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Testi
Levi;
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classici e d'avanguardia caratterizzano il repertorio del Teatro delle dieci. Una scena di
Storie naturali,
di Primo
la D'Eusebio e la Magoja in
Le serve
di Génet. Qui sopra: tre degli interpreti de
Gli amanti timidi
di Goldoni
ammorbidisce - e ha suggerito, per alcune di esse,
una rilettura critica. Per esempio per la
Comedia de
l'homo e de soi cinque sentimenti,
una sorta di « mo–
ralité» alla francese affidata a personaggi allegorici:
l'hom, gli eugl, el naas, la baca, le man, i pé, el cui,
in cui la grassa facezia - la ribellione del « funda–
mentum » che chiede e ottiene, con uno sciopero ante
litteram, parità di considerazione con gli altri e più
nobili cinque sentimenti - può essere intesa non
soltanto come un ritorno alla parabola di Menenio
Agrippa, ma anche come una lancia spezzata a favore
dei più umili e disprezzati fra gli uomini, sulla cui
fatica campano gli schizzinosi maggiorenti. La regia
lo indica con i costumi lussuosi e l'atteggiamento di
stolida e boriosa sufficienza dei cinque, in confronto
con l'abito rozzo e le maniere villane dell'antagonista
che, alla fine, diverrà loro uguale secondo una so–
lenne investitura.
Un anno cominciato bene
Anche la
Farsa di Pero e Cheirina jugalli, che litti–
goreno per un petto
ha le sue punte nella satira alla
giustizia, al personaggio di un « judex » parolaio che,
alternando sentenze latine senza capo né coda ad
amenità dialettali, dirime, appunto, la causa nella
quale un marito chiede la condanna della moglie per
l'incidente cui si fa cenno nel titolo. Tutta giocosa
e beffarda, infine, la
Farsa del braco e del milaneiso
innamorato in Ast,
in cui si narra di un amante not–
turno che, sorpreso dal marito, gli dice d'essere il
suo bracco e il citrullo prima si spaventa sentendo
parlare un cane, poi ci ripensa e gli tende un agguato,
finendo, però, gabbato dalle astuzie d'una vicina.
Donne lussuriose, uomini fresconi : un piccolo uni–
verso tutt'altro che irreprensibile, ma per nulla cupo,
colorato di un umorismo scoppiettante al quale si
sono aggiunti i lazzi e le indovinate baggianate, i ge–
stacci allusivi degli attori tutti assai in forma, dall'ir–
suto Franco Alpestre a Wilma Deusebio, Gapace con
tranquilla indifferenza di dir cose che fanno sobbal–
zare il benpensante sulla poltrona, al «judex» di
Gigi Angelillo, Giovanni Moretti, la Magoja, la Bo–
nasso, il Brusa e il Vaccaro. Le musiche di Casalino,
i costumi della Furno, spiritosamente ricavati dall'ico–
nografia dell'epoca, le scene di Liverani, hanno altri
meriti nella riuscita dello spettacolo e chi si è pro–
vato nella lettura dell'Alione, nel tentativo di deci–
frare, cioè, quel misto
di
dialetto astigiano antico, di
lombardo e francese ch'egli adopera, si sarà meglio
reso conto dell'ardua fatica che la compagnia ha con–
dotto a termine non solo con bravura, ma anche con
un rigore filologico appena attenuato, in qualche
punto, da qualche libertà del resto necessaria alla
comprensione.
L'anno dieci è, dunque, cominciato molto bene. Si
preparano ora novità italiane - Pratolini, la Mastro–
cinque - l'interessante
Fando e Lisa
di
Arrabal.
Dopo l'esito dell'Alione l'impegno è, naturalmente,
più gravoso :
il
pubblico, com'è giusto, fa confronti
e s'attende sempre di più dalla piccola compagnia.
Guido Boursier