

La città contemporanea. Il Novecento
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marzo 2011
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Torino: storia di una città
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POPOLAZIONE DI TORINO
Da Leggere
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linee della metropolitana), sulla riscrittura
dei
tessuti industriali
(il riuso del Lingot-
to, le Spine, le Zone urbane di trasforma-
zione), sulla
trama storico-ambientale
(il
sistema delle residenze sabaude, Corona
Verde e i fiumi), sulla
riqualificazione
del centro
e sull’offerta culturale (i mu-
sei dentro i grandi complessi del Barocco
e dell’Ottocento, l’arte contemporanea e
il cinema, le istituzioni universitarie e la
“movida” per i giovani).
Centrale in questa fase è il ruolo di in-
dirizzo e supporto giocato dal settore
pubblico, con i grandi eventi (dai Giochi
olimpici invernali al 150° dell’Unità d’Ita-
lia) che diventano occasione per sostenere
questo disegno di cambiamento.
La metamorfosi fisica non è però solo di
riscrittura interna. Mentre muta la società
torinese, con un forte incremento della
componente di origini straniere, cambia-
no anche le geografie profonde della città,
oramai divenuta sistema metropolitano
compiuto.
La nuova dimensione metropolitana
Le trasformazioni iniziate nell’ultimo de-
cennio del Novecento mettono in gioco
una dimensione realmente metropolita-
na dell’area torinese, che necessita di es-
sere morfologica e politica al contempo.
All’interno di questo ineludibile proces-
so di “metropolizzazione”, che dovrebbe
determinare una riscrittura del costruito
evitando nuovi consumi di suolo verso
l’esterno, alcuni progetti di grande scala
possono venire ad assumere il ruolo di te-
laio entro cui collocare le singole trasfor-
mazioni.
Strategico, in questo senso, è il
Servizio
ferroviario metropolitano
che – sfrut-
tando grazie al Passante le linee ferrovia-
rie radiocentriche innervate su Torino –
rappresenta una straordinaria occasione
non solo per riconfigurare in maniera più
sostenibile la mobilità dell’area metropo-
litana, ma anche per un profondo ripensa-
mento delle gerarchie e strutturazioni del
territorio torinese.
Un secondo progetto-telaio è quello di
Corona Verde
, che muovendo dai fuo-
chi delle residenze sabaude della «Corona
di delitie» ambisce a costruire un anello
ambientale capace di riqualificare e dare
senso a frange e periferie dell’area metro-
politana. Un progetto che si unisce a quel-
lo di
Torino Città d’Acque
, che utilizza
i quattro fiumi come corridoi ambientali
per la qualità del sistema urbano.
Su questi telai e armature si inseriscono
i singoli progetti: tra tutti, quello fonda-
mentale della Linea 2 della
metropoli-
tana
, con la riqualificazione dei quartie-
ri dell’area nord; il riuso delle immense
piastre industriali dismesse poste a sud e
a nord della città; le progettualità intorno
corso Marche; l’alta capacità ferroviaria.
In definitiva la visione delle
tre centra-
lità lineari nord-sud
che erano alla base
del Piano regolatore Gregotti-Cagnardi
del 1995 – la Spina centrale allungata al
Lingotto, il nuovo asse di corso Marche, il
Progetto Po – sembra non bastare più. La
prospettiva è ora quella dell’intero territo-
rio metropolitano, protagonista di un ac-
celerato processo di attrazione migratoria
dall’est Europa, e la dimensione dei pro-
getti sembra mettere in gioco uno spazio
geografico complessivo in cui rientrano,
finalmente, la piana, la collina e le Alpi.
Antonio De Rossi è professore ordinario presso la I
Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino
e intorno a cui si scontrano nuovi e anti-
chi attori.
La “grande mano”
della ricostruzione postbellica
La Torino che dal secondo dopoguerra si
spinge attraverso il boom economico fino
alla fine degli anni Settanta si connette
alla città precedente senza soluzione di
continuità. Al tema della crescita si ag-
giunge però quello della quantità. Quan-
tità determinata dagli ingenti processi di
immigrazione – prima dal Nord-est, e poi
soprattutto dal Meridione – connessi allo
sviluppo della grande industria, e che ge-
nerano una domanda di abitazioni e servi-
zi che per lungo tempo costituirà una del-
le criticità dello spazio urbano torinese.
Dal punto di vista fisico, per provare a
figurare il tema della crescita, si può uti-
lizzare l’immagine della “grande mano”
messa a punto da
Giorgio Rigotti
per il
Piano regolatore del 1956-59
, metafora
spaziale dello sviluppo a macchia d’olio
del costruito che inizia progressivamente
a invadere l’intera piana torinese. Un’im-
magine forte e condivisa, come l’idea che
la città cresca con e grazie alla fabbrica,
secondo un processo che l’assimila a un
organismo biologico.
In questa «gigantesca infrastruttura a ser-
vizio della produzione», come ha scritto
Raffaele Radicioni, urbanista torinese,
tutto viene ricondotto all’idea della città-
fabbrica. Per lunghi anni la circolarità e
sovrapposizione tra spazi del lavoro e del-
la residenza – industrie e quartieri operai
– pare essere totale e assoluta, senza solu-
zione di continuità. Una città in cui an-
che il centro storico viene trasformato in
periferia: i ristretti ceti alto-borghesi ora
abitano la collina.
In questo quadro le celebrazioni per il
centenario dell’Unità d’Italia
diventano
occasione per la costruzione di un mo-
mento “altro” rispetto all’immagine tota-
lizzante della città-fabbrica. Monumento
e mito condiviso della modernizzazione e
della nuova
Torino dell’immigrazione
,
Italia ’61 racconta le speranze legate al
boom e al nuovo governo di centrosini-
stra, e resta l’unico episodio urbano piani-
ficato e di matrice pubblica non ricondu-
cibile alle sole ragioni della produzione e
della crescita.
La crisi di sistema della seconda metà de-
gli anni settanta fa implodere il giganti-
smo industriale dei decenni precedenti:
svuotando le retrovie industriali consoli-
date, la crisi rende per la prima volta fra-
gile la linea del costruito che avanza nelle
campagne.
Tra anni ottanta e novanta:
la crisi come occasione
La crisi viene interpretata come un’occa-
sione per ripensare radicalmente la strut-
tura produttiva e morfologica di Torino e
della sua area metropolitana. Diversificare
e articolare la matrice economica e socia-
le, riscrivere e riconfigurare la struttura-
zione fisica sono le parole d’ordine che
– mano a mano che si prende coscienza
della trasformazione in atto – guidano il
cambiamento.
A orientare e promuovere la mutazione è
il dibattito che, tra anni ottanta e novan-
ta, porta all’approvazione del nuovo
Pia-
no regolatore della città (1995)
il quale
fungendo da scenario di riferimento met-
te in relazione i molteplici progetti di tra-
sformazione, che pongono l’accento sul
telaio del
trasporto pubblico
(il passante
e il servizio ferroviario metropolitano, le
Tra le due guerre
La fase che si apre dopo il primo conflitto
mondiale vede innanzitutto un proces-
so di
riorganizzazione delle strutture
produttive
sorte durante l’iniziale fase
di industrializzazione di fine Ottocento e
inizio Novecento. Simboli di questa fase
sono gli stabilimenti di Fiat Lingotto e
Fiat Mirafiori.
La trama che in qualche modo regge e
orienta l’ampliamento della città è sempre
quella del
Piano regolatore del 1906-08
,
insieme ai tracciati dei grandi assi storici
e dei fiumi.
Il dato di novità profonda sta però nel fat-
to che si tratta di una trasformazione per
grandi “tasselli” – quelli dell’industria, dei
quartieri di edilizia popolare pianificata,
dei grandi servizi collettivi, del tempo li-
bero – che operano simultaneamente per
sovrapposizione rispetto al palinsesto sto-
rico rurale preesistente e per giustapposi-
zione nei confronti dell’edificato di bordo
delle barriere operaie.
È una modalità di costruzione della città
(per “concentrazione di funzioni” e con-
temporaneamente per “dispersione nello
spazio”) che inizia a
dissolvere la logica
della crescita per ampliamenti contigui
e per regole morfologiche tradizionali
e che anticipa quella “nuova dimensione”
della città che prenderà corpo in modo
più radicale nel secondo dopoguerra.
L’opera di riorganizzazione trova riscon-
tro anche all’interno della città storica nel
progetto di
via Roma Nuova
(1931-37),
in cui retoriche della dittatura e intenzio-
nalità razionalizzanti della
città fordista
sembrano poter coincidere. In realtà le
discontinuità della morfologia della nuo-
va città costruita sono il simbolo di un
mercato che continua a essere imperfetto
Il cuore degli impianti sportivi per i Giochi olimpici invernali del 2006 è il Parco olimpico, con il riadattamento dello Stadio e la realizzazione del
Palaolimpico Isozaki (fotografia di B. Biamino).
1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1967 1971 1973 1981 1991 2001 2009
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