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conte d'Arache, e Giuseppina van Houtum, e nel '47 Braekelleer e van Loose, presen–

tati da Richard Bingham segretario di legazione dell'ambasciata britannica a Torino.

Ma se ci si domanda che cosa scegliessero i torinesi tra queste variegate offerte, si

troverà che avevano ben ragione i

maitres

à

penser

della critica locale, che deploravano

il dilagare della moda delle scene di genere e dei quadrettini di animali, di paesaggio o

di natura morta adatti all' arredamento a tutto svantaggio dei grandi dipinti storici e

patriottici, come si può constatare anche dallo scarso numero di soggetti ispirati agli

eventi del '48 e del '49. Certo non era questo un atteggiamento di gusto soltanto tori–

nese. Da Parigi a Milano è tutto un coro di disapprovazione da parte dei critici ufficia–

li per la voga della pittura leggera, per i soggetti di evasione, tant'è che le grandi inno–

vazioni stilistiche di cui era portatrice la pittura di paesaggio tardarono ad essere

accettate. Lo stesso conte d 'Arache, collezionista di grande cultura, dagli anni quaran–

ta appare allineato a questo gusto, con scelte che vanno dal

Paese dopo

il

temporale

(1845) dell'olandese Georg van Haanen al

Castello di Sirmione

(1846, Alessandria,

Pinacoteca Civica) di Leopoldina Zanetti al

Barcaiuolo

del veneziano Eugenio Bosa al

Cenciaiuolo

del parigino Ferdinando Michele Storelli (1847). li notaio Viecha lo seguì

limitandosi ad acquistare alla Promotrice vedute del Moja, e così il ricco banchiere

Giovanni Mestrallet, nuovo adepto del collezionismo, che provvedeva a quanto pare

all' arredamento della sua residenza in contrada dell'Arsenale numero 14 con tale

vistosa grandiosità da farsi notare dal periodico locale «li Torinese» nell'aprile del

1844. I lettori seppero cosÌ che «dopo avere con signorile larghezza arricchite le sale

de' suoi appartamenti di sontuosissimi arredi, pensava pure ad abbellirle con opere

d 'arte, e dava, a tal uopo, parecchie commissioni di tele». Le quali erano paesaggi e

vedute di Beccaria, Enrico Gamba, ed Enrico Gonin, oltre a soggetti orientalisti del

Cerruti e di Francesco Gonin, a due quadri di storie ebree del Giacomelli e a una

Bea–

trice Cenci

ancora del Gonin, comparse in Promotrice tra il 1845 e il 1846.

La presenza di italiani di altre regioni e di stranieri favorì, come era stato previsto,

la crescita quantitativa e qualitativa della produzione artistica locale. I pittori piemon–

tesi furono stimolati anche a espatriare per curare la loro formazione , e parecchi lo

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