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IL SANTO COTTOLENGO

nicani Tosi e Baretti, il Salina, il Dettori, mentre i

teologi Stuardi, Usseglio, Giangiacomo Bricco e Guala

tenevano la conferenze di teologia morale.

Questi nomi bastano da soli a significare quanto

fosse alto il livello scientifico del nostro clero, fra

cui eran fioriti poco prima un teologo come il Cardinal

(ìerdil, un fisico come Beccaria, uno scienziato come

l’abate Valperga Caluso.

Al cospetto di sì illustre consesso il Cottolengo

sostenne la prova e conseguì la laurea dottorale,

dissertando con tranquillità serena e pronto acume

in un latino facile ed elegante, come sapevano par­

larlo i preti di quel tempo.

Fu cotesta laurea che aprì al Nostro la sua nuova

via... Fra i teologi collegiati era, come dicemmo, il

prof. Don Evasio Agodino, allora canonico del

«Corpus Domini », destinato ad essere poi un giorno

illustre e vigoroso vescovo d ’Aosta e a stabilirvi final­

mente la liturgia romana. Il canonico Agodino

dunque, favorevolmente impressionato dal sapere e

dal fare del giovane teologo, prese occasione della

prima vacanza per presentare il Cottolengo come

candidato a ’ suoi colleghi canonici del «Corpus Do­

mini ». Sicché nell’ottobre del 1818 il Nostro entrava

a far parte della Congregazione dei

preti teologi,

che così eran chiamati allora i canonici del «Corpus

Domini ».

Se il neo-canonico avesse scelto la carriera degli

studi come ramo della sua attività, in quel tempo

in cui gli studi ecclesiastici eran molto apprezzati,

egli indubbiamente avrebbe lasciata un’orma lumi­

nosa in cotesto campo: ne aveva l’ingegno e la tenacia

di volontà.

In tal caso il suo carattere sereno, bonario, faceto

— e sopratutto la sua esemplare carità — avrebbero

forse esercitata un'influenza moderatrice negli aspri

conflitti di scuola che proprio in quel torno di tempo

dividevano il campo teologico, tra i probabilioristi

che accusavano di lassismo i probabilisti, e questi

che accusavano i primi di giansenismo: gli uni e gli

altri, troppo spesso, quanto ricchi di parole altret­

tanto scarsi di carità.

Invece il canonico Cottolengo, dopo lungo tra­

vaglio di spirito, s'orientò verso un altro campo,

quello della carità; egli non scrisse opere dotte, ma

esercitò opere buone. Le une e le altre — opere dotte

e opere buone — onorano la Religione, se mirano

alla gloria di Dio e alla salute delle anime: ma non

può esservi dubbio che la carità è la maggiore di

tutte,

major autem... est caritas!

• * *

Nel

gennaio del

1828 il

Santo fondava

il

suo pio

istituto

con quattro letti nella casa della

VotU Rossa,

in

via Palazzo di Città. I ricoverati aumentano: con

la

giovane signora Marianna Nasi-Pullini (la Luisa

Marillac di questo Vincenzo de* Paoli piemontese)

vengono le prime coadiutóri dd nostro Santo, bei

nomi

e più bei cuori: una Teresa

Fabbre-Nasi,

una

r

a r f t o « U n i i » € ■ ■ » , « ■ W i n a l l — H

(F a i. A . P u w ri)

Carlotta Gallina-Olivero, le signorine Turò, Came-

rano, Paravia, Calvetti, Bossier, Bertoglio. E ven­

gono i primi benefattori, i compagni dell'èra eroica,

quelli che vorrei chiamare quasi i

confondatori

del­

l’opera gigantesca: il medico Granetti, il farmacista

Anglesio, il cavalier Ferrerò tesoriere segreto del

santo prete, ed il fido Rolando che giustamente è

ritenuto quale agente delle opere di carità del

Santo: i primi d’una serie di benefattori che si sperde

negli abissi della mente divina,

quorum nomina soli

Deo nota sunt.

E verranno, con gli aiuti anonimi, i grandi aiuti,

i plausi augusti, gli osanna della riconoscenza pub­

blica.

Poco più d’un anno dopo che il santo canonico

— sfrattato ingiustamente dalla

Volta Rossa

am

un carrettino e un somaro erasi recato a inaugurare

la

Piccola Casa

nei campi di Valdocco fra i motteggi

degli sciocchi, poco più d’un anno dopo questa gesta

commovente, che pareva una fuga ed era invece la

marcia d’un conquistatore d’anime, l’opera era rico­

nosciuta

eoo

regio decreto (1833): Re Cario Alberto

diveniva ammiratore, amico, benefattore

dei

Santo

e lo decorava con la croce mauririana: nel 1834

Gregorio XV I

io

encomiava calorosamente e

lo

rega­

lava d’una grande medaglia: nel 1835 il

gravane