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e maturità dei principi che guidarono i più grandi

artefici del tempo.

Altri hanno interpretato, come il Guarini.

schemi pianimetrici talvolta classici, con il proprio

temperamento personalissimo, portando un con­

tributo importante allo sviluppo delle forme baroc­

che, contributo destinato ad influire sulla conce­

zione di un complesso di edifizi religiosi non solo

in Italia, ma anche e sopratutto all’estero, parti­

colarmente in Boemia.

Altri infine, nel 700, hanno seguito la fantasia

del loro spirito aderente all’epoca di decadenza in

cui vivevano, perdendo forse il senso deii’equi-

librio e della grandezza romana che ispirò le opere

del Juvarra, ma realizzando, con squisita eleganza,

una decorazione che ancor oggi costituisce un

ammirevole attributo del barocco piemontese.

Certo nessuno di questi artisti possedette lo

spirito novatore di un Alberti, nè il genio precur­

sore di un Bramante, nè la grandiosità di conce­

zione di un Michelangelo, nè la superba fantasia

di un Bernini; tuttavia essi meritano il loro posto,

e non fra gli ultimi, nella storia dell’arte italiana.

Lo studio dell’architettura religiosa del Pie­

monte in quest’epoca, non può prescindere dagli

elementi che ne determinano il punto di partenza.

Nulla di più interessante esaminare l’evoluzione

delle forme che sono la base dell’architettura

religiosa del 400 e del 500 e dalla quale deriva

una varietà di schemi pianimetrici che non ha

riscontro in nessun’altra regione italiana.

Le forme pianimetriche delle chiese italiane

del quattrocento traevano le loro origini princi­

palmente dallo schema basilicale, mentre affiora­

vano negli studi di Leonardo ed in talune opere

del Brunellesco, dell’Alberti, del Bramante e di

Giuliano da Sangallo nuovi tentativi di edifici

religiosi a pianta centrale.

Nel cinquecento queste tendenze si erano per­

fezionate, principalmente a Roma. La disposi­

zione a pianta basilicale, con le successive elabo­

razioni del Sangallo in S. Spirito in Sassia (fig. 1 ),

del Sansovino e dello stesso Sangallo in S. Mar­

cello. portava al classico schema cinquecentesco,

la cui più significativa espressione è rappresentata

dalla chiesa del Gesù (fig. 11), punto di arrivo

di quella evoluzione che Leon Battista Alberti

aveva iniziata un secolo prima in S. Andrea di

Mantova (fig. 12). Le chiese a pianta centrale si

sviluppavano a loro volta, seguendo l’esempio

del Bramante, in numerose forme a pianta circo­

lare, ottagonale, a croce greca.

Compariva cosi fin da allora il dualismo fra la

forma basilicale e la pianta centrale. Mentre il

sistema basilicale appariva più aderente alle neces­

sità del culto, il sistema centrale con cupola sem­

brò a molti più armonico e grandioso: la ricerca

di una soluzione di compromesso fra le due ten­

denze, la prima collegata a necessità di ordine

pratico, la seconda a motivi di carattere estetico,

è evidente nell’opera degli architetti, fin dal cin­

quecento. Di questa ricerca Bramante è ancora

l’iniziatore nel suo progetto per S. Biagio della

Pagnotta in Roma, del quale le indagini del Gio-

vannoni hanno consentito di ricostruire la pianta

(fig. 41), mentre il Vignola è il realizzatore com­

pleto della forma destinata a maggiore fortuna,

la chiesa del Gesù, nella quale alla pianta basili­

cale si innesta il transetto dominato dalla cupola,

soluzione certo ricca di grande fascino, sia per

il ritorno alla grandiosità spaziale delle terme

della Roma antica, sia per il senso di attrazione

verso l’altare che la cupola luminosa esercita sul

visitatore.

L ’arte religiosa del Piemonte, giunta alle sue

realizzazioni più importanti all’inizio del seicento,

doveva necessariamente seguire l’evoluzione già

in pieno sviluppo fin dal secolo precedente in

altre città italiane. Il problema della ricerca di

nuove forme destinate a realizzare il miglior com­

promesso fra le necessità liturgiche e quelle este­

tiche. doveva indubbiamente interessare in sommo

grado gli architetti piemontesi dell’epoca barocca

e costituisce il punto di partenza di tutta l’arte

religiosa del tempo.

A partire dal seicento la forma basilicale clas­

sica a più navate non interessa più ed assai rari

ne sono gli esempi in Piemonte. Più frequenti

sono le chiese a navata unica secondo lo schema

di S. Spirito in Sassia. Esempi tipici di questa

disposizione a Torino, oltre la chiesa dei Ss. Mar­

tiri iniziata nel 1577 da Pellegrino Tibaldi, sono

le chiese del Corpus Domini (1607), di S. Carlo

(1619), di S. Francesco da Paola (1632).

Schemi che pur avendo la stessa origine presen­

tano una maggiore elaborazione, si ritrovano in

chiese assai posteriori quali, a Torino, la chiesa

del Carmine, del Juvarra (1732) (fig. 2); a Marene

la chiesa della Natività di Maria Vergine, del

Gallo (1724) (fig. 3); a Bairo la chiesa diS. Giorgio,

del Bernasconi (1764) (fig. 4); a Pecetto Torinese

la Parrocchiale, unica chiesa del Vittone appar­

tenente a questo tip» (1742) (fig. 5); a Chieri la

chiesa di S. Filippo, del Juvarra; a Bra la chiesa

di S. Antonio, ecc.

In queste chiese la copertura della navata è

quasi sempre a botte lunettata, con ritmo di archi

cornspondenti-alle strutture di sostegno. In qualche

caso, come nella chiesa deU’Annunziata a Chieri.

del Costaguta (1651), la volta a botte è parzial­

mente sostituita da una crocerà a pianta rettan­

golare. Il coro è spesso semicircolare, talvolta

a p>ianta rettangolare o quadrata.

Altre volte invece la serie di cappelle laterali,

poco ampie, rettangolari o semicircolari, carat

teristich? dei primitivi schemi romani di S. Spi-