fra

testi del settecento e dell'ottocento in gran parte sco–

nosciuti o dimenticati, senza, ovviamente, fare dell'ar–

cheologia, ma tirando fuori soprattutto la comicità

ruvida e graffiante, come esempio di una antologia

ideale per un patrimonio folcloristico che si era troppo

trascurato e disperso. Il

Canzoniere

è indubbiamente

uno dei più divertenti e riusciti allestimenti della

compagnia, tutto tenuto nel registro della festa pae–

sana, dove

il

dialetto non è un espediente, ma una

necessità. Le canzoni, le filastrocche e le poesie non

cercano suggestioni e mediazioni culturali, ma si affi–

dano al rapporto immediato con

il

pubblico, un rap–

porto, si direbbe, improvvisato di volta in volta, con

un calore ed un sapore di autenticità singolari.

Immaginiamo: la vendemmia, la sosta sul mezzo–

giorno, si mangia, ci si sfotte, si beve, poi c'è chi