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GIUSEPPEANTONIOMUSANTE,
Pianta della
città
e borghi di Torino,
Litografia,
in
L'amico delforestiere,
Tori·
no, Serra, 1840 (ASCT,
Collezione Simeom,
D
94),
scomparsi, o di piccole antiche osterie, quali la Caccia reale, il Cannon, il Cappel e la
Croce d 'oro; i due Bastoni e i due Buoi; il Gallo e il Gambero, ovvero la Palma, la
Rosa rossa e la Corona grossa; il Montone e le Tre stelle. Alcuni nomi ricordavano l'in–
sediamento di vecchi mestieri o corporazioni: degli Argentieri, dei Cappellai, dei Con–
ciatori, dei Mercanti, dei Pasticcieri, dei Pellicciai, degli Stampatori, e ancora dei Sot–
terratori, dei Carrozzai, dei Pescatori; altri infine si riferivano ad attività commerciali
che da lungo tempo caratterizzavano il luogo: piazza delle Erbe, del Vino, della Legna,
ma anche contrada delle Beccherie, del Fieno, delle Fragole. Misurata e operosa, Tori–
no si riappropriava dunque della sonorità dei rumori, della voluttà degli odori, della
magia dei colori, dei ritmi rassicuranti della quotidianità.
Se brevi tratti di una stessa contrada potevano inalberare nomi diversi, le arterie
classiche - di Doragrossa, Nuova e di Po - serbavano lungo tutto l'asse il diritto
acquisito a un'unica intitolazione. Alcune vie mantenevano invece, come un marchio
immotivato, il toponimo arcaico: delle Maschere, dei Guardinfanti, delle Quattro pie–
tre, dei Fornelletti, mentre il nome della contrada della Barra di ferro si identificava
con la sua reale insegna, ossia con la sbarra che la sera veniva inesorabilmente abbas–
sata onde impedire alle «donne di mondo», concentrate nel sito, di turbare la quiete e
la morale pubblica.
Scarsa fortuna era riservata per ora alla toponomastica didattica e celebrativa; la
geografia era compendiata nei soli nomi delle quattro sezioni urbane, Dora, Po, Mon-
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