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satorio negli ospizi, dove la condivisione di un difficile destino comune cementava, a

volte, delle forme di solidarietà molto strette. Non a caso, i regolamenti dell'Albergo

di Virtù stigmatizzavano qualsiasi tipo di «amicizia particolare», mentre la normativa

del Ritiro delle Orfane vietava alle giovani di dormire in due per letto, riflettendo, in

tal modo, la profonda preoccupazione per i costumi sessuali delle giovani. Al di là di

tali paure, è indubbio che il senso d'abbandono dei molti orfani, dei trovatelli, ma

anche degli individui più anziani, poteva, almeno in parte, essere surrogato da una vita

comunitaria in grado di fornire degli elementi di stabilità e di identità, al punto che la

realtà ospiziale poteva divenire un modo alternativo di condurre la propria esistenza.

Fermo restando, però , che le storie individuali disegnavano parabole diverse e che alla

volontà di alcuni di perpetuare i propri giorni in un ospizio s'opponeva quella di colo–

ro che, frustrati dalle dure condizioni interne, ritenevano opportuno fuggire o lasciare

gli istituti.

All'epoca della concessione dello Statuto albertino, mentre i d'Azeglio, i Cavour, i

Balbo tentavano di «risolvere i grandi problemi della patria»20, gli ospiti dei ricoveri

davano forma alla propria awentura umana in uno spazio - morale e materiale - ben

differente. Difficile dire se, prima del riposo notturno, indossate le vesti riposte al mat–

tino nelle ceste, ognuna accanto alletto sotto il controllo delle sorveglianti, le giovani

orfane, recitando le loro sommesse preghiere, invitassero

il

Signore a vegliare sulla

sorte dei soldati impegnati nelle guerre nazionali e sul buon esito del conflitto, o, piut–

tosto , non invocassero una realtà quotidiana meno travagliata, recando in sé una

profonda frustrazione e talvolta la rabbia per la propria condizione.

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FRA

CESCO COG ASSO,

Storia di Torino,

Firenze,

Giunti Editore, 1978, p. 50l.

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