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sia ecc. » scriveva il sómmo e sventurato
poeta « raccòrrò da V. S. pregandola che
assicuri sua Sig. Serenissima aver io vo
luto immortalare, per quanto in me sia, la
magnifica et unica al mondo sua opera del
Parco a canto alla sua capitale, in una stan
za della mia Gerusalemme, dove fingo di
descrivere il giardino del palagio incantato
di Armida ».
La lettera, segnata «dalle prigioni di S.
Anna a Ferrara, conchiude col ricordo del
le « passate e presenti infelicità » del can
tore, che si rivolge al Botero, perchè pre
ghi il Duca « che si degni di continuare a
chiederne il termine in gratia a chi ne è
l'arbitro». Rimasto lungamente inedito,
questo documento apparve in luce nella
seconda edizione del libro d’Ippolito Pe
demonte Sui giardini inglesi.
Eccone il cenno descrittivo del Botero nel
1607 : «Un parco che gira cinque o sei mi
glia, in un sito de* più ameni d’Europa,
cinto e quasi vagheggiato dal Po, dalla Do
ra e dalla Stura, pieno di boschetti, laghet
ti, fontane e d’ogni sorta di cacciagione...»
Luigi Cibrario aggiunge che v’erano « uc-
celliere, peschiere, pergolati, labirinti, roc
ce e ponti ». Tra i cespugli correvano cin
ghiali, daini, cervi. In sèguito, in apposite
gabbie, si tennero tigri e leopardi.
Ivi, per volere di Emanuele Filiberto che
intendeva farne un podere modello, si pian
tarono migliaia di gelsi, non dimenticabìle
inizio, in Piemonte, di questa preziosa col
tivazione ; si procede alla fruttifera semina
del grano siciliano e s’imprese, in un ca
scinale a specchio del Po, rallevamento di
scelte razze bovine.
Il monumentale palazzo costruito in fon
do al Parco, tra smisurate ghirlande di sa
lici e di roseti, si chiamava il Viboccone.
I disegni inseriti nel «Teatro Pedemonta
no » e nel raro volume del Padre Audi-
berti : «Regie Ville » (Torino, 1711), dàn-
no una chiara idea dell’imponenza e della
festosa vivacità delle sue linee architetto
niche. Quattro torri ottagone, una cupola
gigantesca terminata dal lucernario a cu
spide, terrazza, scalee a più ordini.
Dinanzi, la quieta superficie d’uno sta
gno. Al lati : i vividari, circondati da pa
rapetti e sovrastati da snelli obelischi svet
tanti dalle vasche e stellati, alla cima, dal
bagliore d’una piccola croce d'oro.
Dato l’esterno, è facile immaginare la
ricchezza delle gallerie e dei saloni. Si dice
che i soffitti vi fossero affrescati dal Mon-
calvo.
Da una pubblicazione di ottantanni fa
si apprende che il parco «era diviso in due
scompartimenti : l’uno aperto al sollazzo
dei cittadini; l’altro, più a nord, riservato
al villeggiare dei duchi ». Non di rado, poi,
« anche quello riservato apriva alla folla i
suoi cancelli »
Villeggiò nel R. Parco il famoso cavalier
Marino, cantando, con peregrina immagi
ne, le sorgenti del Po, il quale «pria par
goleggia, indi s’avanza e cresce », non pre
cisamente una gemma del suo «Ritratto
panegirico di Carlo Emanuele /”». La sti
ma di questo sovrano per il poeta seicentista
fu in un certo periodo così larga, che «bene
spesso » scrive il Torelli « insieme si vede
vano girare nelle lucenti carrozze ducali ».
In quei giardini, tra quinte e fondali di
verzura, si rappresentarono favole pasto
rali e scherzose allegorie. Li, gaie ed argute
adunanze di dame ; giochi aristocratici, par
tile di caccia e feste sontuose, memorabile
quella, nel luglio 1629, alla quale inter
venne il maresciallo di Crequi.
Poi furono le guerre, gH assedi e i de
cenni di agitazioni politiche. I fulgori del
Parco illanguidirono. Cominciava il tra
monto.
C
arlo
M
eruni
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