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stesso è fattore

di

evocazione. Tutta la regia dell'operazione-Alfiere interferisce con le

vicende politico-militari della guerra all'Austria.

C'è

persino una doppia inaugurazio–

ne. Nella prima - ilIO aprile 1859 - per una estrema scelta diplomatica che si trasfor–

ma di fatto in

suspence

e sapiente calcolo degli effetti scenici, la scritta sul basamento

viene tenuta prudentemente coperta da una tavola. La fiera «Gazzetta del Popolo»

freme e protesta, ma il risultato

è

che di questa scritta "segreta" se ne sussurra più che

mai e - mentre Torino si va affollando di volontari che accorrono da tutta Italia per la

guerra imminente - il segreto funge da moltiplicatore degli spiriti nazionali.

li

finale

ha ritmi concitati.

li

4 giugno si combatte la battaglia di Magenta.

li

5, per effetto di

questa battaglia, gli austriaci sgombrano Milano e poi la Lombardia.

li

7 il Consiglio

comunale invoca per ciò che lo riguarda lo scoprimento della lapide. L'8 perviene il

consenso del ministero degli Interni, ulteriore segnale del livello tutto politico rag–

giunto dall'iniziativa solo apparentemente amministrativa: scoprimento, reinaugura–

zione,

Te Deum.

La scritta, una volta venuta alla luce, si rivela laconica: «I Milanesi /

all'Esercito Sardo / 15 gennaio 1857». Ma ormai il messaggio ha trovato inveramento

e le parole, pur forti, sono sopravvanzate dai fatti.

Sono anni d'oro per questa forma di esibizione dei referenti e di pronto intervento

sui meccanismi di messa a fuoco della visione. Gli avvenimenti incalzano e incalzano

anche i processi promozionali delle figure pubbliche

16 .

Alcune godono a priori dei

favori ambientali. Quale autorità piemontese potrebbe negare il suolo pubblico o

frapporre comunque ostacoli all'offerta di uno

sponsor

privato - un banchiere torinese

- di erigere e pagare le statue di due Savoia, Eugenio e Ferdinando? Con il «Principe

Eugenio

di

Savoia / Liberatore di Torino assediata» e con «Ferdinando di Savoia duca

di Genova / Animoso principe chiaro nelle armi / Alle speranze della patria / Rapito

nel fiore degli anni», lo Statuto ha poco a che fare; eppure si ha cura di cogliere l'occa–

sione per riconnettere una volta

di

più la dinastia allo Statuto - in un legame che d'al–

tronde vuoI essere duplice e impegnativo per tutt'e due i contraenti - scegliendo per

l'inaugurazione i giorni dei festeggiamenti per il decennale, nel 1858

17 •

Altri preten–

denti si guadagnano con maggior fatica gli onori della pubblica piazza. Un omaggio

dovuto, ma senza un particolare impegno né di favori né di contrasti - tanto che la

pubblica sottoscrizione si trascina e neanche l'inaugurazione

è

capace di smuovere

alcun calore -

è

quello a Gioberti: muore fuori tempo, nel 1852, quando i fuochi del

neo-guelfismo e del papato liberale sono spenti e remoti. Comunque, sette anni dopo

- nel fertile 1859 - anche questa pratica funebre è spedita, e con collocazione più che

dignitosa, nella piazza che fronteggia Palazzo Carignano. Si tratta però appunto di

ordinaria amministrazione, niente a che fare con le scelte ancora puntute e conflittuali

relative a un Siccardi o all'Alfiere; e neppure a un Manin. Dopo il '48, il tumultuoso

evolversi degli avvenimenti politici e delle trasformazioni mentali ha tolto dall'ordine

del giorno la federazione guelfa di Gioberti - alla quale ormai neppure lui mostra più

di credere -, depotenziando così il discorso pubblico che si può costruire a ridosso

della sua figura approfittando dei rituali funebri e privatizzandone con ciò stesso il

senso; ma non ha certo reso obsoleta la repubblica, anzi - per porci in prospettiva pie–

montesista - il pericolo della repubblica. Di qui il pronto impadronirsi di questa icona

"straniera", da arginare e da ricondurre a forme qi comunicazione pubblica compati–

bili e persino pedagogicamente edificanti. Tanto più che, nel caso del fondatore e dit–

tatore della repubblica di San Marco, non sarebbe facile liquidare la partita come i

monarchici usano fare coi repubblicani, dandogli cioè del perdigiorno e del settario.

Daniele Manin era un uomo pragmatico, è stato un vero leader, ha tenuto in pugno la

rivoluzione e guidato la sua città come uno dei più notevoli uomini nuovi rivelati dalle

16

Sui tempi e i modi di occupazione di un altro gran–

de territorio cittadino si può ora vedere MICHELE

PETRANTONI (a cura di),

Memorie nel bronzo e nel marmo.

Monumenti celebrativi e targhe nelle piazze e nelle vie di

Milano,

Milano, Motta, 1997.

17

C.

LANFRANCO,

Il Risorgimento

cit.,

I,

p.

80

e p.

253.

7