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alla R. Università, auguravasi che la stra­

da dal distrutto ponte in legno detto delle

Benne, sulla Dora, fino al Parco prendesse

il nome di via Funeraria e che su quel lun­

go percorso «si ergessero alcune statue ad

imitazione delle remote città della Grecia ».

Riaprisse gli occhi ! Altro che statue fune­

bri ! Vedrebbe, oggi, che dal fiume al Par­

co è un immenso operoso rione ; una diste­

sa di grandi case e di fumanti opifici. Pro­

prio a fianco del Camposanto, separata ap­

pena da un viale e da un fosso, funziona

la nuova ampia stazione-merci di Vanchi

glia. Ciminiere, laboratori, stridore di mac­

chine e file di convogli lungo le banchine

animate da un traffico in continuo aumento.

Tra le curiosità può esser notato che qui­

vi, nell’ottocento, erano conche erbose ove

l’acqua s’insinuava placida, fornendo, l’in­

verno, la provvista di ghiaccio alle circa

duecento botteghe torinesi di caffè.

A 4 . 4 ;

Se allettato dalla tabella con la scritta :

«Regio Parco », un forestiero salisse a To­

rino sul tranvai N.

8

, giunto al capolinea

proverebbe da principio un’amara delusio­

ne. Di parco, dicevamo, nemmen l'ombra.

Si troverebbe in un vago quartiere periferi­

co, più campereccio che metropolitano : un

villaggio a sè, staccato in una rìdente e

ariosa cornice. La gran piazza, le scuole

elementari (un chiaro caseggiato moderno),

l'asilo col suo aspetto di villetta incasto­

nata in un garbato giardino, la lapide ai

Caduti con l’emblema del Fante che osten­

ta in un pugno una minuscola vittoria ala­

ta, e tre o quattro stradette intorno all’ar­

tistica chiesa parrocchiale votata a S. Gae­

tano Thiene, eretta nel 1887 per iniziativa

dell’Arcivescovo Cardinale Alimonda.

Poi, sì, a oriente della piazza, un severo

esteso fabbricato grigio con portone stem­

mato e stipiti di marmo. La costruzione di

questo edificio si cominciò nel 1768, su di­

segno dell’architetto Benedetto Ferroggio,

gettando le fondamenta, dice una guida del

1790, « in parte sui vestigi d’antiche deli­

zie ». Adesso è sede — da un secolo e mez­

zo — della Manifattura Tabacchi : un ca­

sone a più corpi, che ospita anche farma­

cia, ufficio postale, depositi di derrate e una

quantità di famiglie in privati alloggi.

Un sentiero porta subito al Po, calando

frammezzo a prati frangiati di robinie e do­

rati di ranuncoli che festonano stradicciole

tortuose. Di fronte, il fiume. Siamo in cit­

tà e par d’esserne lontanissimi, pur se, dal­

l’opposto argine, al sommo della collina

il cui splendore suggerirebbe una estatica

aggettivazione, Superga vigila con l’impe­

riale fastigio della sua cupola e de’ suoi

colonnati.

Paesaggio fasciato di silenzio. Non lon­

tano, un singolare traghetto per le molte

decine d’opera’ '•h* giornalmente vengono

a lavorare al Parco da Sassi, e per le gaie

brìgatelle in gita domenicale.

E’ una specie... di filovia acquea. Un

grosso cavo d’acciaio teso fra le due spon­

de ed assicurato a tronchi d’albero. Sotto,

la barca scivola, tenuta al cavo con funi e

catene munite di carrucole. Acqua e funi

fanno rispettivamente marciare e dirìgere

il galleggiante, senza bisogno di remi, con

un bel taglio diritto perpendicolare al filo

della corrente.

Punto più pittoresco non poteva fissare

Emanuele Filiberto per la fondazione del

suo parco di cui si afferma affidasse il pro­

getto al Palladio, chiamandolo espressa-

mente a Torino.

Ma fu davvero il Palladio negli stati del

duca di Savoia? Questione elegante. Lo

nega, reciso, il barone Vemazza, senza pe­

rò, commentava il Vico nel 1852 «addurre

ragioni a conferma dell’asserto ».