

La città contemporanea. L’Ottocento
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marzo 2011
marzo 2011
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Torino: storia di una città
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priò di un ruolo centrale nelle decisioni
relative agli ampliamenti e ai lavori pub-
blici, anche grazie all’acquisizione di una
maggiore autonomia finanziaria, in fun-
zione della quale, nel 1853, fu stabilito il
tracciato della
cinta daziaria
, che lasciò
una traccia evidente sia nella struttura
della città sia nella forma edilizia. L’anno
prima era stato approvato dal Consiglio
comunale il «Piano d’ingrandimento»,
opera in gran parte di Carlo Promis, che
si configurò come la sintesi dei piani edi-
lizi già elaborati e condizionò lo sviluppo
di Torino nel secondo Ottocento. Sem-
pre nel 1852 fu approvata la demolizio-
ne della Cittadella, che rese disponibile
un’enorme estensione di terreni, costi-
tuita sia da quelli direttamente occupa-
ti dai bastioni, sia
da quelli vincolati
dalle residue servi-
tù militari, su cui
sorgerà la nuova
zona residenziale
di Piazza Statuto
e Porta Susa, dove
fu posizionato lo
scalo della ferro-
via di Novara (ora
Stazione di Porta
Susa). Il collega-
mento alla zona di Porta Nuova fu re-
alizzato attraverso nuove direttrici (at-
tuale corso Vinzaglio e proseguimento
del viale del Re) tracciate su una
griglia
ortogonale di viali alberati
. Questi via-
li, a differenza delle grandi
promenades
napoleoniche, non erano più tangenzia-
li del costruito e tratti di collegamento
tra i fulcri della nuova aggregazione ur-
banistica, ma assi rettori della struttura
edificata e inediti giardini urbani.
La riuscita dell’integrazione tra la nuova zona
e la città preesistente fu assicurata anche dal
ricorso al
portico
come elemento tipizzante.
Da Leggere
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Torino. Mezzo secolo di architettu-
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orino città di
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Viali, parchi e giardini fra Otto e Novecento
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F. De Pieri,
Il controllo improbabile. Progetti
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Guarini,
Juvarra e Antonelli. Segni e simboli per Torino
,
Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2008
La “Mecca” d’Italia
Su Torino, capitale dell’unico stato ita-
liano che avesse mantenuto le libertà
introdotte nel 1848, si concentrarono
l’emigrazione politica e robusti investi-
menti finanziari. La “Mecca”, come la si
definiva, dell’Italia ancora da unificare
e poi capitale effettiva del nuovo regno
ebbe un’accelerata
crescita demografica
,
interrotta bruscamente nel 1864 a causa
della perdita di questo ruolo. Ne seguì
un massiccio esodo di popolazione e la
ristrutturazione del sistema economico,
fino ad allora fortemente caratterizzato
dai servizi alla corte e dalla presenza degli
apparati di governo. Dalla crisi Torino si
riprese lentamente, durante gli anni Set-
tanta, come centro manifatturiero, nel
quale iniziava a delinearsi la
dicotomia
tra la città borghese delle nuove aree re-
sidenziali e le zone suburbane delle bor-
gate operaie.
Mentre su piazze e viali del centro sor-
gevano i monumenti in ricordo dei per-
sonaggi risorgimentali ormai scomparsi,
con gli anni Ottanta iniziò una nuova
fase, caratterizzata da alcuni processi si-
multanei: la crescita di
borghi operai
all’interno e soprattutto all’esterno della
cinta daziaria, lungo le direttrici radiali
di collegamento della città col territorio,
secondo il modello delle “barriere” ope-
raie; la prima urbanizzazione della zona
pedecollinare sulla destra del Po, con la
nascita di zone residenziali borghesi at-
testate oltre i nuovi ponti gettati sul Po;
l’avvio dei dibattiti ispirati da propositi
di
risanamento
igienico, ma anche da
forti interessi fondiari, che porteranno
alla realizzazione della rete fognaria e ai
“tagli” diagonali di via Pietro Micca e di
via IV Marzo, con la scomparsa di quasi
tutte le cellule edilizie di impianto me-
dievale, molto degradate, e la riconver-
sione del precedente ruolo residenziale
povero in funzioni abitative qualificate e
in destinazioni di servizio per il terziario
delle banche, delle assicurazioni e delle
ditte commerciali. Questa fase può con-
siderarsi conclusa nel 1908, con l’appro-
vazione del nuovo Piano regolatore e lo
scoppio della crisi dell’industria automo-
bilistica, appena nata, che determinerà
negli anni seguenti una profonda riorga-
nizzazione degli insediamenti produttivi,
ispirata al modello fordista.
Silvano Montaldo è professore associato presso il
Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi
di Torino
POPOLAZIONE DI TORINO
Iniziava a
delinearsi la
dicotomia tra la
città borghese
delle nuove
aree residen-
ziali e le zone
suburbane delle
borgate operaie
1796 1800 1808 1812 1820 1828 1838 1848 1858 1861 1871 1881 1901
90.272
re capitale di un regno, ereditò le scelte
francesi per la sistemazione e l’uso dei
terreni liberati o ancora da liberare in
seguito all’abbattimento delle mura. Fu-
rono realizzati la Piazza d’armi presso la
Cittadella (in un’area poi completamen-
te edificata) e lo spianamento dei terreni
presso Porta Susa. La vendita dei terreni
delle
fortificazioni abbattute
procedette
nella zona di piazza Emanuele Filiberto
(ora della Repubblica) e di Porta Nuova
(ora piazza Carlo Felice). Con il miglio-
ramento della congiuntura economica,
queste aree, insieme a quella del Borgo
Nuovo tra Porta Nuova e il Po, conob-
bero un’intensa edificazione, stimolata
dalla ripresa demografica. Secondo le di-
rettive della corte, alla metà degli anni
Venti iniziò la realizzazione di
Piazza
di Po
(ora Vittorio Veneto), mentre il
Municipio intervenne nella realizzazio-
ne della piazza e del tempio della
Gran
Madre di Dio
sulla sponda opposta del
fiume.
All’inizio degli anni Quaranta lo spazio
entro la circonvallazione napoleonica
a sud (viale del Re, attuale corso Vitto-
rio Emanuele II) e a nord (attuali corsi
Principe Eugenio, Regina Margherita e
San Maurizio) risultava edificato. Alcu-
ne costruzioni isolate stavano sorgendo
oltre tale demarcazione, prime segnali
dell’avvio di un nuovo ciclo di espansio-
ne. Il problema dell’ampliamento del pe-
rimetro di Torino aveva iniziato a essere
posto con varie ipotesi di espansione per
le zone fuori Porta Nuova, Vanchiglia e
fuori Porta Susa e regione Valdocco. La
prima delle tre zone, quella fuori Porta
Nuova, fu caratterizzata dall’attestazio-
ne sull’asse del viale del Re dello scalo
della ferrovia di Genova. Parallelamente
fu definita la sistemazione della zona di
Vanchiglia, che dai primi anni Quaranta
era al centro dell’interesse di un’iniziativa
di privati. In entrambi i casi le trattative
furono condotte tra il governo centrale
e i privati, con l’esclusione della Città, e
portarono all’approvazione di due piani
edilizi nel 1846. Ma la Città si oppose,
sia per l’insoddisfazione riguardo alla so-
luzione adottata per lo scalo ferroviario,
che interrompeva la continuità del viale
del Re, sia nel timore che la realizzazione
del nuovo quartiere di Vanchiglia ero-
desse i profitti dei proprietari delle case
del centro. Altro problema era la destina-
zione dei terreni intorno alla Cittadella,
della quale si affermava ormai l’inutilità.
Il nuovo ruolo del Municipio
Nel 1848, con la svolta segnata dallo Sta-
tuto albertino, il Municipio si riappro-
Il colonnato sul fronte principale della Mole di Alessandro Antonelli (fotografia di F. di Rovasenda).
80.572
65.370
66.454
89.334
121.781
117.072
136.849
179.635
172.614
212.644
249.827
329.691