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italiana, passò quasi senza rilievo in Piemonte nel

perdurare delle guerre e delle lotte interne.

Tuttavia sul finire del XV secolo, sull'area delle

tre antiche chiese di S. Salvatore, S. Giovanni

e S. Maria e di una cappella dedicata a S. Ippolito,

un monumento importante sorge a Torino, costi­

tuendovi il primo ed unico esempio di architet­

tura quattrocentesca. Il duomo, dedicato a S. Gio­

vanni, nel quadro generale dell’architettura reli­

giosa italiana, è certo un esempio di un’impor­

tanza limitata e sopratutto tardivo rispetto alla

evoluzione delle forme estetiche in altre parti

d’Italia, importantissimo appare invece nella sto­

ria artistica del Piemonte, come completo e pres­

soché unico esempio di architettura religiosa del

rinascimento.

A parte questa ed altre poche eccezioni infatti,

la vecchia tradizione medioevale vive ancora in

Piemonte e particolarmente in Torino durante

il quattrocento e buona parte del cinquecento.

La città appare insensibile al fiorire degli studi

umanistici che trionfano in altre regioni italiane,

parallelamente al sorgere delle nuove forme della

Rinascenza. La stessa Università, che Ludovico

di Savoia-Acaia aveva fondato nel 1404, rimane

fedele alla vecchia tradizione. Le iniziative edi­

lizie restano in quest’epoca principalmente fun­

zione delle necessità di difesa delle città e le con­

tinue guerre non soltanto arrestano ogni sviluppo,

ma sovente distruggono quanto era stato possibile

realizzare. Torino conserva ancora il carattere

pianimetrico dell’antico schema romano e le vec­

chie mura, guarnite di numerose torri, ne costi­

tuiscono ancora il limite. Qualche piccolo sob­

borgo si era andato tuttavia formando fuori delle

mura, ma tutti furono distrutti per ragioni mili­

tari nel 1536.

Occorre giungere alla seconda metà del cinque­

cento, per trovare i primi segni di un più fortu­

nato orientamento dell’edilizia piemontese.

Emanuele Filiberto, pur dedicando il suo mas­

simo interesse alla difesa di Torino con la costru­

zione di famose opere militari, promuove la riedi­

ficazione dell’antica chiesa di S. Stefano, realiz­

zando un magnifico esempio di architettura cin­

quecentesca nella chiesa dei Ss. Martiri (1570).

Seppure tale esempio resta isolato, il ducato

di Emanuele Filiberto segna tuttavia l’inizio di

una nuova epoca, la quale, con la creazione di

Torino capitale dello Stato, nel miglioramento

delle istituzioni, nelle ricerche culturali, nel­

l’incoraggiamento deU’industria e del commercio,

crea il presupposto per il sorgere di nuove ini­

ziative edilizie. Ne fanno fede non soltanto l'opera

di Pellegrino Tibaldi, ma forse anche quella del

Palladio, anche se questi, secondo l’ipotesi più

comune, volse la sua opera di consigliere del

Duca soltanto alla creazione di un parco, opera

effìmera, travolta nelle vicende

guerresche

del­

l'assedio di Torino del 1706.

Torino appare in questo periodo una città

ordinata, ma priva di edifici di qualche impor­

tanza architettonica. Con Emanuele Filiberto, i

più importanti uffici dello Stato che avevano

sede in altri centri del Piemonte e l’Università

stessa, che era stata trasferita a Mondovì, vengono

accentrati a Torino: il problema della loro siste­

mazione edilizia determina di conseguenza la

necessità di un migliore assetto architettonico

della nuova Capitale.

Nell’opera del grande Duca sono veramente i

segni precursori di una nuova vita della regione,

non soltanto come entità politica, ma come centro

culturale ed artistico.

Così con Carlo Emanuele I può veramente

iniziarsi il secondo periodo della storia artistica

del Piemonte, destinato a raggiungere nel XVII

e XVIII secolo il suo massimo splendore. Il rin­

saldarsi della dinastia Sabauda, consentiva infatti

al paese di dedicarsi con relativa tranquillità alle

opere di pace, ed un notevole numero di impor­

tanti edifìci, sia civili che religiosi, andò sorgendo,

non solo nella capitale, ma in molti altri centri

della regione.

£ questa forse, sotto certi aspetti, una fortunata

vicenda dell’arte edilizia di Torino, libera di

attuare le sue tendenze ordinate ed unitarie senza

le difficoltà di una preesistente struttura ricca di

monumenti intangibili, ed è la causa determinante

di un complesso di fabbriche civili e religiose in

un’epoca ben definita e rispondenti quindi alle

medesime concezioni estetiche. Le iniziative tro­

varono infatti una città nella quale tutto era da

costruire e, salvo rare eccezioni, nulla era degno

del nuovo compito che la storia le affidava.

Carlo Emanuele I, Carlo Emanuele II, Carlo

Emanuele III, sono i Principi Sabaudi le cui

vicende politiche e quelle del proprio regno hanno

maggiormente consentito di dare all’architettura

piemontese l’impulso di cui oggi ammiriamo le

opere. In questo periodo un grande Principe,

Vittorio Amedeo II, non ebbe è vero la ventura

di dedicarsi lungamente alle opere di pace, ma

i grandiosi eventi militari svoltisi sotto il suo

ferreo regno, e culminanti con la pace di Utrecht,

consentirono al Piemonte di conquistare definiti»

vamente il suo rango di nazione Ubera.

In questo secondo e più glorioGo periodo della

storia artistica del Piemonte, Principi generosi e

lungimiranti dedicarono il loro fervido ingegno al­

l’affascinante compito di creare pressoché dal

nulla una capitale che, anche nel campo delle

arti e della cultura, fosse degna dei fasti militari

che l’avevano elevata nella considerazione delle

altre nazioni europee.

Facilitando in ogni modo l’iniziativa privata,

incoraggiando l’opera degli architetti, promuo­

vendo con preordinata accuratezza e con mirabile

ordine l’ampliamento della città oltre i limiti

della vecchia cinta oramai insufficienti al nuovo

importante sviluppo, prestando ogni cura al rife­

rire degli studi, delle arti e delle industrie, questi