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Il neoclassicismo, uno stile preso a prestito da remote civi ltà, ma razionalisticamente interpretato nei suoi ele–

menti costitutivi, disi ntegrat i dal nesso della autentica civiltà formale da cui erano nati - La predilezione per

forme misurate, nitidamente scompartite, pone nella nostra città delle premesse di tono particolare all'accogli–

mento del gusto neoclassico - Ag li inizi della restaurazione Torino da avvio ad una splendida realizzazione

urbanistica: la formazione di ampi vi ali intorno alla vecchia città e la costruzione di palazzi sobri e dignitosi

-

AI configurarsi così part icolare dei palazzi sono ispirati i teatri del primo ottocento; purtroppo di questa pagina

della nostra storia architettonica sopravvivono, malinconiche reliquie, il Gobetti e la facciata del teatro d'Angennes

Chi voglia per la prima volta tentare

un profilo, per quanto sommario, delle

costruzioni architettoniche sorte nell'età

neoclassica a Torino, non può esimersi

dal prospettare, quasi ad avvio , due

aspetti caratterizzanti quella vicenda sto–

rica, che si pongono in apparente con–

trasto tra di loro.

Da un lato

il

neoclassicismo

fu,

anche

nella nostra città, riflesso e accoglimento

di un modo che si diffuse in tutta Euro–

pa a conseguenza di tendenze che si

erano venute affermando quali essen–

ziali nella cultura della seconda metà

del Settecento: un lucido razionalismo

e il vivo

~enso

della storia. Si affermò

per ogni dove uno stile preso a prestito

dalle remote civiltà classiche, ma razio–

nalisticamente interpretato nei suoi ele–

menti costitutivi, disintegrati dal nesso

della autentica civiltà formale da cui

erano nati.

D 'altro lato però la storia architettoni–

ca di Torino e del Piemonte aveva of–

ferto già nel Settecento un aspetto del

tutto particolare a seguito di una diffusa

predilezione per forme misurate, niti–

damente scompartite, che già

fin

dal

Settecento paiono porsi quali presup–

posti della successiva stagione neoclas–

sica : i nomi del Juvarra, di Benedetto

Alfieri, del Nicolis di Robilant, del Qua–

rini, del Castelli sono al riguardo in–

dicativi.

A Torino del resto erano filtrati riflessi

dell'architettura palladiana, e proprio in

quanto aveva di più libero, arioso, vi–

tale; e se appena qualche sporadica ri–

sonanza nel primo Seicento, un'eco ben

più intima e profonda essa aveva su–

scitato nell'architettura juvarriana del

Settecento, ispirando per altro al Juvar–

ra e alla sua discendenza motivi anche

iconografici.

Per contro gli architetti delle altre con–

trade d'Europa durante l'età neoclassica

guardarono al Palladio come all'inter–

prete più autorevole del gusto classici–

stico, al rappresentante più tipico di

quello studio e di quel recupero degli

antichi modelli, aspetto primo ed essen-

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ziale della corrente del neoclassicismo.

Era un'interpretazione errata del Palla–

dio, che aveva avuto inizio

fin

dallo

Scamozzi: fatta più rigida ed esclusiva,

divenne un punto fermo per l'orienta–

mento del gusto neoclassico: spunti ri–

goristici di neopalladianesimo furono da–

ti innegabili di quasi tutto

il

neoclassi–

cismo europeo.

Anche sotto questo aspetto la tradi–

zione architettonica della Torino sette–

centesca, juvarriana e postiuvarriana, po–

neva delle premesse quindi di tono par–

ticolare all'accoglimento del gusto neo–

classico del primo ottocento; premesse

che ne influenzarono in senso positivo

gran parte delle manifestazioni.

Gli ideali di grandiosità e severità ar–

chitettonica ispirati alle civiltà classi–

che, che il rinato e appassionato studio

archeologico aveva diffuso, se pur con

un'interpretazione erudita e razionale,

trovarono poi nuove conferme e nuove

possibilità d'attuazione nel clima dell 'età

repubblicana e

di

quella napoleonica.

In molti paesi d'Europa sorsero costru–

zioni monumentali, in cui venne gene–

ralizzandosi una retorica vocazione al

« far grande

»;

gusto che fu in parte

riscattato dalla nuova destinazione degli

edifici, costruiti a definire e a sistemare

grandi spazi urbani: i1loro contesto ur–

banistico riusd a nobilitarne il tono re–

torico e magniloquente.

Retorica imperiale

Ma anche da questo punto di vista la

vicenda architettonica di Torino ha una

sua storia particolare; chè il governo

repubblicano e napoleonico fu in To–

rino causa solo di depredazioni e di

distruzioni. Il decreto emanato da Na–

poleone nei giorni seguenti la b attaglia

di Marengo (4 messidoro anno VIII ,

23 giugno 1800) aveva imposto l'ab–

battimento totale delle mura della ca–

pitale sabauda. Furono cos1 smantellate

ad una ad una le cinte fortificate del–

l'età barocca; e lo smantellamento fu

completato poi durante la restamata mo–

narchia.

L'unica costruzione di rilievo e dure–

vole sorta a Torino nell'età napoleonica

fu il ponte in pietra al termine dello

spiazzo cui adduceva la contrada di Po,

costruzione decretata da Napoleone nel

1807, e realizzata nel 1810 dall'ingegner

Joseph Pertinchamp. Cos1 slanciato, nu–

do e robusto, pare protendersi al di là

del Po verso la campagna: le esigenze

strutturali e funzionali preservarono que–

sta costruzione da ogni retorica di tono

imperiale.

Al di là del ponte, subito l'anno suc–

cessivo, 1811, l'architetto Dervieux idea–

va un complesso urbanistico monumen–

tale: una grandiosa esedra centrale, po–

sta come termine scenografico e come

nucleo di irradiamento di nuove arte–

rie: scandivano gli spazi in senso dire–

zionale un grande arco, una fontana,

una chiesa ellittica su ampia scalinata.

Il ritorno a Torino del re Vittorio Ema–

nuele I e della Corte tolse ogni attua–

lità, anche di gusto, al progetto del

Dervieux, e la possibilità di una rea–

lizzazione.

Agli inizi della restaurazione s'imposero

in un primo tempo lavori e provvisioni

a favore dell'antico centro: strade, ca–

nali, fontane, illuminazione. Ma già nel

1817, a seguito dello spianamento delle

aree delle demolite mura fortificate , si

dava avvio ad una splendida realizzazione

urbanistica: la formazione di ampi viali

condotti intorno alla vecchia città: il

lungo Po (corso Cairoli), il viale del

Re (corso Vittorio Emanuele II), la

strada di Valdocco (l'omonimo corso),

le strade di San Maurizio, di Santa Bar–

bara, di San Massimo (tratti dell'attuale

corso Regina Margherita).

Aveva inizio cos1 la ripresa costruttiva;

e tosto

il

nucleo urbano cominciò ad

espandersi oltre le vecchie mura, verso

la campagna. L'inserimento delle nuove

aree fu compiuto per altro a fasi suc–

cessive, con ampliazioni condotte a bloc-

chi residenziali unitari , nel modo ClOe

con cui erano stati condotti i precedenti

ampliamenti urbani dell'età barocca: una

maglia che si allargava, ma non mutava

il suo intrico costitutivo .

Il primo am",liamento

fu

decretato nel

1818, e fu eseguito, negli anni imme–

diatamente successivi, su progetto di

Giuseppe Frizzi : la sistemazione del va–

sto spiazzo antistante

il

Po (l'attuale

piazza Vittorio Veneto) con ampi iso·

lati residenziali : palazzi di un'architet–

tura sobria e dignitosa, costruiti in fun–

zione del degradare del terreno e del

grande spazio che definiscono; rigorose

quinte dell'amplissima e vivace prospet–

tiva aperta sulla verde zona dei colli.

Respiro spaziale

Il progetto di sistemazione della piazza

concepito dal Frizzi dovette almeno

idealmente collegarsi al progetto di Fer–

dinando Bonsignore per la costruzione

della chiesa della Gran Madre di Dio,

che si centra, mole chiara e serena, nello

scenario ultimo della collina. L'inizio

della chiesa cade infatti nel medesimo

anno, 1818, in cui

fu

decretata la si–

stemazione della piazza; anche se la

chiesa fu terminata poi solo nel 1831.

La Gran Madre di Dio è l'edificio

di Torino più direttamente ispirato nei

primi decenni dell'Ottocento agli ideali

classicistici: modello ne fu certamente

il

Pantheon. Però, nella vastità del verde

scenario, la fabbrica realizzata dal Bon–

signore di lontano appare, rispetto al

Pantheon, meno possente nelle forme :

vi si coglie un accento tranquillo e

quasi domestico. Solo quando si è alla

base della scalinata di accesso si avverte

l'imponenza delle strutture e il riscon ·

tro all'antico modello. Anche l'interno

sostituisce all'immenso respiro spaziale

del Pantheon un senso più raccolto; ai

pittoreschi giuochi chiaroscurali di quel–

lo, nitide specchiature. Vi è realizzato