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dal sole e donne coi piedi scalzi; e in ogni parte una quiete, un silenzio, che il rumor del
tranvai, dov’è con me un solo passeggero addormentato, vi echeggia ed empie l’aria come
lo strepito di una corriera in un villaggio deserto».
Ma che ne parlino o meno, è presente in tutti coloro che descrivono Torino o che a
Torino ambientano le loro storie che questa è una confederazione di tante città. Anche i po-
eti lo sanno. Nino Costa, nella poesia
La Consolata
dedica due strofe al ricordo dei borghi:
Ave Maria... da le ciaborne veje
ch’a saro le Ca neire e ‘l Borgh d’je strass,
dai bei palass ch’a guardo anvers le leje,
da ‘n Valdòch, dal Seralio e dai Molass;
dal Borgh ëd Po fin-a le Basse ‘d Dòra,
da la Crosëtta al parch del Valentin
j’è tut Turin ch’at prega e ch’a t’adora
j’è tut Turin ch’at conta ij so sagrin...
1
E una da
Il Monte dei Cappuccini
Da ‘n Bertola, su, su, fin-a a Lingòt
së s-ciaira tuta la sità completa:
La sagoma dle stra longa e perfeta,
le piasse, ij cors, palas e palassiòt,
fin-a a la mira dj’ultimi ciabòt
2
.
A Torino, il borgo per antonomasia è il Borgo San Paolo, per molte ragioni, tutte valide.
Per dieci anni, dal 1975 al 1985, Torino è stata governata dal sindaco Diego Novelli che ha
fatto bandiera e vanto di essere per nascita, educazione e maturazione politica un sanpa-
olino. Tuttora vi risiede. Nel 1978 fu allestita in due sedi una mostra memorabile intitolata
“Torino fra le due guerre”. La Scuola Media Statale di via Vigone 72, in borgo San Paolo,
ospitava il settore “Cultura operaia e vita quotidiana in borgo San Paolo”. Il catalogo si apre
con un denso saggio che richiama il titolo della mostra, frutto di un collettivo di studiosi
di varie competenze e utilizza fra le tante fonti la storia orale raccogliendo interviste fra gli
abitanti. Un’impresa mai più ritentata. Ne citiamo un brano: «La vita di ognuno si svolgeva
qui, al di fuori c’era un altro mondo. In ogni autobiografia c’è sempre una contrapposizio-
ne netta tra il borgo e, ad esempio, la città. Il Borgo è determinato: lo spazio è circoscritto,
ci sono i posti di riferimento, le persone; la città non compare mai, quando compare è
vaga, lontana, senz’altro estranea.
Per dire vado in centro, si diceva andoma an Turin. In
borgo San Paolo mia mamma per andare in centro prendeva il bagno, si lavava tutta. È
perché – diceva – non si sa mai cosa può capitare!
».
Torniamo da dove siamo partiti, dal mio graduale percorso di conoscenza della natura
multiforme di questa città. Dopo quattro anni di vita da pendolare, nell’estate del 1955
la mia famiglia si trasferisce a Torino. La scelta del quartiere è vincolante: borgo Vittoria
perché mio padre, impiegato alla Caprotti di corso Venezia come capo degli impaginatori
rotocalco, deve assistere al cambio dei rulli sulla rotativa, quando, terminata una tiratura,
sta per iniziarne un’altra. Poiché la macchina non si ferma mai, il cambio può capitare a
qualunque ora. Di notte mio padre usciva di casa indossando il cappotto sopra il pigiama
illudendosi che, ritornato a letto, sarebbe riuscito a riprendere sonno. Considero una gran-
de fortuna il destino che mi ha portato a iniziare la mia vita di torinese in borgo Vittoria. In
quel reticolo di vie attorno alla chiesa della Salute, mi sono subito sentito uno del borgo;
facendo la spesa nei negozi o ai banchi del mercato, frequentando i bar, le vinerie e i nu-
merosi cinema, scambiavo con le persone che mi capitava di incrociare reciproci segnali di
riconoscimento. Quando il tram o l’autobus attaccava la salita in curva di via Stradella e sfi-
lava davanti al Lutrario, mitica sala da ballo, sentivo ogni volta che stavo ritornando a casa
e potevo rilassarmi. Anche il relativo isolamento del borgo mi dava sicurezza. Scendevo
in centro per andare a teatro; prima dell’incendio dello Statuto, si poteva acquistare un
semplice biglietto d’ingresso e andare in loggione o sostare in piedi in fondo alla platea,
puntando una poltrona rimasta vuota da occupare non appena si smorzavano le luci, salvo
poi doversi alzare se il titolare fosse arrivato in ritardo. L’ultima corsa del 9 che mi avrebbe
riportato a casa passava dalla fermata di via XX Settembre a mezzanotte meno un quarto;