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anni ‘80, con la nascita della Terza Rete, furono allestite dalla sede Rai di Torino delle
piccole troupe di tre o quattro componenti per realizzare servizi per il telegiornale e i pro-
grammi regionali. La direzione del personale autorizzava i dipendenti in missione a consu-
mare i pasti al ristorante anziché alla mensa aziendale (e a ottenere il relativo rimborso)
solo nel caso in cui la troupe si fosse venuta a trovare, all’ora fatidica, fuori dalla cinta da-
ziaria. Sono in grado di testimoniare che i miei colleghi ne conoscevano il tracciato metro
per metro, meglio di un impiegato del catasto.
Fino a non molti anni or sono, la classificazione dei borghi e delle borgate è quasi sem-
pre correlata con le condizioni economiche dei residenti. Goffredo Casalis le presenta
come un dato di natura, immodificabile. Citiamo dal XXI volume del suo
Dizionario geogra-
fico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna
, del 1851. A pagina
202: «Borgo di Dora, detto volgarmente del Pallone. Molto insalubre è l’aria che si respira
in questo borgo, a cagione dell’umidità prodotta dalle molte acque che vi scorrono. Pochi
anni or sono vi si confinavano per ordine del vicariato tutte le officine dei fabbricanti di
grosse macchine, de’ calderai, de’ bottai, e di altri siffatti mestieri per liberare gli abitanti
dell’interno della città dal rumore insopportabile che per esse facevasi. [...] Più della metà
della popolazione di questo borgo appartiene alle classi povere; e di ciò è cagione il tenue
prezzo del fitto delle case, e massime di quelle che stanno più vicine alla Dora; ma, se egli è
vero, che quegli inquilini trovano un qualche sollievo alla loro miseria nella tenue pigione,
è vero altresì, ch’essi ben sovente vi perdono la salute per causa dell’umidità delle case».
A pagina 154 Goffredo Casalis descrive la borgata Lucento: «La popolazione di questa
parrocchia è di circa 800 anime sparse qua e là in rustiche abitazioni, giacché non vi esiste
verun aggregato di case: nell’inverno però la popolazione ascende a più di 1000 anime,
perché in tale stagione molte famiglie di montanari vengono con le loro mandrie ad abi-
tare le cascine. A cagione delle molte acque con cui si irrigano i numerosi prati di questa
parte dell’agro torinese gli abitanti non godono di una complessione molto robusta, e
vanno soggetti alle febbri intermittenti: sono essi d’indole assai docile, ma è grave danno
per loro l’essere privi di ogni istruzione per mancanza di scuole».
Quanto ai letterati, la loro fantasia è stata per lo più stimolata dallo spettacolo offer-
to da Porta Palazzo e lì si è scatenata; buoni ultimi, gli eccellenti Carlo Fruttero e Franco
Lucentini con
La donna della domenica
.
Mario Soldati, nel romanzo
Le due città
si spinge un po’ oltre sulla mappa: «I giochi del
Martinetto, in fondo a via Cibrario, erano i migliori di Torino. [...] I campi, numerosi, ampi,
ben livellati, ben tenuti, sempre pulitissimi, erano all’ombra di giganteschi tigli. Tra un al-
bero e l’altro, panche e tavoli di legno: in fondo, una pergola e una baracca con servizi di
bottiglieria: e il canale che scorreva accanto, lucido e veloce...».
Cesare Pavese amava la Torino d’oltre Po. Ne
Il diavolo in collina
troviamo la salita
notturna di tre studenti: «Ridiscendemmo il grande corso; sul ponte ebbi freddo; poi at-
taccammo la salita a passo svelto, per uscire dai paraggi noti. Era umido, buio, senza luna;
balenavano lucciole. [...] Passavamo fra i campi, i recinti, i cancelli di ville, fiutavamo l’asfal-
to e il bosco... Per strano che paia, non eravamo mai saliti fino in cima, almeno per quella
strada. Ci doveva essere un punto, un valico, dove la strada pianeggiava, il balzo estremo
della costa, ch’io immaginavo come un’ultima siepe, un balcone aperto sul mondo esterno
delle pianure. Da altri punti delle colline, da Superga, dal Pino, avevamo già guardato di là,
in pieno giorno...».
Edmondo De Amicis, con
La carrozza di tutti
, annota le esperienze vissute viaggiando
per un intero anno sui tram di Torino ma la sua attenzione è rivolta più che altro ai pas-
seggeri. Una delle rare annotazioni paesaggistiche è riferita alla Barriera di Lanzo e alla
Madonna di Campagna: «Attraversata la strada ferrata di Lanzo, non par più di essere a
Torino. La città, a poco a poco, si traveste da gran signora in borghesuccia di campagna,
spianando la fronte e prendendo un aspetto placido e ingenuo. Le case diradate si parano
di lenzuola e di pezze di bimbi, come per il passaggio di una processione; le botteghe spor-
gon fuori le insegne di cent’anni fa; le piazzette si congiungono con gli orti, le vie laterali
si stringono in viottole che si perdono nel verde dei campi; e si va fra lunghi muri di cinta
d’officine e di ville solitarie, fra assiti di giochi di bocce e larghi fossi, dove corre l’acqua fino
agli orli, cantando la ninna nanna alla via che sonnecchia. Poi appaiono i primi terrazzini di
legno, con le scale di fuori, le prime aie, i primi usci a cui è attaccata l’immagine d’un santo
da un lato e dall’altro un avviso della Prefettura; e qua e là vacche pascolanti, bimbi arsi