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maglia nera giocano in apparenti frivolezze che hanno

nella coda il veleno, con piacevole disinvoltura.

Infine le

Farse

dell'Alione, un testo su cui la com–

pagnia si preparava da molto tempo, sia per le già

accennate ragioni di continuare un discorso « piemon–

tese

»,

sia per portare avanti con un'inedita, ricca e

variamente sfaccettata immagine italiana la proposta

del teatro francese prerinascimentale realizzata con la

« Farsa di mastro Pathelin

».

L'aria, il gusto e la cul–

tura d'Oltralpe, difatti, circolavano liberamente per

il

vecchio comune di Asti, da un secolo base avanzata

della casa d'Orleans quando l'Alione scriveva fra il

1470 ed

il

1520 (le date sono incerte, come assai po–

vera è la biografia: si sa ch'era nobile, agiato, uno

dei più influenti fra i concittadini).

È

logico, dunque,

che gli echi del teatro e delle novelle francesi si sen–

tano in questo commediografo, o meglio in questo

costruttore di scherzi scenici per il carnevale: l'Alione,

in effetti, mirava prima di tutto al passatempo, al di–

vertimento suo e della brigata e questo era il primo

bersaglio che, senza dubbio, sapeva colpire. Di rim–

balzo coglieva anche l'altro, quello dell'impegno arti–

stico, entrando in azione la sua personalità estrosa e

prepotente, il suo acuto spirito d'osservazione reali–

stica, la sua attenzione ai casi del mondo che lo cir–

condava - il mondo di Asti, in particolare - e che

voleva voltare in satira.

Sono caratteristiche, queste, di un personaggio origi- .

naIe, che non si sarebbe certo accontentato di una ba–

nale imitazione e quegli echi, quindi, si riferiscono più

che altro ad una scelta di temi (non solo stranieri,

d'altronde, ma già vivacemente presenti nella nostra

novellistica popolare) che l'Alione sentiva congeniali:

il gioco burlesco e grottescamente filosofeggiante su–

gli argomenti più scurrili e sboccati, la beffa ai guai

ed alle disavventure matrimoniali, la presa in giro

senza tante cerimonie del citrullo e dell'ingenuo, del

povero Calandrino; tutte cose che in Francia avevano

trovato vigorosa forma , non soltanto o non tanto nel

« Pathelin

»,

quanto in quel gioiello di salace catti–

veria ch'è

Le quindici gioie del matrimonio,

mentre

si affacciava il genio di Rabelais che avrebbe fatto

capolavoro di tutte le SCOl1cezze ridanciane, di tutto

il diffuso arsenale scatologico con cui i guitti di piazza

facevano crepare dal ridere un pubblico di ben nu-

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triti bottegai.

L'Opera piacevole

che raccoglie le farse

dell'Alione rientra in questo panorama, rielaboran–

done a piacer suo i dati, così come originalmente

l'autore aveva scelto

di

scrivere in dialetto - certo

più adatto della lingua ai suoi scopi antiletterari e

naturalistici - e di non ispirarsi «né a Plauto, né

a Terenzio

»,

senza probabilmente rendersi conto

della portata rivoluzionaria di una simile afferma–

zione in quei tempi, quando i due latini erano con–

siderati modelli insuperabili.

Spirito popolano

Alle situazioni tradizionali, dunque, l'Alione sovrap–

pone nuove trovate, note di costume e d'ambiente,

sviluppa l'aneddoto tratteggiando meglio il carattere

dei protagonisti, aggiungendo osservazioni tratte con

incisivo umorismo dalla vita quotidiana della sua

città, come accade nella

Farsa di Gina e Reluca, doe

matrone repolite quale volien reprender le zovene,

messa abilmente ad aprire lo spettacolo poiché dal

dialogo delle due comari acciaccate che rimpiangono

gli anni in cui potevano ancora folleggiare, parlando

peggio che possono dell'epoca attuale, nasce un ra–

pido e ridicolmente incarognito affresco di Asti, del–

l'occupante francese, della sua corruzione, una descri–

zione pittoresca e movimentata, che fa da sfondo alle

farse successive, delle quali balza immediatamente agli

occhi lo spirito tutto popolano, una sostanza plebea

che rende l'Alione assai diverso, lontano, e se vo–

gliamo anche limitato rispetto

al

Ruzante, «corti–

giano

»,

per quanto carico di irosa lucidità.

Sono composizioni in ottonari senza regola, sboccate

e grossolane,

di

nient'altro preoccupate, si diceva, se

non d'arrivare al sodo, allo sberleffo ed all'effetto co–

mico. Ma sono anche quanto mai cariche di vitalità

e di sicurezza nel taglio scenico, assai attraenti nella

loro deliberata e, sotto altri aspetti, «disarmata»

mancanza di tatto. La regia di Scaglione ha intuito

la possibilità d'urto del discorso plebeo senza mezzi

termini - anche se il dialetto lo vela un poco, lo

La commedia satirica di Vittorio Alfieri

Il Divorzio

è

stata riproposta, con successo, dal Teatro delle dieci.

Nella foto, gli interpreti Franco Alpestre,

A.

Ricca,

Renzo Lori,

G.

Moretti, Elena Mago;a e Ftanco Vaccaro